L’incastellamento nel Cicolano: ritmo e forme di una crescita
ANNA CANESTRELLA
I resti del castello di Rocca Petrella (Rocca Cenci)(Comune di Petrella Salto, Rieti)
(Foto cortesia di Anna Canestrella)
Cicolano”1 di Domenico Lugini, edita nel 1907: un compendio organico e
compiuto del Cicolano inserito nel più ampio contesto della storia italiana.
Lettura assolutamente primaria e irrinunciabile per chiunque voglia conoscere
la storia del territorio.
Una parte di questa ricerca ha voluto essere un contributo ad un repertorio
dei castelli e delle rocche del Cicolano. Si tratta di un vero e proprio catalogo
di tutti i dati raccolti ai quali si è tentato, non senza difficoltà, di dare
una forma il più possibile scientifica.
Ricostruire per filo e per segno le tappe della nascita e dell’evoluzione
degli insediamenti nel Cicolano è impresa molto ardua per quanto riguarda il
periodo anteriore al X secolo a causa della carenza delle fonti scritte e del
vuoto delle ricerche di archeologia medievale. Si è potuto fare affidamento
solo su alcuni documenti conservatisi attraverso il registro di Farfa2 che a
partire dal secolo X si arricchisce grazie anche agli atti privati custoditi negli
archivi capitolari delle varie province laziali: Rieti tra queste. Si è cercato di
condurre l’esame non solo ricorrendo alle fonti documentarie, ma anche ai
dati del territorio; ciò nonostante si è riusciti ad ottenere non più di una ricostruzione
di un quadro generale degli insediamenti, ancora provvisorio e che
necessita di un’ulteriore ricognizione sul campo mediante appropriat
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predefiniti. Studi di carattere generale sull’avvenimento e sugli insediamenti
ad esso relativi sono stati piuttosto frequenti a partire soprattutto dal 1973,
anno del monumentale lavoro di Pierre Toubert4 sul Lazio. Il dibattito, piuttosto
ampio, inizialmente si è incentrato sull’area considerata nello stesso
libro di Toubert e poi si è spostato su altre zone meno estese, introducendo
alcuni nuovi elementi e giungendo talvolta a risultati divergenti. Così al
modello laziale elaborato da Toubert si sono contrapposte, tra le altre, le
posizioni espresse da Wichkam,5 da Clementi6 e da Staffa7 a proposito dell’incastellamento
in alcune regioni del Molise e dell’Abruzzo; si tratta di studi
che trovano alcuni consensi anche per il Cicolano e ai quali ci siamo riferiti
per farci un’idea il più possibile chiara del fenomeno.
Toubert, a proposito dei suoi studi sul Lazio meridionale, ha individuato
nell’incastellamento, la struttura “globalizzante”8 dell’intero territorio che fra
l’anno 920 e la metà del secolo XI ha visto innalzati centinaia di castelli. Si
tratta, per lo studioso francese, di “…insediamenti accentrati e fortificati su
4 PIERRE TOUBERT, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe siècle à
la fin di XIIe siècle, Roma 1973, École Française de Rome, 2 voll., trad.it. Feudalesimo mediterraneo. Il
caso del Lazio medievale, a cura di DANILO ZARDIN, Milano 1977, Edizioni Jaka Book. L’edizione italiana,
ampiamente consultata, seppur privata di molti parti rispetto all’originale (primi due capitoli, tutte le
appendici poste alla fine dei capitoli e tutte le note) è stata comunque utile per la comprensione generale
del fenomeno.
5 CHRIS WICKHAM, Studi sulla società degli Appennini nell’Alto Medioevo.Contadini, signori e insediamento
nel territorio di Valva (Sulmona),Bologna 1982, [s. ed.]; ID., Castelli e incastellamento nell’Italia
centrale: la problematica storica, in “Castelli. Storia e archeologia. Convegno di Cuneo 6-8 dicembre
1981. Atti”, a cura di A. R. COMBA e A. SETTIA, Torino 1994, [s. ed.], pp. 137-148; ID., Il problema dell’incastellamento
nell’Italia centrale; l’esempio di San Vincenzo al Volturno. Studi sulla società degli
Appennini nell’alto Medioevo, Firenze 1985, Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s.; ID., Castelli e incastellamento
nell’Itala centrale, in “Archeologia e Storia del Medioevo italiano”, a cura di R. FRANCOVICH,
Roma 1987, [s. ed.], pp. 83-96. 6 ALESSANDRO CLEMENTI, Abruzzo dei castelli. Gli insediamenti fortificati abruzzesi dagli Italici all’Unità
d’Italia, a cura di GIUSEPPE CHIARIZIA e PIERLUIGI PROPERZI, Pescara 1988, [s. ed.], (rist., Pescara 1995,
Edizioni Carsa); ID., L’incastellamento negli Abruzzi, in “Abruzzo e Molise. Ambienti e civiltà nella storia
del territorio”, a cura di M. COSTANTINI e C. FELICE, Mantova 1993, [s. ed.], pp. 121-150; ID., L’incastellamento
negli Abruzzi, Teramo 1996, [s. ed.]. 7 ANDREA R. STAFFA, La topografia altomedievale della zona di Corvaro, in “L’antipapa Niccolo V nel
650° anniversario d’incoronazione. Convegno di Studi Storici. Borgorose 1979. Atti”, a cura di GIOVANNI
MACERONI, Rieti 1981, Il Velino, pp. 113-152; ID., L’assetto territoriale della Valle del Salto fra la
tarda antichità e il Medioevo, in “Xenia”, 13, 1987, pp. 45-84; ID., Abruzzo fra tarda antichità ed alto
medioevo: le fonti archeologiche”, in “Archeologia Medievale”, XIX, 1992, pp. 789-853; ID., L’Abruzzo
fra tardo-antico e alto-medioevo, in “Abruzzo e Molise. Ambienti e civiltà nella storia del territorio”, a
cura di M. COSTANTINI e C. FELICE, Mantova 1993, [s. ed.], pp. 51-120. 8 PIERRE TOUBERT, Feudalesimo mediterraneo. Il caso del Lazio medievale, cit., p. 9.
