martedì 4 settembre 2018

L’incastellamento nel Cicolano: ritmo e forme di una crescita ANNA CANESTRELLA I resti del castello di Rocca Petrella (Rocca Cenci)(Comune di Petrella Salto, Rieti) (Foto cortesia di Anna Canestrella) Cicolano”1 di Domenico Lugini, edita nel 1907: un compendio organico e compiuto del Cicolano inserito nel più ampio contesto della storia italiana. Lettura assolutamente primaria e irrinunciabile per chiunque voglia conoscere la storia del territorio. Una parte di questa ricerca ha voluto essere un contributo ad un repertorio dei castelli e delle rocche del Cicolano. Si tratta di un vero e proprio catalogo di tutti i dati raccolti ai quali si è tentato, non senza difficoltà, di dare una forma il più possibile scientifica. Ricostruire per filo e per segno le tappe della nascita e dell’evoluzione degli insediamenti nel Cicolano è impresa molto ardua per quanto riguarda il periodo anteriore al X secolo a causa della carenza delle fonti scritte e del vuoto delle ricerche di archeologia medievale. Si è potuto fare affidamento solo su alcuni documenti conservatisi attraverso il registro di Farfa2 che a partire dal secolo X si arricchisce grazie anche agli atti privati custoditi negli archivi capitolari delle varie province laziali: Rieti tra queste. Si è cercato di condurre l’esame non solo ricorrendo alle fonti documentarie, ma anche ai dati del territorio; ciò nonostante si è riusciti ad ottenere non più di una ricostruzione di un quadro generale degli insediamenti, ancora provvisorio e che necessita di un’ulteriore ricognizione sul campo mediante appropriat 69 predefiniti. Studi di carattere generale sull’avvenimento e sugli insediamenti ad esso relativi sono stati piuttosto frequenti a partire soprattutto dal 1973, anno del monumentale lavoro di Pierre Toubert4 sul Lazio. Il dibattito, piuttosto ampio, inizialmente si è incentrato sull’area considerata nello stesso libro di Toubert e poi si è spostato su altre zone meno estese, introducendo alcuni nuovi elementi e giungendo talvolta a risultati divergenti. Così al modello laziale elaborato da Toubert si sono contrapposte, tra le altre, le posizioni espresse da Wichkam,5 da Clementi6 e da Staffa7 a proposito dell’incastellamento in alcune regioni del Molise e dell’Abruzzo; si tratta di studi che trovano alcuni consensi anche per il Cicolano e ai quali ci siamo riferiti per farci un’idea il più possibile chiara del fenomeno. Toubert, a proposito dei suoi studi sul Lazio meridionale, ha individuato nell’incastellamento, la struttura “globalizzante”8 dell’intero territorio che fra l’anno 920 e la metà del secolo XI ha visto innalzati centinaia di castelli. Si tratta, per lo studioso francese, di “…insediamenti accentrati e fortificati su 4 PIERRE TOUBERT, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe siècle à la fin di XIIe siècle, Roma 1973, École Française de Rome, 2 voll., trad.it. Feudalesimo mediterraneo. Il caso del Lazio medievale, a cura di DANILO ZARDIN, Milano 1977, Edizioni Jaka Book. L’edizione italiana, ampiamente consultata, seppur privata di molti parti rispetto all’originale (primi due capitoli, tutte le appendici poste alla fine dei capitoli e tutte le note) è stata comunque utile per la comprensione generale del fenomeno. 5 CHRIS WICKHAM, Studi sulla società degli Appennini nell’Alto Medioevo.Contadini, signori e insediamento nel territorio di Valva (Sulmona),Bologna 1982, [s. ed.]; ID., Castelli e incastellamento nell’Italia centrale: la problematica storica, in “Castelli. Storia e archeologia. Convegno di Cuneo 6-8 dicembre 1981. Atti”, a cura di A. R. COMBA e A. SETTIA, Torino 1994, [s. ed.], pp. 137-148; ID., Il problema dell’incastellamento nell’Italia centrale; l’esempio di San Vincenzo al Volturno. Studi sulla società degli Appennini nell’alto Medioevo, Firenze 1985, Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s.; ID., Castelli e incastellamento nell’Itala centrale, in “Archeologia e Storia del Medioevo italiano”, a cura di R. FRANCOVICH, Roma 1987, [s. ed.], pp. 83-96. 6 ALESSANDRO CLEMENTI, Abruzzo dei castelli. Gli insediamenti fortificati abruzzesi dagli Italici all’Unità d’Italia, a cura di GIUSEPPE CHIARIZIA e PIERLUIGI PROPERZI, Pescara 1988, [s. ed.], (rist., Pescara 1995, Edizioni Carsa); ID., L’incastellamento negli Abruzzi, in “Abruzzo e Molise. Ambienti e civiltà nella storia del territorio”, a cura di M. COSTANTINI e C. FELICE, Mantova 1993, [s. ed.], pp. 121-150; ID., L’incastellamento negli Abruzzi, Teramo 1996, [s. ed.]. 7 ANDREA R. STAFFA, La topografia altomedievale della zona di Corvaro, in “L’antipapa Niccolo V nel 650° anniversario d’incoronazione. Convegno di Studi Storici. Borgorose 1979. Atti”, a cura di GIOVANNI MACERONI, Rieti 1981, Il Velino, pp. 113-152; ID., L’assetto territoriale della Valle del Salto fra la tarda antichità e il Medioevo, in “Xenia”, 13, 1987, pp. 45-84; ID., Abruzzo fra tarda antichità ed alto medioevo: le fonti archeologiche”, in “Archeologia Medievale”, XIX, 1992, pp. 789-853; ID., L’Abruzzo fra tardo-antico e alto-medioevo, in “Abruzzo e Molise. Ambienti e civiltà nella storia del territorio”, a cura di M. COSTANTINI e C. FELICE, Mantova 1993, [s. ed.], pp. 51-120. 8 PIERRE TOUBERT, Feudalesimo mediterraneo. Il caso del Lazio medievale, cit., p. 9. 