domenica 16 settembre 2018

Michele Amari nel ripercorrere le cronache del Malaterra parla di 11 'castella' disseminati nell'arigentino. Non sappiamo se con quel termine intendeva un incastellamento vero e proprio o agglomerati abitativi fortificati. Non sappiamo neppure se erano arabi o erano di provenienza bizantina.
Comunue stian le cose, quel che a noi importa è che non vi è alcun esplicito riferimento alla nostra Racalmuto.
Ove si eccettui quel Racel che ci aveva un tempo affascinato. Ma oggi siamo ben lontani dall'attriburgli un qualche legame con il paese in cui siam nati.
 

 
Oggi leggo e rileggo questa chiusa di uno scritto minore dello storico Giarrizzo. Pubblicato un quarto di secolo fa per una accademia clericale agrigentina.
Vi si fa una lettura rivoluzionaria della storia della Sicilia. Annotava il Gabrielli: Giarrizzo inaugura il presente volume con una densa relazione su 'Normanni di Sicilia' e giunge 'quasi all'orlo della dissacrazione, parlando del mito arabo e arabo.normanno'.
A me vien fatto di pensare che in Sicilia può consumarsi ...una vera palingenesi politica ed economica dell'Italia del terzo millennio.
Istititi come la Regione Siciliana, politici di forte taglia quali i Micciché, i Capodicasa, e per me i vari Angelino Alfano e i vari Cimino (per escludere Maninno) possono consumare un moderno separatismo: scavalcare la querula arroganza di salvini e iniziare un dialogo costruttivo e anche avveneristico con la superiore istituzione comunitaria.
Quante volte è successo nella storia? dai Vespri Siciliani ai Fasci Siciliani, a Sturzo, a La Loggia, a Milazzo, a Emmaniele Macaluso.
Se a Roma sono imbecilli e vanno a leccare il culo a Trump o a Putin, a Palermo NO!.
Come Regione a Statuto Speciale percostituzionale e sovracostituzionale - tramite forse lo stesso Mattarella magari veicolato con G.L. Ciocca - iniziamo rapporti salvifici con la BCE di Draghi.
Abbiamo tanto da guadagnare e insegneremmo la 'retta via' a questi balordi dell'attuale triarchia egemomnizzata da una lega di origine pannoniana e da un ciarpame pentastellato.
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Oggi leggo e rileggo questa chiusa di uno scritto minore dello storico Giarrizzo. Pubblicato un quarto di secolo fa per una accademia clericale agrigentina.
Vi si fa una lettura rivoluzionaria della storia della Sicilia. Annotava il Gabrielli: Giarrizzo inaugura il presente volume con una densa relazione su 'Normanni di Sicilia' e giunge 'quasi all'orlo della dissacrazione, parlando del mito arabo e arabo.normanno'.
A me vien fatto di pensare che in Sicilia può consumarsi ...una vera palingenesi politica ed economica dell'Italia del terzo millennio.
Istititi come la Regione Siciliana, politici di forte taglia quali i Micciché, i Capodicasa, e per me i vari Angelino Alfano e i vari Cimino (per escludere Maninno) possono consumare un moderno separatismo: scavalcare la querula arroganza di salvini e iniziare un dialogo costruttivo e anche avveneristico con la superiore istituzione comunitaria.
Quante volte è successo nella storia? dai Vespri Siciliani ai Fasci Siciliani, a Sturzo, a La Loggia, a Milazzo, a Emmaniele Macaluso.
Se a Roma sono imbecilli e vanno a leccare il culo a Trump o a Putin, a Palermo NO!.
Come Regione a Statuto Speciale percostituzionale e sovracostituzionale - tramite forse lo stesso Mattarella magari veicolato con G.L. Ciocca - iniziamo rapporti salvifici con la BCE di Draghi.
Abbiamo tanto da guadagnare e insegneremmo la 'retta via' a questi balordi dell'attuale triarchia egemomnizzata da una lega di origine pannoniana e da un ciarpame pentastellato.
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sabato 15 settembre 2018