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sommità di colli o su speroni di versante con la raccolta di persone e famiglie
prima isolate in un habitat disperso e con la riunificazione delle terre nelle
mani del padrone del castello.”9 Dunque la fondazione di un castello implica
secondo il modello classico di Toubert “…due operazioni simultanee: la congregatio
populi, l’amasamentum hominum, cioè la concentrazione dei nuovi abitanti
del villaggio all’interno di un perimetro già delimitato per ospitare le
abitazioni, e la consolidatio fundorum (coherentia pertinentiarum, constitutio in
unum), ristrutturazione dello spazio coltivato che doveva sfociare nell’allestimento
di quartieri diversificati….”10 Clementi, da parte sua, ha individuato
proprio nel nuovo uso del suolo la ragione economica della politica di concentrazione
delle genti e di difesa territoriale attuata con l’incastellamento.
Al modello di Toubert ha fatto seguito, tra gli altri, quello elaborato da
Wickham secondo il quale la fortificazione degli insediamenti sarebbe l’esito
ultimo di una iniziale trasformazione dei casali in ville e di un successivo processo
di accentramento della popolazione. Ma se Wickham ha sottolineato le
differenze, tutt’altro che marginali, esistenti tra accentramento e incastellamento,
Staffa ha posto l’accento su un altro processo sottovalutato da Toubert:
il sopravvivere di insediamenti sparsi all’interno dei territori dei castelli,
un aspetto significativo nel Cicolano. Chiaramente, nel ridotto spazio a
disposizione, si è presentato un insieme estremamente generico di spiegazioni,
ma si può comunque comprendere come tutti questi modelli, al di là delle
differenze anche notevoli sui diversi aspetti, non siano inconciliabili, ma intimamente
connessi e applicabili, almeno in parte, al nostro piccolo territorio,
anche se solo un’attenta analisi archeologica potrà accertare gli elementi più
significativi del problema, offrire le giuste risposte e riconoscere la validità
delle specifiche posizioni storiografiche.
2. L’assetto territoriale della Valle del Salto prima e nell’età dei castelli
A questo punto della ricerca si deve più che mai procedere con molta cautela,
ripartendo dall’esame dei tratti salienti della tesi di Toubert che pone
l’incastellamento nel contesto economico della Sabina della metà del X seco9
Ibidem.. 10 E ancora: “Quando, verso la metà dell’XI secolo, la grande ondata delle fondazioni si è esaurita, ogni
castello ha delimitato la sua pertinentia, il suo tenimentun. Il completamento della ripartizione dei territori
dei villaggi non ha lasciato posto ad alcun interstizio…lo spazio si era chiuso.”Ivi, pp. 93-94.
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lo: un periodo di espansione economica e di crescita agricola condotta dai
proprietari terrieri ecclesiastici e laici. E’ a partire da questo periodo che in
tutto il Lazio predominarono forme molto concentrate dell’insediamento. Si
tratta, per lo storico francese, di una struttura ‘genitrice’11 di un intero sistema
in quanto intorno ad essa si organizzano progressivamente altre strutture.
“Siffatta struttura castellana non fu soltanto una riorganizzazione del popolamento
e della proprietà terriera, - scrive - ma comportava una nuova sistemazione
delle colture, della parcellazione fondiaria e del lavoro agricolo, e
determinava la formazione di una signoria territoriale castrense e l’impianto
di una nuova struttura di inquadramento religioso e civile con la costituzione
della parrocchia nella chiesa del castello, la quale assumeva le funzioni dell’antica
pieve, e con l’appropriazione delle facoltà giurisdizionali da parte del
signore entro il territorio pertinente al castello…; e, d’altra parte, a una mentalità
pionieristica correlativa all’habitat disperso si sostituì una mentalità
comunitaria a mano a mano che si creava il vicinato.”12 Un modello insediativo
quello dell’incastellamento che è riuscito a mutare, tanto profondamente
quanto durevolmente, il paesaggio rurale dell’Italia medievale in generale, a
tal punto che, secondo alcuni studiosi, “…l’incastellamento avrebbe determinato…una
radicale riorganizzazione non solo del territorio, ma dell’economia
rurale, promuovendo la concentrazione della popolazione prima dispersa
nelle campagne in pochi abitati fortificati, e mutando di conseguenza il volto
del paesaggio agrario…”13 Per altri invece il proliferare dei castelli non determinò
in modo così geometrico la concentrazione degli abitati, né pare che se
ne possa parlare come di una svolta rivoluzionaria sul piano del popolamento
e delle strutture agrarie.”14 Quest’ultimo sarebbe proprio il caso del Cicolano,
dove l’incastellamento non avrebbe portato ad un totale mutamento nelle
forme di occupazione del territorio poiché sopravvissero numerosi insediamenti
aperti anche dopo l’XI e il XII secolo.15 Ciò in quanto proprio le caratteristiche
economiche e geografiche del territorio avrebbero resa inadeguata
la struttura dell’incastellamento. Lo stesso fenomeno dell’abbandono dei
11 Ivi, p. 9. 12 Ibidem.
13 Ibidem.
14 Ivi, p. 64. 15 ANDREA R. STAFFA, L’assetto territoriale della Valle del Salto fra la tarda antichità ed il Medioevo, cit., p. 77.
castelli che raggiunse il suo apice fra il XIV e il XV secolo lo dimostrerebbe.