70 sommità di colli o su speroni di versante con la raccolta di persone e famiglie prima isolate in un habitat disperso e con la riunificazione delle terre nelle mani del padrone del castello.”9 Dunque la fondazione di un castello implica secondo il modello classico di Toubert “…due operazioni simultanee: la congregatio populi, l’amasamentum hominum, cioè la concentrazione dei nuovi abitanti del villaggio all’interno di un perimetro già delimitato per ospitare le abitazioni, e la consolidatio fundorum (coherentia pertinentiarum, constitutio in unum), ristrutturazione dello spazio coltivato che doveva sfociare nell’allestimento di quartieri diversificati….”10 Clementi, da parte sua, ha individuato proprio nel nuovo uso del suolo la ragione economica della politica di concentrazione delle genti e di difesa territoriale attuata con l’incastellamento. Al modello di Toubert ha fatto seguito, tra gli altri, quello elaborato da Wickham secondo il quale la fortificazione degli insediamenti sarebbe l’esito ultimo di una iniziale trasformazione dei casali in ville e di un successivo processo di accentramento della popolazione. Ma se Wickham ha sottolineato le differenze, tutt’altro che marginali, esistenti tra accentramento e incastellamento, Staffa ha posto l’accento su un altro processo sottovalutato da Toubert: il sopravvivere di insediamenti sparsi all’interno dei territori dei castelli, un aspetto significativo nel Cicolano. Chiaramente, nel ridotto spazio a disposizione, si è presentato un insieme estremamente generico di spiegazioni, ma si può comunque comprendere come tutti questi modelli, al di là delle differenze anche notevoli sui diversi aspetti, non siano inconciliabili, ma intimamente connessi e applicabili, almeno in parte, al nostro piccolo territorio, anche se solo un’attenta analisi archeologica potrà accertare gli elementi più significativi del problema, offrire le giuste risposte e riconoscere la validità delle specifiche posizioni storiografiche. 2. L’assetto territoriale della Valle del Salto prima e nell’età dei castelli A questo punto della ricerca si deve più che mai procedere con molta cautela, ripartendo dall’esame dei tratti salienti della tesi di Toubert che pone l’incastellamento nel contesto economico della Sabina della metà del X seco9 Ibidem.. 10 E ancora: “Quando, verso la metà dell’XI secolo, la grande ondata delle fondazioni si è esaurita, ogni castello ha delimitato la sua pertinentia, il suo tenimentun. Il completamento della ripartizione dei territori dei villaggi non ha lasciato posto ad alcun interstizio…lo spazio si era chiuso.”Ivi, pp. 93-94. 71 lo: un periodo di espansione economica e di crescita agricola condotta dai proprietari terrieri ecclesiastici e laici. E’ a partire da questo periodo che in tutto il Lazio predominarono forme molto concentrate dell’insediamento. Si tratta, per lo storico francese, di una struttura ‘genitrice’11 di un intero sistema in quanto intorno ad essa si organizzano progressivamente altre strutture. “Siffatta struttura castellana non fu soltanto una riorganizzazione del popolamento e della proprietà terriera, - scrive - ma comportava una nuova sistemazione delle colture, della parcellazione fondiaria e del lavoro agricolo, e determinava la formazione di una signoria territoriale castrense e l’impianto di una nuova struttura di inquadramento religioso e civile con la costituzione della parrocchia nella chiesa del castello, la quale assumeva le funzioni dell’antica pieve, e con l’appropriazione delle facoltà giurisdizionali da parte del signore entro il territorio pertinente al castello…; e, d’altra parte, a una mentalità pionieristica correlativa all’habitat disperso si sostituì una mentalità comunitaria a mano a mano che si creava il vicinato.”12 Un modello insediativo quello dell’incastellamento che è riuscito a mutare, tanto profondamente quanto durevolmente, il paesaggio rurale dell’Italia medievale in generale, a tal punto che, secondo alcuni studiosi, “…l’incastellamento avrebbe determinato…una radicale riorganizzazione non solo del territorio, ma dell’economia rurale, promuovendo la concentrazione della popolazione prima dispersa nelle campagne in pochi abitati fortificati, e mutando di conseguenza il volto del paesaggio agrario…”13 Per altri invece il proliferare dei castelli non determinò in modo così geometrico la concentrazione degli abitati, né pare che se ne possa parlare come di una svolta rivoluzionaria sul piano del popolamento e delle strutture agrarie.”14 Quest’ultimo sarebbe proprio il caso del Cicolano, dove l’incastellamento non avrebbe portato ad un totale mutamento nelle forme di occupazione del territorio poiché sopravvissero numerosi insediamenti aperti anche dopo l’XI e il XII secolo.15 Ciò in quanto proprio le caratteristiche economiche e geografiche del territorio avrebbero resa inadeguata la struttura dell’incastellamento. Lo stesso fenomeno dell’abbandono dei 11 Ivi, p. 9. 12 Ibidem. 13 Ibidem. 14 Ivi, p. 64. 