Goffredo Malaterra

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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Goffredo Malaterra, anche noto come Geoffroi Malaterra (... – XI secolo), è stato un monaco benedettino di origine normanna, autore del De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, una cronaca sull'origine dei Normanni in Italia.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Di lui è ben attestata l'origine normanna, sia su basi onomastiche, sia per il tono della narrazione della sua Cronica e per gli accenti che riserva alle varie origini etniche[1]. Di lui, invece, non si conosce la comunità monastica di origine: una certa tradizione storiografica lo vorrebbe monaco nell'abbazia di Saint-Évroult, nell'omonima località della Normandia[2], la stessa, quindi, di Orderico Vitale; si tratta tuttavia di una tradizione priva di riscontro nell'opera di Goffredo, e frutto di un fraintendimento di un passo dello stesso Orderico[1].
Si recò in giovane età nell'Italia meridionale. Gli vengono tradizionalmente attribuite soste in alcuni monasteri meridionali: l'abbazia della Santissima Trinità di Venosa, l'abbazia di Sant'Eufemia e l'Abbazia della Santissima Trinità di Mileto. Si tratta, tuttavia, anche in questo caso, di notizie prive di riscontro[1]. Tra l'altro, è da considerarsi sicuro che non sostò in monasteri calabresi, dal momento che egli stesso riferisce di essere stato in Apulia, toponimo con il quale si deve intendere l'Italia meridionale continentale esclusa la Calabria. Sicura è invece la sosta (probabilmente dopo il dicembre 1091) nel monastero siciliano di Sant'Agata di Catania[1], il cui abate, Angerio, vescovo di Catania, risulta destinatario dell'epistola dedicatoria con cui Goffredo gli dedica l'opera storica e si mette sotto la sua protezione[1].
Un dato che si può desumere dalla sua opera, è la stretta prossimità con gli ambienti di corte e con la stessa figura di Ruggero I di Sicilia, come pure il fatto che Goffredo avesse accesso a parte della documentazione della cancelleria reale[1]. È possibile che egli fosse divenuto lo storico di corte di Ruggero I di Sicilia.

De rebus gestis Rogerii et Roberti Guiscardi[modifica | modifica wikitesto]

Scrisse il "De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius", una delle tre principali cronache che narrano delle imprese normanne nel Mar Mediterraneo, con particolare attenzione per le spedizioni siciliane del Gran Conte Ruggero, che conobbe personalmente.
Nulla si conosce delle fonti utilizziate, tranne il fatto che Goffredo, come si desume dalla sua opera poteva avere accesso diretto a una parte della documentazione della cancelleria di corte[1].
Goffredo narra delle prime imprese di Ruggero, basate sulla tradizione orale che egli aveva sentito. È proprio Goffredo ad essere spesso l'unica fonte per le guerre di Ruggero in Sicilia. Dopo il suo racconto sulla campagna bizantina di Roberto il Guiscardo, scrive solo di Ruggero. La sua narrazione si ferma a luglio 1098[1]. Per motivi di coerenza dell'opera con fatti accaduti poco dopo il 1098, di cui Goffredo non si mostra a conoscenza, l'epoca di composizione dovette essere di poco posteriore a tale data[1].
Il nome di Goffredo Malaterra si inserisce storicamente tra coloro che potrebbero aver contribuito al fissarsi del toponimo della città di Castel Goffredo, in provincia di Mantova[3][4].

Edizioni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i Goffredo Malaterra, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  2. ^ Così, ad esempio, riporta Michelangelo Schipa, nell'Enciclopedia Italiana, alla voce MALATERRA, Goffredo (1934)
  3. ^ Carlo Gozzi, Raccolta di documenti per la Storia di Castelgoffredo e biografia di que' principi Gonzaga che l'hanno governato personalmente (1840), Mantova, 2000.
  4. ^ Guido Sommi Picenardi, Castel Goffredo e i Gonzaga, Milano, 1864.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Caro Giuseppe Guagliano.
tra noi spesso sono state scintille;ammettiamolo. Ma in fondo non è colpo tua se ti hanno bloccato nelle tue iniziative, nelle tue proposte, nel tuo spirito imprenditoruale in un ambiente di neglittosi marpioni del politicare localistico o nell'ordire furbizie locupletranti di leguleia fattura.
Per quanto mi riguarda, ho detto guello che avevo da dire, l'ho anche scritto. Nessuno ne ha tenuto conto. In definitiva neppure tu che pur mi assicuri letture attente.
Tempo fa svrivevo: A seguito della scoperta archeologica del 1990 in contrada Grotticelli le pubbliche autorità si sono per il momento limitate ad imporre un vincolo sul territorio interessato. Nel decreto della Regione Siciliana del 10 luglio 1991 viene sottolineata «la notevole importanza archeologica della zona denominata Grotticelle nel territorio di Racalmuto interessata da stanziamenti umani di epoca ellenistica-romano-imperiale, costituita da ingrottamenti artificiali ad arcosolio e da strutture murarie abitative affioranti». Non viene precisato altro. Tanto comunque è sufficiente a comprovare un più o meno vasto insediamento abitativo in quella zona a partire da un’epoca che per quello che abbiamo detto prima può farsi risalire ai tempi della caduta dell’impero romano.
Dal 1991 ad oggi le Grotticelle sono rimaste neglette. I tombaroli forse hanno smesso perchè avevano tutto ripulito. Mi hanno fornito di nascosto le foto di un elmo della prima guerra punica che sarebbe stato rinvenuto al Serrore. Reperto venduto in Svizzera per 25 milioni di vecchie lire (se è vero). E le nostre autorità di settore latitano. Quelle locali (che sotto il tuo regime hanno consentito lo smantellamento di una fontana al Castelluzzo detta del Vozzaro) e quelle provinciali. Singolare fu la Fiorentini. Su pessione di Popò fece mettere un vincolo archeologico alla Grotta di Fra Diego: ma poi furbescamento nel dare i dati catastali hanno reso vincolati i basulati soprastanti (notoriamente sterili) e hanno pretermesso lo zubbio sottostante, centro abitato già cinque.sei mila anni fa.
E l'indolenza da parte di tutti è notoria. Del resto basta cavalcare la statua ignobile dello Sciascia peripatetico e portare l'ignara gente nel cimiteriale circolo unione. Alla Fondazione raccomntano frottole.
Ti dirò che un tale Guzzetta è riuscito a farsi aprire la cassaforte ove dal 1940 stanno nascosti i 207 aurei (secondo il Griffo) trovati dietro la Stazione Ferroviaria in quell'area ora cementificata.
Smentisce sia il Griffo sia il Guillou dicendo che le monete sono solo 203( per il Guillou erano gia scese a 205). Non accede alla tesi del Griffo che parla genericmente di aurei del V secolo d.C. nè a quella del Guillou che limita i solidi i semissi e i tremissi ai conii du Tiberio II e di Eracleonas. Per Guzzetta la pià antica moneta bizantina è un tremisse di Zenone e la più recente un semisse di Costante II. Meglio che niente. Ma poteva fotografare quelle monete e regalarvi la epslicazione di ogni aureo. Niente. Per non essere smentito? Per altri reconditi fini?
Il Comune di Racalmuto aveva l'onere e l'onore di supplire. Niente.
Spero che il prossimo sindaco sia più propenso a valorizzare le vare grandi risorse archelogiche, epigrafiche e culturali della Racalmuto quella verace e non qiella mistificata che chiamano Regalpetra.
Se l'anno ventutro ti porti, l'assumei questo impegno?
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venerdì 14 settembre 2018