In quello stesso periodo si registrò così una nuova aggregazione della popolazione
intorno a dieci delle sedici chiese considerate come rurali segnando così
“…il ritorno delle popolazioni a forme di insediamento più adatte alle potenzialità
economiche di un’area caratterizzata da terreni coltivabili limitati
situati per lo più lungo il Salto e sulle pendici collinari lungo i torrenti ad
esso adducenti.”16
Tra l’XI e il XII il quadro territoriale del Cicolano in ogni modo si modifica:
vengono abbandonati gli insediamenti situati nel fondovalle e innalzati nuovi
centri incastellati o meglio fortificati; a volte si assiste alla rioccupazione di antichi
siti italici, ma il più delle volte si sviluppano centri urbani di nuova fondazione
anche se raramente collocati lontani dagli stanziamenti dell’età precedente.
Luoghi che ad un certo momento la popolazione del nostro territorio
comunque aveva abbandonato. Quali le motivazioni? A lungo si è creduto che
la paura delle invasioni saracene che colpirono anche il Cicolano fosse stata
alla base della decisione degli abitanti della zona, isolati e inermi, di rifugiarsi
in luoghi impervi e scoscesi, per potersi meglio difendere e avere un luogo sicuro
in cui rifugiarsi. Tra i secoli IX e XI nuove ondate migratorie, infatti, avevano
interessato molte regioni dell’Europa occidentale e, in alcuni casi, profonde
erano state le trasformazioni che avevano apportato alle strutture sociali, politiche
e territoriali. Saraceni,17 Normanni, Ungari e Slavi con le loro incursioni e
scorrerie avevano messo in allarme gli abitanti di molte regioni d’Italia fin
anche dello stesso Cicolano non protetto da quell’ isolamento che naturalmente
lo contraddistingue. E proprio alle incursioni saracene, secondo i più, si deve la
nascita del Cicolano moderno. Da qualche anno è però in atto, anche per molte
altre regioni d’Italia, una revisione storiografica che, sfumando il peso di questi
assalti, ha obbligato a evidenziare dinamiche interne di trasformazione. E’
certo che nell’anno 877 bande di Saraceni, dalla Marsica, si riversarono nella
Valle del Salto ed in quella del Turano. La cronologia degli eventi legati alla
presenza degli invasori in questi territori non è affatto chiara né chiarificabile.
Del resto ci troviamo dinanzi ad incursioni non rigidamente preordinate, di
carattere occasionale e perciò prive di disegni strategici ben ordinati. E’ diffici72
16 Ibidem.
17 Le fonti occidentali con il termine ‘saraceni’ indicano gli Arabi o le popolazioni islamizzate del Nordafrica
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le valutare quanto profondamente siano penetrate nel Cicolano queste prime
incursioni, né per quanto tempo esse siano durate; certamente il trauma iniziale
fu notevole: un’intera realtà di vita venne ad essere di colpo sconvolta.
L’attività delle bande saracene continuò a lungo e nel nostro territorio riuscirono
a creare basi stabili, punti di accentramento e di successivo trasferimento
verso la costa tirrenica degli schiavi catturati e delle ricchezze predate.
“Dallo studio della toponomastica risulta evidente come queste genti si siano
stanziate stabilmente nel Cicolano, lasciando tracce soprattutto nei nomi dei
luoghi: alcuni terreni presso il villaggio di Santa Lucia di Fiamignano, ad
esempio, sono indicati nei catasti col nome di Muro Saraceno, e sia ad Alzano,
frazione di Pescorocchiano, che a Castelmenardo, frazione di Borgorose,
si trovano luoghi denominati Aia dei Saraceni.”18 I Saraceni, per non rimanere
isolati, furono costretti a ritirarsi dalle basi del Cicolano.Tuttavia le scorrerie
sembrerebbero continuare per anni se, ancora nel 923 si parla, a proposito
della pieve di S. Angelo di Fiumata dell’incendio della chiesa da parte dei
Saraceni (sempre che l’attribuzione del fatto ai Saraceni non celi una realtà
diversa, per un processo di identificazione generica degli assalitori con questi
popoli); anche la cella farfense di S. Benedetto di Petrignano fu investita.
Ma qual è il ruolo svolto dalle incursioni saracene nella nascita della
nuova organizzazione del territorio che si sviluppa nel Cicolano? L’esperienza
dell’invasione saracena, giunta quasi all’improvviso, deve aver obbligato
gli uomini a ricercare diversi modi di protezione. E la scelta di nuovi
insediamenti meglio difendibili è, senza dubbio, il primo atto di questa difesa.
A questo proposito, riferendosi all’incastellamento nella Sabina del X
secolo, scrive Toubert: “Se si tiene conto delle esagerazioni letterarie dei
cronisti – che in questo campo costituiscono le uniche fonti a cui si possa
fare riferimento –, delle loro incertezze e delle loro contraddizioni, si è
costretti a ricollocare su un piano decisamente secondario il ruolo svolto
dalle ultime ondate barbariche. La minaccia saracena, che nella nostra
regione si è fatta sentire solamente negli anni 870-910, non è una causa ma
una conseguenza della dissoluzione delle strutture d’inquadramento verificatasi
dopo il crollo dell’impero carolingio nel vuoto aperto dalla morte di
18 DOMENICO LUGINI, Quella terra chiamata Cicolano, ristampa delle Memorie storiche della regione
equicola ora Cicolano, cit., p. 54.