15 ANDREA R. STAFFA, L’assetto territoriale della Valle del Salto fra la tarda antichità ed il Medioevo, cit., p. 77. castelli che raggiunse il suo apice fra il XIV e il XV secolo lo dimostrerebbe. In quello stesso periodo si registrò così una nuova aggregazione della popolazione intorno a dieci delle sedici chiese considerate come rurali segnando così “…il ritorno delle popolazioni a forme di insediamento più adatte alle potenzialità economiche di un’area caratterizzata da terreni coltivabili limitati situati per lo più lungo il Salto e sulle pendici collinari lungo i torrenti ad esso adducenti.”16 Tra l’XI e il XII il quadro territoriale del Cicolano in ogni modo si modifica: vengono abbandonati gli insediamenti situati nel fondovalle e innalzati nuovi centri incastellati o meglio fortificati; a volte si assiste alla rioccupazione di antichi siti italici, ma il più delle volte si sviluppano centri urbani di nuova fondazione anche se raramente collocati lontani dagli stanziamenti dell’età precedente. Luoghi che ad un certo momento la popolazione del nostro territorio comunque aveva abbandonato. Quali le motivazioni? A lungo si è creduto che la paura delle invasioni saracene che colpirono anche il Cicolano fosse stata alla base della decisione degli abitanti della zona, isolati e inermi, di rifugiarsi in luoghi impervi e scoscesi, per potersi meglio difendere e avere un luogo sicuro in cui rifugiarsi. Tra i secoli IX e XI nuove ondate migratorie, infatti, avevano interessato molte regioni dell’Europa occidentale e, in alcuni casi, profonde erano state le trasformazioni che avevano apportato alle strutture sociali, politiche e territoriali. Saraceni,17 Normanni, Ungari e Slavi con le loro incursioni e scorrerie avevano messo in allarme gli abitanti di molte regioni d’Italia fin anche dello stesso Cicolano non protetto da quell’ isolamento che naturalmente lo contraddistingue. E proprio alle incursioni saracene, secondo i più, si deve la nascita del Cicolano moderno. Da qualche anno è però in atto, anche per molte altre regioni d’Italia, una revisione storiografica che, sfumando il peso di questi assalti, ha obbligato a evidenziare dinamiche interne di trasformazione. E’ certo che nell’anno 877 bande di Saraceni, dalla Marsica, si riversarono nella Valle del Salto ed in quella del Turano. La cronologia degli eventi legati alla presenza degli invasori in questi territori non è affatto chiara né chiarificabile. Del resto ci troviamo dinanzi ad incursioni non rigidamente preordinate, di carattere occasionale e perciò prive di disegni strategici ben ordinati. E’ diffici72 16 Ibidem. 17 Le fonti occidentali con il termine ‘saraceni’ indicano gli Arabi o le popolazioni islamizzate del Nordafrica 73 le valutare quanto profondamente siano penetrate nel Cicolano queste prime incursioni, né per quanto tempo esse siano durate; certamente il trauma iniziale fu notevole: un’intera realtà di vita venne ad essere di colpo sconvolta. L’attività delle bande saracene continuò a lungo e nel nostro territorio riuscirono a creare basi stabili, punti di accentramento e di successivo trasferimento verso la costa tirrenica degli schiavi catturati e delle ricchezze predate. “Dallo studio della toponomastica risulta evidente come queste genti si siano stanziate stabilmente nel Cicolano, lasciando tracce soprattutto nei nomi dei luoghi: alcuni terreni presso il villaggio di Santa Lucia di Fiamignano, ad esempio, sono indicati nei catasti col nome di Muro Saraceno, e sia ad Alzano, frazione di Pescorocchiano, che a Castelmenardo, frazione di Borgorose, si trovano luoghi denominati Aia dei Saraceni.”18 I Saraceni, per non rimanere isolati, furono costretti a ritirarsi dalle basi del Cicolano.Tuttavia le scorrerie sembrerebbero continuare per anni se, ancora nel 923 si parla, a proposito della pieve di S. Angelo di Fiumata dell’incendio della chiesa da parte dei Saraceni (sempre che l’attribuzione del fatto ai Saraceni non celi una realtà diversa, per un processo di identificazione generica degli assalitori con questi popoli); anche la cella farfense di S. Benedetto di Petrignano fu investita. Ma qual è il ruolo svolto dalle incursioni saracene nella nascita della nuova organizzazione del territorio che si sviluppa nel Cicolano? L’esperienza dell’invasione saracena, giunta quasi all’improvviso, deve aver obbligato gli uomini a ricercare diversi modi di protezione. E la scelta di nuovi insediamenti meglio difendibili è, senza dubbio, il primo atto di questa difesa. A questo proposito, riferendosi all’incastellamento nella Sabina del X secolo, scrive Toubert: “Se si tiene conto delle esagerazioni letterarie dei cronisti – che in questo campo costituiscono le uniche fonti a cui si possa fare riferimento –, delle loro incertezze e delle loro contraddizioni, si è costretti a ricollocare su un piano decisamente secondario il ruolo svolto dalle ultime ondate barbariche. La minaccia saracena, che nella nostra regione si è fatta sentire solamente negli anni 870-910, non è una causa ma una conseguenza della dissoluzione delle strutture d’inquadramento verificatasi dopo il crollo dell’impero carolingio nel vuoto aperto dalla morte di 18 DOMENICO LUGINI, Quella terra chiamata Cicolano, ristampa delle Memorie storiche della regione equicola ora Cicolano, cit., p. 54. 