Lillo Taverna
32 min ·
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Il sistema bizantino di difesa e di trasmissionedei messaggi ottici nella Valle del Platani
di Simona Modeo e Angelo Cutaia
*
Premessa
L’asta fluviale della valle del Platani è interessata dalla presenza di nume-rosi insediamenti di altura di epoca bizantina poco noti o del tutto ignorati(fig. 1): sulla sommità di alcuni rilievi sono state individuate strutture murarieriferibili a fortificazioni utilizzate in varie epoche e abbandonate probabil-mente durante il periodo svevo.Di esse abbiamo notizia dalle cronache della conquista araba dell’Isola cheriportano la capitolazione per accordo di alcune fortezze nell’840
1
,della rivol-ta antimusulmana dell’anno 860
2
edella guerra arabo-berbera del 940
3
.Ri-compaiono poi all’atto dell’invasione normanna della Sicilia nel 1087 e sono,infatti, citate da Goffredo Malaterra nella sua opera dedicata alle
res gesta
delconte Ruggero e di Roberto il Guiscardo
4
;se ne fa ancora menzione tra il 1220eil 1233 durante le rivolte musulmane contro gli Svevi
5
.Successivamente a tale periodo, soltanto alcuni insediamenti sopravvivonocome casali in mano alla Chiesa: Platano venne donato dall’imperatrice Costan-za alla Chiesa di Palermo insieme al casale di Capodisi e confermato alla stessaChiesa nel 1211 da Federico II
6
;Musciaro venne donato alla Chiesa agrigentinada Federico II nel 1206, che ne confermò la donazione nel 1233
7
;Platanella è ci-tato insieme a Platano e Capodisi in un documento del 1303 in cui viene ripor-tata la notizia che i tre casali furono consegnati all’Arcivescovado di Palermo
8
.In questa sede, dimostreremo che tali centri fortificati erano collegati traloro da un ingegnoso sistema di comunicazione ottica a distanza che si servi-va di semplici mezzi: il fuoco e il fumo che furono i più antichi, ma anche i piùusati sistemi di segnalazione, in quanto il mezzo più visibile di giorno è il fu-
297
*
Archeologa - Ingegnere.
1
Amari 1880-81, I, p. 373;
BAS
II, p. 119; Amari 1933-39, vol. I, p. 443.
2
Amari 1880-81, I, p. 381; Amari 1933-39, vol. I, p. 472.
3
Amari 1880-81, I, p. 415;
BAS
II, p. 415.
4
Malaterra 1917, pp. 87-88.
5
Siveda al riguardo Maurici 1987, pp. 38-47 con bibliografia precedente.
6
Pirro 1733, p. 136.
7
Collura 1974, p. 97; Picone 1866, pp. XXIII-XXIV.
8
Marrone 2008, p. 88.
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