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Ludovico II (875).”19 Non si tratta dunque di un episodio drammatico all’interno
di una crisi sociale più ampia che si manifesta anche attraverso il fenomeno
dei latrunculi christiani20 attivi quasi quanto i guerrieri pagani. Dunque
sia la storiografia antica sia l’erudizione locale hanno sopravvalutato l’importanza
di questi invasori indicandoli come “…i responsabili di un ‘riflusso’ degli
uomini verso i centri d’acropoli più sicuri. In realtà, questa strutturazione
dell’habitat per castra – che è il grande avvenimento del X secolo – è il segno
non di un ripiegamento, ma di un balzo in avanti.”21 Il castrum appare infatti
come “…una struttura originale di occupazione del suolo…sostenuta dalla
crescita demografica…”22 Nel secolo X infatti la popolazione era in forte crescita,
le attività economiche erano in netta ripresa, i ceti mercantili diventavano
sempre più attivi e intraprendenti e nelle campagne si assisteva ad un decisivo
miglioramento delle tecniche agricole. Eppure agli inizi del secolo non
abbiamo ancora un vero e proprio boom demografico, pertanto non possiamo
esagerarne l’importanza e allora “…l’incastellamento appare come lo sbocco
d’uno slancio più antico nell’occupazione del suolo, i cui inizi esitanti devono
essere riportati al IX secolo e forse alla seconda metà dell’VIII.”23 In quel
periodo, in particolare, nel Cicolano, terra poco produttiva e scarsamente
popolata, prevaleva il latifondo, mentre le numerose donazioni alle grandi
abbazie benedettine e la crisi dell’autorità diocesana, avevano permesso un’espansione
della giurisdizione monastica sia nell’ecclesiastico sia nel civile. Con
l’affermazione del potere monastico a scapito dell’autorità diocesana dei
vescovi di Rieti, si era avuta anche una rinascita dell’agricoltura della zona. La
crisi della grande proprietà longobarda dei secoli VII e VIII aveva in realtà
portato ad una riconquista del territorio all’agricoltura; una ripresa lenta ma
progressiva, a capo della quale si erano posti proprio i monaci benedettini stabilitisi
nella zona; un’attività la loro portata avanti anche nei secoli successivi.
Non è comunque facile farsi un’idea precisa della situazione esistente nel
Cicolano nel X secolo, come in molte altre zone del Lazio, poiché non disponiamo
di nessuna documentazione significativa.“Ma tutti i dati frammentari e
19 PIERRE TOUBERT, Feudalesimo mediterraneo. Il caso del Lazio medievale, cit., p. 86. 20 TERSILIO LEGGIO, Saraceni e Ungari nella Sabina e nel Reatino tra il IX e il X secolo, in “Il Territorio”,
3/2, maggio-agosto 1987, pp. 61-78, p. 63.
21 PIERRE TOUBERT, Feudalesimo mediterraneo. Il caso del Lazio medievale, cit., p. 87. 22 Ivi, pp. 87-88. 23 Ibidem.
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indiretti offerti dagli atti della prima metà del X secolo lasciano intravedere l’esistenza
d’un movimento più antico di riconquista agraria…Vi si rintracciano,
fin dai primi anni del X secolo, i segni di un’espansione in atto, che aveva già
lasciato un’impronta sull’occupazione del suolo. A fianco degli antichi centri
dominicali (curtes, domuscultae, domuscultiles) i grandi complessi signorili
(massae) incorporavano in effetti tutta una serie di piccoli centri di colonizzazione
agraria, scarsamente organizzati e d’origine recente (coloniae), e di casolari
dispersi (casae, casalia) impegnati nel tentativo di ridurre a coltura (perducere
in cultum) gli spazi intercalari, talvolta a partire da quel punto di coagulo delle
energie conquistatrici che era rappresentato dall’oratorio rurale.”24 Una ripresa
che si avviò nella seconda metà del secolo VIII e si affermò più nettamente a
partire dalla metà del secolo IX, per arrivare alla grande rivoluzione dei secoli
successivi, XI e XII in particolare per quanto riguarda il Cicolano. Prima di
tale data “…c’erano pochi castelli o non ce n’erano affatto. Il paesaggio era
dominato dalla villa, dal casale, dal praedium rusticum…”25 L’incastellamento fissò
così i quadri d’una nuova forma di occupazione del suolo. “…le fondazioni di
castelli si sono sempre inserite in una trama di conquiste anteriori…le continuità
topografiche assolute sono state rare: solo in casi eccezionali il casale, la
curtis, la villa dell’alto medioevo si sono trasformati direttamente in castrum.
Tuttavia il nuovo villaggio ha ereditato il più delle volte spazi agricoli preesistenti.
Non troviamo mai che abbia creato il suo cultum integralmente da
zero…Il territorio del villaggio nascente ha incorporato quartieri cerealicoli di
vecchia data e quartieri più recenti…Anche la giustapposizione del cultum e
dell’incultum costituisce dunque un dato originario della struttura agraria creata
dall’incastellamento…Lo spazio agricolo ha potuto allargarsi solo ridimensionando
le attività pastorali.”26 Ciò accade nel nostro piccolo territorio dove i
nuovi centri accastellati scelgono per lo più siti riconducibili a precedenti forme
di insediamento aperto. Scompaiono così molti vecchi insediamenti situati nel
fondovalle e nascono diversi centri collocati sulle alture e fortificati. Nonostante
ciò molto si è conservato del quadro insediativo antomedievale anche dopo il
secolo XII; infatti sebbene nel Cicolano la fondazione dei nuovi castra non sia
collocabile prima dell’XI secolo e incida “…sull’assetto territoriale, non riesce a
24 Ivi, p. 91. 25 Ivi, p. 92. 26 Ivi, pp. 95-96.
76
modificarne completamente la topografia che continua ad essere caratterizzata
sino ad oggi dall’esistenza di piccoli villaggi e frazioni che si collegano alle villae
del IX secolo…”27 È così per Petroniano, l’attuale Petrignano, Fungie, Corneta,
Cliviano, l’odierno S. Stefano presso Corvaro, Beviano localizzabile ove più
tardi nasceranno Poggio Viano e Torano. “Ovviamente, nella scelta del nuovo
assetto territoriale, le esigenze di difesa e di fortificazione dovettero essere conciliate
con le esigenze di una piena utilizzazione agricola del territorio stesso.
Pertanto si scelsero, come sedi per le nuove residenze, zone in altura facilmente
difendibili ma prossime a territori pianeggianti.”28 Non sorsero solo rocche e
castelli, ma anche casali in prossimità o nel mezzo dei territori messi a coltura. I
signori ampliarono il più possibile l’area intorno al castrum venendo spesso in
conflitto con le abbazie e nella maggior parte dei casi riuscirono ad avere la
meglio sulle stesse. A loro volta anche i monaci furono costretti ad incastellare.