74 Ludovico II (875).”19 Non si tratta dunque di un episodio drammatico all’interno di una crisi sociale più ampia che si manifesta anche attraverso il fenomeno dei latrunculi christiani20 attivi quasi quanto i guerrieri pagani. Dunque sia la storiografia antica sia l’erudizione locale hanno sopravvalutato l’importanza di questi invasori indicandoli come “…i responsabili di un ‘riflusso’ degli uomini verso i centri d’acropoli più sicuri. In realtà, questa strutturazione dell’habitat per castra – che è il grande avvenimento del X secolo – è il segno non di un ripiegamento, ma di un balzo in avanti.”21 Il castrum appare infatti come “…una struttura originale di occupazione del suolo…sostenuta dalla crescita demografica…”22 Nel secolo X infatti la popolazione era in forte crescita, le attività economiche erano in netta ripresa, i ceti mercantili diventavano sempre più attivi e intraprendenti e nelle campagne si assisteva ad un decisivo miglioramento delle tecniche agricole. Eppure agli inizi del secolo non abbiamo ancora un vero e proprio boom demografico, pertanto non possiamo esagerarne l’importanza e allora “…l’incastellamento appare come lo sbocco d’uno slancio più antico nell’occupazione del suolo, i cui inizi esitanti devono essere riportati al IX secolo e forse alla seconda metà dell’VIII.”23 In quel periodo, in particolare, nel Cicolano, terra poco produttiva e scarsamente popolata, prevaleva il latifondo, mentre le numerose donazioni alle grandi abbazie benedettine e la crisi dell’autorità diocesana, avevano permesso un’espansione della giurisdizione monastica sia nell’ecclesiastico sia nel civile. Con l’affermazione del potere monastico a scapito dell’autorità diocesana dei vescovi di Rieti, si era avuta anche una rinascita dell’agricoltura della zona. La crisi della grande proprietà longobarda dei secoli VII e VIII aveva in realtà portato ad una riconquista del territorio all’agricoltura; una ripresa lenta ma progressiva, a capo della quale si erano posti proprio i monaci benedettini stabilitisi nella zona; un’attività la loro portata avanti anche nei secoli successivi. Non è comunque facile farsi un’idea precisa della situazione esistente nel Cicolano nel X secolo, come in molte altre zone del Lazio, poiché non disponiamo di nessuna documentazione significativa.“Ma tutti i dati frammentari e 19 PIERRE TOUBERT, Feudalesimo mediterraneo. Il caso del Lazio medievale, cit., p. 86. 20 TERSILIO LEGGIO, Saraceni e Ungari nella Sabina e nel Reatino tra il IX e il X secolo, in “Il Territorio”, 3/2, maggio-agosto 1987, pp. 61-78, p. 63. 21 PIERRE TOUBERT, Feudalesimo mediterraneo. Il caso del Lazio medievale, cit., p. 87. 22 Ivi, pp. 87-88. 23 Ibidem. 75 indiretti offerti dagli atti della prima metà del X secolo lasciano intravedere l’esistenza d’un movimento più antico di riconquista agraria…Vi si rintracciano, fin dai primi anni del X secolo, i segni di un’espansione in atto, che aveva già lasciato un’impronta sull’occupazione del suolo. A fianco degli antichi centri dominicali (curtes, domuscultae, domuscultiles) i grandi complessi signorili (massae) incorporavano in effetti tutta una serie di piccoli centri di colonizzazione agraria, scarsamente organizzati e d’origine recente (coloniae), e di casolari dispersi (casae, casalia) impegnati nel tentativo di ridurre a coltura (perducere in cultum) gli spazi intercalari, talvolta a partire da quel punto di coagulo delle energie conquistatrici che era rappresentato dall’oratorio rurale.”24 Una ripresa che si avviò nella seconda metà del secolo VIII e si affermò più nettamente a partire dalla metà del secolo IX, per arrivare alla grande rivoluzione dei secoli successivi, XI e XII in particolare per quanto riguarda il Cicolano. Prima di tale data “…c’erano pochi castelli o non ce n’erano affatto. Il paesaggio era dominato dalla villa, dal casale, dal praedium rusticum…”25 L’incastellamento fissò così i quadri d’una nuova forma di occupazione del suolo. “…le fondazioni di castelli si sono sempre inserite in una trama di conquiste anteriori…le continuità topografiche assolute sono state rare: solo in casi eccezionali il casale, la curtis, la villa dell’alto medioevo si sono trasformati direttamente in castrum. Tuttavia il nuovo villaggio ha ereditato il più delle volte spazi agricoli preesistenti. Non troviamo mai che abbia creato il suo cultum integralmente da zero…Il territorio del villaggio nascente ha incorporato quartieri cerealicoli di vecchia data e quartieri più recenti…Anche la giustapposizione del cultum e dell’incultum costituisce dunque un dato originario della struttura agraria creata dall’incastellamento…Lo spazio agricolo ha potuto allargarsi solo ridimensionando le attività pastorali.”26 Ciò accade nel nostro piccolo territorio dove i nuovi centri accastellati scelgono per lo più siti riconducibili a precedenti forme di insediamento aperto. Scompaiono così molti vecchi insediamenti situati nel fondovalle e nascono diversi centri collocati sulle alture e fortificati. Nonostante ciò molto si è conservato del quadro insediativo antomedievale anche dopo il secolo XII; infatti sebbene nel Cicolano la fondazione dei nuovi castra non sia collocabile prima dell’XI secolo e incida “…sull’assetto territoriale, non riesce a 24 Ivi, p. 91. 25 Ivi, p. 92. 26 Ivi, pp. 95-96. 