Ne sono esempio, oltre ad alcuni centri appartenenti all’Abbazia di San Salvatore
Maggiore, quali Rocca Vittiana e Poggio Vittiano, in particolare Corvaro e il
gualdo di Sant’Angelo in Flumine, trasformatosi in Poggio Sant’Angelo, oggi
Fiumata. “Se è vero che si instaura una gara fra signori e monasteri per controllare,
attraverso l’incastellamento, una porzione di territorio, è altrettanto vero
che lo stesso rapporto fra grandi proprietari e monasteri s’incrina per dar luogo
ad una particolare conflittualità su problemi di giurisdizione. L’incastellamento,
infatti, comportava diritti di piena giurisdizione sul castrum e sul territorio
immediatamente circostante e pertanto, mentre i signori tentano di ampliare il
loro potere (essendo la loro autorità all’inizio circoscritta in piccole aree), superando
il limite dei compascua, i monasteri, che si vedono danneggiare dalle continue
usurpazioni patire nei loro beni extracastrali, devono tentare l’impossibile
per arrestare il fenomeno in atto.”29 Tuttavia ancora nel secolo X, i monaci e i
grandi proprietari terrieri continuarono nella loro intensa attività di sfruttamento
agricolo. Spesso l’accordo era però solo apparente e nascondeva conflitti
profondi sui problemi giurisdizionali delle nuove chiese castrali quando le fondazioni
non erano state direttamente monastiche. “In che misura questa lotta
27 ANDREA R. STAFFA, L’assetto territoriale della Valle del Salto fra la tarda antichità ed il Medioevo, cit., p. 54. 28 Ivi, p. 56. 29 ANDREA DI NICOLA, Monasteri, laici, ordinari e curae animarum nel Cicolano (Secc. IX-XIII). Appunti
e spunti per una ricerca, in “San Francesco nella civiltà medioevale con riferimento alla Valle Reatina, al
Cicolano e a Corvaro. Atti Convegno di Studi Borgorose 18-19 dicembre 1982”, a cura di GIOVANNI
MACERONI, Rieti 1983, Editrice Il Velino, pp. 213-223; pp. 216-217.
77
per la leadership abbia contribuito allo sviluppo ed alla trasformazione del territorio
del Cicolano, possiamo saperlo dall’alto numero dei centri incastellati…che
daranno vita, al posto dell’insediamento sparso e senza grandi punti di riferimento
che non fossero quelli dell’organizzazione religiosa dell’economia modesta
e stagnante, ad un assetto territoriale notevolmente differente…”30 dove interagivano
i due sistemi organizzativi, quello laico e quello monastico, che venne
progressivamente estromesso dai signori i quali avevano iniziato a fondare
anche chiese castrali. Ricordiamo solo che “…costruire una chiesa, significava
per il signore innanzi tutto la proprietà esclusiva su di essa oltre che uno sganciamento
dal potere vescovile e monastico e, quindi, anche una fonte di
reddito.”31 Poco alla volta gli agglomerati urbani, ad eccezione di quelli dipendenti
da S. Salvatore Maggiore, vennero sottratti ai Benedettini. Ad esautorare
quasi completamente Farfa dal controllo delle curae animarum nel Cicolano,
saranno, nel 1153, Papa Anastasio IV e nel 1182 Papa Lucio III attraverso due
bolle che, prendendo atto delle usurpazioni in precedenza avvenute, le risistemano
con le donazioni al Vescovo.32 Tuttavia molte chiese rurali estesero a
lungo la loro giurisdizione ad insediamenti d’altura occupati con l’incastellamento
e solo molto più tardi, in genere prima del XIV secolo, si assiste ad un trasferimento
completo della cura in chiesa castrale. Ma è a partire dal XIII secolo che
“…i legami fra le popolazioni, in parte viventi nei nuovi centri incastellati e gli
antichi luoghi di culto divenuti ormai rurali, andarono lentamente allentandosi,
per il passare del tempo e la nascita di nuove esigenze economiche.”33 A partire
da questa data alcune chiese castrali sorte come semplici cappelle sostituirono le
più antiche pievi o ecclesie rurali sopravvissute pur fuori dell’incastellamento.
Nel Cicolano solo a partire dalla metà del XII secolo troviamo nelle fonti
traccia dei nuovi centri incastellati; anche se il processo fu certamente lungo e
antecedente.34
30 Ibidem.. 31 Ibidem..
32 Ivi, p. 220. 33 DOMENICO LUGINI, Quella terra chiamata Cicolano, ristampa delle Memorie storiche della regione
equicola ora Cicolano, cit., p. 24. 34 Prima dell’XI secolo, anche se non abbiamo dati cronologici precisi, dovrebbero sorgere i castelli di Mareri,
Capradosso, Staffoli, Girgenti, Poggio Poponesco, Sambuco, Radicaro, Castelmenardo, Collefegato, San
Giovanni di Lapidio, Pescorocchiano, Gamagna, Macchiatimone, Castiglione e Rascino, come pure la Rocca
di Petrella, Rocca Berarda, Rocca Librisi, Rocca Vittiana, Rocca del Salto, Rocca Odorisio, Rocca Randisi e
Rocca Maleto. Più tardi i castelli di Corvaro, di Torano, di Santa Anatolia, di Spedino e di Poggiovalle.
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Vengono edificati castelli a Castelmenardo, Collefegato, Corvaro, Maleto (o
Malito), Poggiovalle, Sant’Anatolia, Spedino e Torano; tutte località oggi comprese
nel comune di Borgorose.
Lo stesso accade nel territorio che oggi fa riferimento alla circoscrizione di
Fiamignagno. Rocca del Salto, Rocca Alberisi, Rocca Odorisio e Rocca Mareri
a Sambuco sono fortezze importanti insieme ai castelli di Castiglione, Gamagna,
Poggio Poponesco, Radicaro e Rascino.