76 modificarne completamente la topografia che continua ad essere caratterizzata sino ad oggi dall’esistenza di piccoli villaggi e frazioni che si collegano alle villae del IX secolo…”27 È così per Petroniano, l’attuale Petrignano, Fungie, Corneta, Cliviano, l’odierno S. Stefano presso Corvaro, Beviano localizzabile ove più tardi nasceranno Poggio Viano e Torano. “Ovviamente, nella scelta del nuovo assetto territoriale, le esigenze di difesa e di fortificazione dovettero essere conciliate con le esigenze di una piena utilizzazione agricola del territorio stesso. Pertanto si scelsero, come sedi per le nuove residenze, zone in altura facilmente difendibili ma prossime a territori pianeggianti.”28 Non sorsero solo rocche e castelli, ma anche casali in prossimità o nel mezzo dei territori messi a coltura. I signori ampliarono il più possibile l’area intorno al castrum venendo spesso in conflitto con le abbazie e nella maggior parte dei casi riuscirono ad avere la meglio sulle stesse. A loro volta anche i monaci furono costretti ad incastellare. Ne sono esempio, oltre ad alcuni centri appartenenti all’Abbazia di San Salvatore Maggiore, quali Rocca Vittiana e Poggio Vittiano, in particolare Corvaro e il gualdo di Sant’Angelo in Flumine, trasformatosi in Poggio Sant’Angelo, oggi Fiumata. “Se è vero che si instaura una gara fra signori e monasteri per controllare, attraverso l’incastellamento, una porzione di territorio, è altrettanto vero che lo stesso rapporto fra grandi proprietari e monasteri s’incrina per dar luogo ad una particolare conflittualità su problemi di giurisdizione. L’incastellamento, infatti, comportava diritti di piena giurisdizione sul castrum e sul territorio immediatamente circostante e pertanto, mentre i signori tentano di ampliare il loro potere (essendo la loro autorità all’inizio circoscritta in piccole aree), superando il limite dei compascua, i monasteri, che si vedono danneggiare dalle continue usurpazioni patire nei loro beni extracastrali, devono tentare l’impossibile per arrestare il fenomeno in atto.”29 Tuttavia ancora nel secolo X, i monaci e i grandi proprietari terrieri continuarono nella loro intensa attività di sfruttamento agricolo. Spesso l’accordo era però solo apparente e nascondeva conflitti profondi sui problemi giurisdizionali delle nuove chiese castrali quando le fondazioni non erano state direttamente monastiche. “In che misura questa lotta 27 ANDREA R. STAFFA, L’assetto territoriale della Valle del Salto fra la tarda antichità ed il Medioevo, cit., p. 54. 28 Ivi, p. 56. 29 ANDREA DI NICOLA, Monasteri, laici, ordinari e curae animarum nel Cicolano (Secc. IX-XIII). Appunti e spunti per una ricerca, in “San Francesco nella civiltà medioevale con riferimento alla Valle Reatina, al Cicolano e a Corvaro. Atti Convegno di Studi Borgorose 18-19 dicembre 1982”, a cura di GIOVANNI MACERONI, Rieti 1983, Editrice Il Velino, pp. 213-223; pp. 216-217. 77 per la leadership abbia contribuito allo sviluppo ed alla trasformazione del territorio del Cicolano, possiamo saperlo dall’alto numero dei centri incastellati…che daranno vita, al posto dell’insediamento sparso e senza grandi punti di riferimento che non fossero quelli dell’organizzazione religiosa dell’economia modesta e stagnante, ad un assetto territoriale notevolmente differente…”30 dove interagivano i due sistemi organizzativi, quello laico e quello monastico, che venne progressivamente estromesso dai signori i quali avevano iniziato a fondare anche chiese castrali. Ricordiamo solo che “…costruire una chiesa, significava per il signore innanzi tutto la proprietà esclusiva su di essa oltre che uno sganciamento dal potere vescovile e monastico e, quindi, anche una fonte di reddito.”31 Poco alla volta gli agglomerati urbani, ad eccezione di quelli dipendenti da S. Salvatore Maggiore, vennero sottratti ai Benedettini. Ad esautorare quasi completamente Farfa dal controllo delle curae animarum nel Cicolano, saranno, nel 1153, Papa Anastasio IV e nel 1182 Papa Lucio III attraverso due bolle che, prendendo atto delle usurpazioni in precedenza avvenute, le risistemano con le donazioni al Vescovo.32 Tuttavia molte chiese rurali estesero a lungo la loro giurisdizione ad insediamenti d’altura occupati con l’incastellamento e solo molto più tardi, in genere prima del XIV secolo, si assiste ad un trasferimento completo della cura in chiesa castrale. Ma è a partire dal XIII secolo che “…i legami fra le popolazioni, in parte viventi nei nuovi centri incastellati e gli antichi luoghi di culto divenuti ormai rurali, andarono lentamente allentandosi, per il passare del tempo e la nascita di nuove esigenze economiche.”33 A partire da questa data alcune chiese castrali sorte come semplici cappelle sostituirono le più antiche pievi o ecclesie rurali sopravvissute pur fuori dell’incastellamento. Nel Cicolano solo a partire dalla metà del XII secolo troviamo nelle fonti traccia dei nuovi centri incastellati; anche se il processo fu certamente lungo e antecedente.34 30 Ibidem.. 31 Ibidem.. 32 Ivi, p. 220. 33 DOMENICO LUGINI, Quella terra chiamata Cicolano, ristampa delle Memorie storiche della regione equicola ora Cicolano, cit., p. 24. 34 Prima dell’XI secolo, anche se non abbiamo dati cronologici precisi, dovrebbero sorgere i castelli di Mareri, Capradosso, Staffoli, Girgenti, Poggio Poponesco, Sambuco, Radicaro, Castelmenardo, Collefegato, San Giovanni di Lapidio, Pescorocchiano, Gamagna, Macchiatimone, Castiglione e Rascino, come pure la Rocca di Petrella, Rocca Berarda, Rocca Librisi, Rocca Vittiana, Rocca del Salto, Rocca Odorisio, Rocca Randisi e Rocca Maleto. Più tardi i castelli di Corvaro, di Torano, di Santa Anatolia, di Spedino e di Poggiovalle. 