Anche nel territorio dell’attuale comune di Pescorocchiano si ha notizia di
fortificazioni di varia imponenza: Rocca Berarda e Rocca Randisi sono sedi di
strutture rilevanti; mentre a Macchiatimone, a Varri (o Barri), a Pescorocchiano,
a Girgenti, a San Giovanni di Lapidio sorgono castelli.
E ancora altri castelli vengono innalzati a Capradosso, a Mareri, a Staffoli e
a Vallebona. Tutte località che oggi fanno capo al comune di Petrella Salto,
all’interno del quale troviamo anche la notissima Rocca Cenci.
Altre imponenti fortificazione sono rintracciabili in territori che sorgono nel
territorio delimitato dalle diluviali del fiume Salto e che oggi fanno capo a
comuni diversi dai quattro precedentemente ricordati. E così nel nostro repertorio
includiamo anche i castelli di Rigatti, di Poggio Vittiano e Rocca Vittiana
nel comune di Varco Sabino e l’importante insediamento fortificato di Marcetelli.
Una serie di stanziamenti questi ultimi nei quali le esigenze di difesa e di
controllo del territorio risultarono prevalenti rispetto a quelle produttive ed
economiche, dando luogo a strutture fortificate particolarmente essenziali e
centrate. Spesso tali funzioni militari risultarono così prevalenti sulle funzioni
produttive che il nucleo abitato decadde o tese a scomparire, con il trasferimento
dei suoi abitanti in luoghi meglio attrezzati per la residenza ma comunque
difendibili; ciò accadde ad esempio per il castello di Rascino, Rocca Randisi,
Rocca Malito, ecc... Le strutture insediative di maggior importanza erano in
generale caratterizzate da una posizione orografica idonea sia da un punto di
vista difensivo sia da un punto di vista residenziale e produttivo. Pescorocchiano,
edificato su un crinale roccioso dominante a picco sui terreni pianeggianti
circostanti, rappresenta un’eccezione. La maggior parte dei castra registrati non
presenta problemi di identificazione: alcuni hanno lasciato importanti resti. Più
difficile individuare i siti dei castelli che hanno mutato il loro nome o di quelli
scomparsi definitivamente; per alcuni di questi ultimi, in particolare, non sempre
è possibile un’ identificazione certa.
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3. In cammino tra le rovine
Il numero dei castelli e delle rocche disseminate sul territorio è tutt’altro che
modesto, ma, per ovvi limiti di spazio, in questa sede, se ne analizzano solo
alcuni, offrendone una descrizione e una ricostruzione sommarie e molto schematiche.
Quali linee hanno guidato questa scelta? I criteri di selezione adottati
si sono ispirati all’imponenza delle fortificazioni, alla loro rilevanza nel corso
della storia, alla collocazione geografica e alla suggestione ambientale.
Si è tentato di tracciare le linee di un possibile itinerario, facilmente percorribile,
che riproduce in piccola parte l’ipotetico percorso che metteva in comunicazione
castelli e rocche fra loro, soffermandosi su quello che oggi è rimasto. Si
tratta di resti che, purtroppo, nella maggior parte dei casi, versano in condizioni
di pauroso abbandono e/o in pieno disfacimento.
Partendo dal capoluogo reatino e percorrendo la S. S. Cicolana si incontrano,
ad un’altitudine appena superiore ai mille metri, i ruderi del castello di
Staffoli. Castrum sorto dopo il X secolo dall’accentramento degli insediamenti
sparsi intorno alla pieve di San Giovanni, compare per la prima volta in un
documento del 1182.35 L’anno successivo era tra i possedimenti di Berardo di
Collinirico, barone di Stiffe, e nel 1338 veniva annesso a Cittaducale.
Oltrepassato Staffoli si arriva a Petrella Salto, paese che si estende ai piedi
di uno sperone roccioso dal quale spiccano le rovine di un’imponente torrione,
recentemente ristrutturato. Qui sorgeva un’importante rocca, nota come Rocca
Petrella o Rocca Cenci (dalla tragedia avvenuta nel 1598, quando Beatrice
Cenci uccise il padre Francesco). Le prime notizie sulla fortezza che, in virtù
della sua posizione, fu inespugnabile per tutto il Medioevo, risalgono alla metà
del XII secolo,36 quando era feudo in capite di Gentile Vetulo che moriva prima
del 1170. Le tappe del successivo frammentarsi dei suoi possedimenti e del
subentrare della dinastia Mareri, che divenne la famiglia più importante della
nobiltà rurale della zona, sono piuttosto oscure. I Mareri comunque ne mantennero
il possesso per diversi secoli, anche se non in maniera continuativa,
come accadde per le altre fortificazioni che rientravano sotto il loro dominio.
Continuando il percorso sul versante della montagna, si rinvengono i resti
delle mura perimetrali di Castel Mareri; proseguendo su uno sperone i ruderi
35 ANDREA R. STAFFA, Il basso Cicolano dalla tarda antichità al secolo XIII con particolare riferimento
alla topografia storica del territorio di Cliternia, in “Storia e tradizioni popolari di Petrella Salto. I
Convegno di Studi Petrella Salto 1-2-agosto 1981. Atti”, Rieti 1982, Il Velino, 2 voll., I, pp. 7-41, p. 30.
36 L’antica rocca è documentata dal 1161.
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del castello di Poggio Poponesco, ai quali si arriva percorrendo un breve tratto
di un ripido sentiero che parte dalla chiesa castrale di Santa Maria del Poggio.
Del castrum, già in rovina alla fine del Trecento, si conserva la torre quadrata
risalente al XII-XIII secolo, ristrutturata in tempi recenti. Lungo il pendio compreso
tra la rocca e la chiesa castrale sono visibili gruppi di case, in parte scavate
nella roccia, abbandonate alla fine del Medioevo a causa del progressivo trasferimento
della popolazione nel vicino villaggio di Fiamignano. Il castello di Poggio
Poponesco era uno degli insediamenti fortificati più importanti del Cicolano.