78 Vengono edificati castelli a Castelmenardo, Collefegato, Corvaro, Maleto (o Malito), Poggiovalle, Sant’Anatolia, Spedino e Torano; tutte località oggi comprese nel comune di Borgorose. Lo stesso accade nel territorio che oggi fa riferimento alla circoscrizione di Fiamignagno. Rocca del Salto, Rocca Alberisi, Rocca Odorisio e Rocca Mareri a Sambuco sono fortezze importanti insieme ai castelli di Castiglione, Gamagna, Poggio Poponesco, Radicaro e Rascino. Anche nel territorio dell’attuale comune di Pescorocchiano si ha notizia di fortificazioni di varia imponenza: Rocca Berarda e Rocca Randisi sono sedi di strutture rilevanti; mentre a Macchiatimone, a Varri (o Barri), a Pescorocchiano, a Girgenti, a San Giovanni di Lapidio sorgono castelli. E ancora altri castelli vengono innalzati a Capradosso, a Mareri, a Staffoli e a Vallebona. Tutte località che oggi fanno capo al comune di Petrella Salto, all’interno del quale troviamo anche la notissima Rocca Cenci. Altre imponenti fortificazione sono rintracciabili in territori che sorgono nel territorio delimitato dalle diluviali del fiume Salto e che oggi fanno capo a comuni diversi dai quattro precedentemente ricordati. E così nel nostro repertorio includiamo anche i castelli di Rigatti, di Poggio Vittiano e Rocca Vittiana nel comune di Varco Sabino e l’importante insediamento fortificato di Marcetelli. Una serie di stanziamenti questi ultimi nei quali le esigenze di difesa e di controllo del territorio risultarono prevalenti rispetto a quelle produttive ed economiche, dando luogo a strutture fortificate particolarmente essenziali e centrate. Spesso tali funzioni militari risultarono così prevalenti sulle funzioni produttive che il nucleo abitato decadde o tese a scomparire, con il trasferimento dei suoi abitanti in luoghi meglio attrezzati per la residenza ma comunque difendibili; ciò accadde ad esempio per il castello di Rascino, Rocca Randisi, Rocca Malito, ecc... Le strutture insediative di maggior importanza erano in generale caratterizzate da una posizione orografica idonea sia da un punto di vista difensivo sia da un punto di vista residenziale e produttivo. Pescorocchiano, edificato su un crinale roccioso dominante a picco sui terreni pianeggianti circostanti, rappresenta un’eccezione. La maggior parte dei castra registrati non presenta problemi di identificazione: alcuni hanno lasciato importanti resti. Più difficile individuare i siti dei castelli che hanno mutato il loro nome o di quelli scomparsi definitivamente; per alcuni di questi ultimi, in particolare, non sempre è possibile un’ identificazione certa. 79 3. In cammino tra le rovine Il numero dei castelli e delle rocche disseminate sul territorio è tutt’altro che modesto, ma, per ovvi limiti di spazio, in questa sede, se ne analizzano solo alcuni, offrendone una descrizione e una ricostruzione sommarie e molto schematiche. Quali linee hanno guidato questa scelta? I criteri di selezione adottati si sono ispirati all’imponenza delle fortificazioni, alla loro rilevanza nel corso della storia, alla collocazione geografica e alla suggestione ambientale. Si è tentato di tracciare le linee di un possibile itinerario, facilmente percorribile, che riproduce in piccola parte l’ipotetico percorso che metteva in comunicazione castelli e rocche fra loro, soffermandosi su quello che oggi è rimasto. Si tratta di resti che, purtroppo, nella maggior parte dei casi, versano in condizioni di pauroso abbandono e/o in pieno disfacimento. Partendo dal capoluogo reatino e percorrendo la S. S. Cicolana si incontrano, ad un’altitudine appena superiore ai mille metri, i ruderi del castello di Staffoli. Castrum sorto dopo il X secolo dall’accentramento degli insediamenti sparsi intorno alla pieve di San Giovanni, compare per la prima volta in un documento del 1182.35 L’anno successivo era tra i possedimenti di Berardo di Collinirico, barone di Stiffe, e nel 1338 veniva annesso a Cittaducale. Oltrepassato Staffoli si arriva a Petrella Salto, paese che si estende ai piedi di uno sperone roccioso dal quale spiccano le rovine di un’imponente torrione, recentemente ristrutturato. Qui sorgeva un’importante rocca, nota come Rocca Petrella o Rocca Cenci (dalla tragedia avvenuta nel 1598, quando Beatrice Cenci uccise il padre Francesco). Le prime notizie sulla fortezza che, in virtù della sua posizione, fu inespugnabile per tutto il Medioevo, risalgono alla metà del XII secolo,36 quando era feudo in capite di Gentile Vetulo che moriva prima del 1170. Le tappe del successivo frammentarsi dei suoi possedimenti e del subentrare della dinastia Mareri, che divenne la famiglia più importante della nobiltà rurale della zona, sono piuttosto oscure. I Mareri comunque ne mantennero il possesso per diversi secoli, anche se non in maniera continuativa, come accadde per le altre fortificazioni che rientravano sotto il loro dominio. Continuando il percorso sul versante della montagna, si rinvengono i resti delle mura perimetrali di Castel Mareri; proseguendo su uno sperone i ruderi 35 ANDREA R. STAFFA, Il basso Cicolano dalla tarda antichità al secolo XIII con particolare riferimento alla topografia storica del territorio di Cliternia, in “Storia e tradizioni popolari di Petrella Salto. I Convegno di Studi Petrella Salto 1-2-agosto 1981. Atti”, Rieti 1982, Il Velino, 2 voll., I, pp. 7-41, p. 30. 36 L’antica rocca è documentata dal 1161. 