Nel 1183 probabilmente era tra i feudi detenuti in capite dal barone Rainaldo di
Sinibaldo che governava anche il castello di Mareri e i castelli di Casardita, Girgenti,
Poggio Poponesco, Poggio Viano, Radicaro, Sambuco e Rocca di Alberto.
Rainaldo aveva fissato la propria dimora presso Mareri da cui la famiglia
prese probabilmente il nome. Nel 1283, a causa delle lotte che opponevano in
questi anni la Chiesa e l’Impero, il castello di Poggio Poponesco venne distrutto.
La popolazione iniziò così a spostarsi progressivamente nel vicino villaggio di
Fiamignano, mentre Poggio Poponesco continuava ad essere utilizzato come
rifugio dagli abitanti dei vicini villaggi. Nel 1523 Maria Costanza Mareri lo vendette,
insieme ad altri possedimenti, al cardinale Pompeo Colonna, vescovo di
Rieti. Successivamente passato ai Barberini, rimase ad essi fino al 1700.
Proseguendo oltre Fiamignano, abbandonando la strada asfaltata e dirigendosi
verso l’altopiano di Rascino, ci si imbatte nei resti di un antichissimo insediamento
che si sviluppava su due nuclei abitativi, il primo in alto, il secondo,
di minor dimensione, più in basso, nei pressi dell’antica pieve di Santa Maria.
Oggi rimangono la rocca e i resti di sedici abitazioni in parte incastrate nella
roccia, un tempo costruite con muretti legati da malta e completate in legno e
coperte di canne. La fondazione del castello viene fissata tra l’XI e il XII secolo.
Nel XIII secolo il castello di Rascino partecipava insieme ad altri castelli
alla fondazione di L’Aquila, venendo incorporato nel suo contado. Venne saccheggiato
e incendiato nel 1347, ad opera delle schiere aquilane ed ungheresi.
Dopo ciò e anche in seguito al peggioramento delle condizioni climatiche e per
la scarsezza delle risorse legate soprattutto alla pastorizia, venne definitivamente
abbandonato alla fine del Trecento dagli abitanti che si rifugiarono nello
stato di Mareri e si divisero nei castelli di Mareri, Petrella, Staffoli, Poggio
Poponesco (Fiamignano) e Gamagna; altri pochi, con gli ecclesiastici, si trasferirono
nella città dell’Aquila.
Ripartendo da Fiamignano e continuando in direzione di Gamagna, attraver-
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so la tortuosa strada che costeggia il lago del Salto, si arriva fino a S. Ippolito,
ultimo avamposto sul bacino artificiale. Da qui si può raggiungere il castello di
Macchiatimone, attraverso un percorso tutt’altro che agevole. Alla fortezza si
può arrivare anche dal versante opposto del lago. Subito dopo Pace, infatti, si
svolta per Baccarecce, poco oltre il piccolo centro, si scende a piedi tra fitti
castagneti fin sotto il castello, uno dei più importanti dell’intero territorio, edificato
su uno stretto e alto sperone di circa 180 metri. Oggi rimangono, in parte
coperte dalla folta vegetazione, una maestosa torre quadrata alta circa 18 metri,
due circuiti di mura difensive, dei torrioni a sezione circolare e i resti di alcune
abitazioni, in parte inserite nella roccia. Le prime informazioni sul castello si
hanno solo a partire dalla metà del XII secolo quando era uno dei feudi in capite
di Gentile Vetulo. Intorno al 1230 divenne una delle principali fortezze organizzate,
lungo la valle del Salto, da Federico II a scopo difensivo. Alla fine del Duecento
però il castello venne inserito nella baronia di Collalto, compresa nello
Stato della Chiesa, e, per volere di Carlo V, nel 1500 passò ai Savelli. Agli inizi
del Seicento l’insediamento, ormai in crisi, fu abbandonato dagli ultimi abitanti
che si trasferirono nel vicino villaggio di Pace, fondato tra il XII e il XIII secolo.
Ripartendo da Macchiatimone e mantenendosi sul versante della valle
opposto a quello percorso fino a questo punto ci troviamo dinanzi alle fatiscenti
rovine di altre fortezze; unica eccezione il castello di Rigatti, ottimamente
conservato con il suo nucleo centrale formato dal torrione e da un corpo trapezoidale.
Risale anch’esso al XII secolo e per lungo tempo fu tra i possedimenti
dei Mareri; fu roccaforte di difesa del regno di Napoli nei confronti dello Stato
Pontificio, prima di entrare a far parte di quest’ultimo.
Spostandoci verso la zona di Borgorose si incontrano i ruderi di altre rilevanti
fortificazioni. Tra questi quelli del castello di Collefegato edificato, nel
XII secolo, sulla sommità dell’omonimo colle, forse ad opera di un feudatario
della famiglia Fidanza del territorio aquilano. Dell’estesa fortificazione rimangono
numerosi, anche se frammentari, resti che permettono di avere un quadro
chiaro del complesso: un borgo cinto da mura e da rocche con un’estensione di
circa ottomila metri quadrati. Sono ancora visibili alcuni torrioni, uno spazio
utilizzato forse come prigione oppure come cisterna e la chiesa medievale.
A breve distanza emergono le rovine del castello di Corvaro edificato all’estremo
nord del villaggio medievale e del paese attuale, su un colle, in posizione
strategicamente militare. Per giungervi è necessario attraversare tutto il
borgo antico. Le sue prime notizie risalgono al XII secolo, quando è ricordato
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come di proprietà dell’abbazia di Farfa. A metà del XII secolo, a seguito dello
stanziamento normanno, Corvaro venne sottratto, quasi certamente, al controllo
dell’abbazia anche se a continuare l’opera benedettina pensarono i francescani.