80 del castello di Poggio Poponesco, ai quali si arriva percorrendo un breve tratto di un ripido sentiero che parte dalla chiesa castrale di Santa Maria del Poggio. Del castrum, già in rovina alla fine del Trecento, si conserva la torre quadrata risalente al XII-XIII secolo, ristrutturata in tempi recenti. Lungo il pendio compreso tra la rocca e la chiesa castrale sono visibili gruppi di case, in parte scavate nella roccia, abbandonate alla fine del Medioevo a causa del progressivo trasferimento della popolazione nel vicino villaggio di Fiamignano. Il castello di Poggio Poponesco era uno degli insediamenti fortificati più importanti del Cicolano. Nel 1183 probabilmente era tra i feudi detenuti in capite dal barone Rainaldo di Sinibaldo che governava anche il castello di Mareri e i castelli di Casardita, Girgenti, Poggio Poponesco, Poggio Viano, Radicaro, Sambuco e Rocca di Alberto. Rainaldo aveva fissato la propria dimora presso Mareri da cui la famiglia prese probabilmente il nome. Nel 1283, a causa delle lotte che opponevano in questi anni la Chiesa e l’Impero, il castello di Poggio Poponesco venne distrutto. La popolazione iniziò così a spostarsi progressivamente nel vicino villaggio di Fiamignano, mentre Poggio Poponesco continuava ad essere utilizzato come rifugio dagli abitanti dei vicini villaggi. Nel 1523 Maria Costanza Mareri lo vendette, insieme ad altri possedimenti, al cardinale Pompeo Colonna, vescovo di Rieti. Successivamente passato ai Barberini, rimase ad essi fino al 1700. Proseguendo oltre Fiamignano, abbandonando la strada asfaltata e dirigendosi verso l’altopiano di Rascino, ci si imbatte nei resti di un antichissimo insediamento che si sviluppava su due nuclei abitativi, il primo in alto, il secondo, di minor dimensione, più in basso, nei pressi dell’antica pieve di Santa Maria. Oggi rimangono la rocca e i resti di sedici abitazioni in parte incastrate nella roccia, un tempo costruite con muretti legati da malta e completate in legno e coperte di canne. La fondazione del castello viene fissata tra l’XI e il XII secolo. Nel XIII secolo il castello di Rascino partecipava insieme ad altri castelli alla fondazione di L’Aquila, venendo incorporato nel suo contado. Venne saccheggiato e incendiato nel 1347, ad opera delle schiere aquilane ed ungheresi. Dopo ciò e anche in seguito al peggioramento delle condizioni climatiche e per la scarsezza delle risorse legate soprattutto alla pastorizia, venne definitivamente abbandonato alla fine del Trecento dagli abitanti che si rifugiarono nello stato di Mareri e si divisero nei castelli di Mareri, Petrella, Staffoli, Poggio Poponesco (Fiamignano) e Gamagna; altri pochi, con gli ecclesiastici, si trasferirono nella città dell’Aquila. Ripartendo da Fiamignano e continuando in direzione di Gamagna, attraver- 81 so la tortuosa strada che costeggia il lago del Salto, si arriva fino a S. Ippolito, ultimo avamposto sul bacino artificiale. Da qui si può raggiungere il castello di Macchiatimone, attraverso un percorso tutt’altro che agevole. Alla fortezza si può arrivare anche dal versante opposto del lago. Subito dopo Pace, infatti, si svolta per Baccarecce, poco oltre il piccolo centro, si scende a piedi tra fitti castagneti fin sotto il castello, uno dei più importanti dell’intero territorio, edificato su uno stretto e alto sperone di circa 180 metri. Oggi rimangono, in parte coperte dalla folta vegetazione, una maestosa torre quadrata alta circa 18 metri, due circuiti di mura difensive, dei torrioni a sezione circolare e i resti di alcune abitazioni, in parte inserite nella roccia. Le prime informazioni sul castello si hanno solo a partire dalla metà del XII secolo quando era uno dei feudi in capite di Gentile Vetulo. Intorno al 1230 divenne una delle principali fortezze organizzate, lungo la valle del Salto, da Federico II a scopo difensivo. Alla fine del Duecento però il castello venne inserito nella baronia di Collalto, compresa nello Stato della Chiesa, e, per volere di Carlo V, nel 1500 passò ai Savelli. Agli inizi del Seicento l’insediamento, ormai in crisi, fu abbandonato dagli ultimi abitanti che si trasferirono nel vicino villaggio di Pace, fondato tra il XII e il XIII secolo. Ripartendo da Macchiatimone e mantenendosi sul versante della valle opposto a quello percorso fino a questo punto ci troviamo dinanzi alle fatiscenti rovine di altre fortezze; unica eccezione il castello di Rigatti, ottimamente conservato con il suo nucleo centrale formato dal torrione e da un corpo trapezoidale. Risale anch’esso al XII secolo e per lungo tempo fu tra i possedimenti dei Mareri; fu roccaforte di difesa del regno di Napoli nei confronti dello Stato Pontificio, prima di entrare a far parte di quest’ultimo. Spostandoci verso la zona di Borgorose si incontrano i ruderi di altre rilevanti fortificazioni. Tra questi quelli del castello di Collefegato edificato, nel XII secolo, sulla sommità dell’omonimo colle, forse ad opera di un feudatario della famiglia Fidanza del territorio aquilano. Dell’estesa fortificazione rimangono numerosi, anche se frammentari, resti che permettono di avere un quadro chiaro del complesso: un borgo cinto da mura e da rocche con un’estensione di circa ottomila metri quadrati. Sono ancora visibili alcuni torrioni, uno spazio utilizzato forse come prigione oppure come cisterna e la chiesa medievale. A breve distanza emergono le rovine del castello di Corvaro edificato all’estremo nord del villaggio medievale e del paese attuale, su un colle, in posizione strategicamente militare. Per giungervi è necessario attraversare tutto il