Nel 1275 il castello apparteneva a Pietro de Insula (Isola del Gran
Sasso) il quale, l’anno dopo, lo cedette a Sinibaldo da Vallecupola. Successivamente
fu al centro di un’aspra contesa tra Filippa contessa d’Albe e Gentile di
Amiterno ed i suoi fratelli. Il castello passò poi ai Da Poppleto, agli inizi del
Quattrocento divenne contado autonomo del quale fu investito Bonomo Da
Poppleto, al quale successero i Mareri, gli Orsini e dal 1480 i Colonna. I resti
dell’imponente rocca versano oggi in uno stato di pauroso abbandono e dominano
il borgo medievale, distinto in una parte alta, semi abbandonata, e in una
parte bassa che si estende nella piana di Corvaro.
Non lontana da questa sorgeva il castello di Torano di origine franca, sede di
un feudatario sicuramente importante, vista l’imponenza delle costruzioni. Le
mura di cinta del borgo medioevale erano multiple e potenziate da 12 torrioni. Le
sue prime notizie risalgono al 1113, quando un certo Annolino, figlio di Oderisio,
fece dono a Benincasa, vescovo di Rieti, dei suoi diritti sul castello e di un terzo
del feudo. Sotto il dominio degli Angioini, nel 1271, il castello rientrò tra i domini
di Petrus De Insula; passò poi a Gentile di Amiterno; successivamente ai Camponeschi,
poi ai Da Poppleto, agli Orsini e ai Colonna. Nel 1250 Fabrizio Colonna
lo concesse al cavaliere romano Pietro Caffarelli. Tra gli ultimi proprietari si ricordano
i baroni Antonini di Pace. Dell’imponente complesso resta oggi una torre,
recentemente ristrutturata, a pianta quadrata, di circa trenta metri di altezza, isolata
dal resto del complesso medievale che era situato su un colle, alto poco più di
settecento metri, tra Torano-piazza (Torano) e Torano-villa (Villa Torano).
4. Conclusioni
Il presente contributo è stato proposto come un primo quadro complessivo
sui dati disponibili e sulle acquisizioni più recenti in merito al fenomeno dell’incastellamento
nel Cicolano: la sommarietà delle riflessioni è dipesa in parte dal
taglio limitato di questo intervento, in parte dalla carenza di adeguati approfondimenti
disciplinari sui singoli aspetti presi in considerazione: ci si augura che
da questa giornata di studi parta un impulso per l’esame puntuale dei vari temi
della storia della regione che necessita al più presto di un’opera sistematica di
recupero e di rivalutazione dei preziosi beni archeologici che la costellano e che,
permanendo nello stato attuale, sono destinati a sparire del tutto.
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ROCCHE E CASTELLI NELLA VALLE DEL SALTO
(Elenco e alcune fotografie di Anna Canestrella. Rassegna al www.valledelsalto.it)
COMUNE DI VARCO SABINO
Castello di Varco Sabino
Castello di Poggio Vittiano
Rocca Vittiana
Castello di Rigatti
COMUNE DI CONCERVIANO
Castello di Concerviano
Castello di Pratoianni
COMUNE DI MARCETELLI
Castello di Marcetelli
COMUNE DI PETRELLA SALTO
Castello di Capradosso
Castel Mareri
Castello di Staffoli
Rocca Petrella (o Rocca Cenci)
Castello di Vallebona
COMUNE DI PESCOROCCHIANO
Castello di Macchiatimone
Castello di Varri (o Barri)
Castello di Pescorocchiano
Castello di Girgenti
Castello di San Giovanni di Lapidio
Rocca Berarda
Rocca Randisi
COMUNE DI FIAMIGNANO
Castello di Castiglione
Castello di Gamagna
Castello di Poggio Poponesco
Castello di Radicaro
Castello di Rascino
Rocca del Salto
Rocca Alberisi
Rocca Odorisio
Rocca (Mareri) a Sambuco
COMUNE DI BORGOROSE
Castello di Collefegato
Castello di Corvaro
Castello di Castelmenardo
Castello di Maleto (o di Malito)
Castello di Poggiovalle
Castello di S. Anatolia
Castello di Spedino
Castello di Torano
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Castello di Rigatti, Comune di Varco Sabino
(Foto cortesia di Anna Canestrella)
Rocca (Mareri) a Sambuco, Comune di Fiamignano
(Foto cortesia di Anna Canestrella)
Castello di Rocca Randisi,
Comune di Pescorocchiano
(Foto cortesia di Anna Canestrella)
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Nel 1907, a firma di Domenico Lugini, vedevano la luce a Rieti, per i tipi
di Pietro Petrongari, le Memorie storiche della Regione Equicola ora Cicolano. Nato
a S. Lucia di Fiamignano il 17 gennaio 1857 e ivi morto il 5 luglio 1922,
Domenico Lugini continua ad essere un riferimento unico per studiosi e
ricercatori interessati al Cicolano e alla Valle del Salto, per aver dato un
grande contributo alla conoscenza della storia della sua terra. A distanza di
quasi un quarto di secolo dai capitoli LXXXVIII e LXXXIX del Corpus
Inscriptionum Latinarum1 IX riservati da Theodor Mommsen all’edizione delle
iscrizioni latine degli Aequiculi e di Cliternia2
, per cui si era giovato dell’autorevole
autoscopia di Heinrich Dressel3
, Lugini volle nuovamente ripercorrere
l’itinerario intrapreso dalla scuola tedesca, riconsiderando quanto era stato
già trasmesso dalla raccolta epigrafica berlinese e portando a conoscenza
1 D’ora in avanti CIL. 2 CIL, IX, pp. 19*, 388-395, 683; nn. 379*-386, 4103-4176, 6351. 3 CIL, IX, p. 389: “Denique DRESSELIVS, qui a me rogatus regionem illam inviam summo, sed fructuoso
labore titulorum describendorum causa peragravit”.
Cento anni dopo l’esperienza epigrafica di