borgo antico. Le sue prime notizie risalgono al XII secolo, quando è ricordato 82 come di proprietà dell’abbazia di Farfa. A metà del XII secolo, a seguito dello stanziamento normanno, Corvaro venne sottratto, quasi certamente, al controllo dell’abbazia anche se a continuare l’opera benedettina pensarono i francescani. Nel 1275 il castello apparteneva a Pietro de Insula (Isola del Gran Sasso) il quale, l’anno dopo, lo cedette a Sinibaldo da Vallecupola. Successivamente fu al centro di un’aspra contesa tra Filippa contessa d’Albe e Gentile di Amiterno ed i suoi fratelli. Il castello passò poi ai Da Poppleto, agli inizi del Quattrocento divenne contado autonomo del quale fu investito Bonomo Da Poppleto, al quale successero i Mareri, gli Orsini e dal 1480 i Colonna. I resti dell’imponente rocca versano oggi in uno stato di pauroso abbandono e dominano il borgo medievale, distinto in una parte alta, semi abbandonata, e in una parte bassa che si estende nella piana di Corvaro. Non lontana da questa sorgeva il castello di Torano di origine franca, sede di un feudatario sicuramente importante, vista l’imponenza delle costruzioni. Le mura di cinta del borgo medioevale erano multiple e potenziate da 12 torrioni. Le sue prime notizie risalgono al 1113, quando un certo Annolino, figlio di Oderisio, fece dono a Benincasa, vescovo di Rieti, dei suoi diritti sul castello e di un terzo del feudo. Sotto il dominio degli Angioini, nel 1271, il castello rientrò tra i domini di Petrus De Insula; passò poi a Gentile di Amiterno; successivamente ai Camponeschi, poi ai Da Poppleto, agli Orsini e ai Colonna. Nel 1250 Fabrizio Colonna lo concesse al cavaliere romano Pietro Caffarelli. Tra gli ultimi proprietari si ricordano i baroni Antonini di Pace. Dell’imponente complesso resta oggi una torre, recentemente ristrutturata, a pianta quadrata, di circa trenta metri di altezza, isolata dal resto del complesso medievale che era situato su un colle, alto poco più di settecento metri, tra Torano-piazza (Torano) e Torano-villa (Villa Torano). 4. Conclusioni Il presente contributo è stato proposto come un primo quadro complessivo sui dati disponibili e sulle acquisizioni più recenti in merito al fenomeno dell’incastellamento nel Cicolano: la sommarietà delle riflessioni è dipesa in parte dal taglio limitato di questo intervento, in parte dalla carenza di adeguati approfondimenti disciplinari sui singoli aspetti presi in considerazione: ci si augura che da questa giornata di studi parta un impulso per l’esame puntuale dei vari temi della storia della regione che necessita al più presto di un’opera sistematica di recupero e di rivalutazione dei preziosi beni archeologici che la costellano e che, permanendo nello stato attuale, sono destinati a sparire del tutto. 83 ROCCHE E CASTELLI NELLA VALLE DEL SALTO (Elenco e alcune fotografie di Anna Canestrella. Rassegna al www.valledelsalto.it) COMUNE DI VARCO SABINO Castello di Varco Sabino Castello di Poggio Vittiano Rocca Vittiana Castello di Rigatti COMUNE DI CONCERVIANO Castello di Concerviano Castello di Pratoianni COMUNE DI MARCETELLI Castello di Marcetelli COMUNE DI PETRELLA SALTO Castello di Capradosso Castel Mareri Castello di Staffoli Rocca Petrella (o Rocca Cenci) Castello di Vallebona COMUNE DI PESCOROCCHIANO Castello di Macchiatimone Castello di Varri (o Barri) Castello di Pescorocchiano Castello di Girgenti Castello di San Giovanni di Lapidio Rocca Berarda Rocca Randisi COMUNE DI FIAMIGNANO Castello di Castiglione Castello di Gamagna Castello di Poggio Poponesco Castello di Radicaro Castello di Rascino Rocca del Salto Rocca Alberisi Rocca Odorisio Rocca (Mareri) a Sambuco COMUNE DI BORGOROSE Castello di Collefegato Castello di Corvaro Castello di Castelmenardo Castello di Maleto (o di Malito) Castello di Poggiovalle Castello di S. Anatolia Castello di Spedino Castello di Torano 84 Castello di Rigatti, Comune di Varco Sabino (Foto cortesia di Anna Canestrella) Rocca (Mareri) a Sambuco, Comune di Fiamignano (Foto cortesia di Anna Canestrella) Castello di Rocca Randisi, Comune di Pescorocchiano (Foto cortesia di Anna Canestrella) 85 Nel 1907, a firma di Domenico Lugini, vedevano la luce a Rieti, per i tipi di Pietro Petrongari, le Memorie storiche della Regione Equicola ora Cicolano. Nato a S. Lucia di Fiamignano il 17 gennaio 1857 e ivi morto il 5 luglio 1922, Domenico Lugini continua ad essere un riferimento unico per studiosi e ricercatori interessati al Cicolano e alla Valle del Salto, per aver dato un grande contributo alla conoscenza della storia della sua terra. A distanza di quasi un quarto di secolo dai capitoli LXXXVIII e LXXXIX del Corpus Inscriptionum Latinarum1 IX riservati da Theodor Mommsen all’edizione delle iscrizioni latine degli Aequiculi e di Cliternia2 , per cui si era giovato dell’autorevole autoscopia di Heinrich Dressel3 , Lugini volle nuovamente ripercorrere l’itinerario intrapreso dalla scuola tedesca, riconsiderando quanto era stato già trasmesso dalla raccolta epigrafica berlinese e portando a conoscenza 1 D’ora in avanti CIL. 2 CIL, IX, pp. 19*, 388-395, 683; nn. 379*-386, 4103-4176, 6351. 3 CIL, IX, p. 389: “Denique DRESSELIVS, qui a me rogatus regionem illam inviam summo, sed fructuoso labore titulorum describendorum causa peragravit”. Cento anni dopo l’esperienza epigrafica di

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