martedì 25 luglio 2017

De Sancta Lucia IUVIS ROTUNDI

Quanto al Virgilio denigrtore degli AEQUI mi piace leggerlo tadotto da ROSA CALZECCHI ONESTI così:
VII vv.. 743/749

Anche te alle battaglie la montuosa Nerse mandò,
Ufente, bello di fama e d'armi invincibili:
aspro su tutti il tuo popolo, avvezzo alle lunghe
cacce nei boschi: gli Equicoli, che zolla han durissima .


Armati lavoran la terra, e sempre ogni giorno
amano radunar nuove prede e viver di furto.

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Ovvio, noi non riteniamo il grandissimo poeta Virguilio storico di valore alcuno. Propaganda politica romana. Roma rammentava ancora le batoste prese tra Corvaro e la piana del Salto da quei rudi montanari che scendevano da Nerse o dai monti di Gioverotondo.


Quanto al tronfio e retorico Cicerone lasciamolo perdere.
CICERONE DE REPUBLICA
Traduzione di Paragrafo 36, Libro 2 di CICERONE
Versione originale in latino
Deinde equitatum ad hunc morem constituit qui usque adhuc est retentus, nec potuit Titiensium et Rhamnensium et Lucerum mutare cum cuperet nomina, quod auctor ei summa augur gloria Attus Navius non erat. Atque etiam Corinthios video publicis equis adsignandis et alendis orborum et viduarum tributis fuisse quondam diligentis. Sed tamen prioribus equitum partibus secundis additis MDCCC fecit equites numerumque duplicavit. Postea bello subegit Aequorum magnam gentem et ferocem et rebus populi Romani imminentem, idemque Sabinos cum a moenibus urbis reppulisset, equitatu fudit belloque devicit, atque eundem primum ludos maximos, qui Romani dicti sunt, fecisse accepimus, aedemque in Capitolio Iovi Optimo Maximo bello Sabino in ipsa pugna vovisse faciendam, mortuumque esse cum duodequadraginta regnavisset annos.
Traduzione all'italiano
In seguito creò l'ordine dei cavalieri nel modo che si è conservato fino ad oggi, ma non poté modificare i nomi dei Tiziensi, dei Ramnensi e dei Luceri pur volendolo, poiché l'augure di somma fama Atto Navio non gli fu sostenitore. E credo che anche i Corinzi erano allora diligenti nell'assegnare e mantenere cavalli per il servizio dello Stato con le tasse dei maritati senza figli e delle vedove. Ma tuttavia, aggiunte nuove schiere di cavalieri ai precedenti, portò i calieri a mille e ottocento e ne raddoppiò (così) il numero. Sottomise poi in guerra il grande e feroce popolo degli Equi, minaccioso per le sorti del popolo Romano, e sempre lui, dopo averli respinti dalle mura della città, disperse con la cavalleria i Sabini e li sconfisse in guerra, e sappiamo che sempre lui per primo organizzò i giochi massimi, che furono detti Romani, e che durante la guerra sabina, nel pieno della battaglia fece voto di dedicare in Campidoglio un tempio a Giove Ottimo Massimo, e che morì dopo quarantotto anni di regno.
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Passando al Corradino sconfitto il 23 agosto 1268, aggrappiamoci pure a Dante ma avvaliamoci di buon commento, diversamente poco afferriamo.
L'inciso dantesco svolto a rimembrare l'astuzia del 'vecchio Alardo', nella battaglia di Tagliacozzo è passo di realistica poesia, grande pastura di critici vecchi e nuovi.


Ma a noi quel canto XXVIII dell'Inferno dà briosa rivincita sui tanti che odiano il parlar volgare e spesso ci additano a pessimo scrittore di triviale ardire.

Citiamo Dante:
"Già veggia (botte), per mezzul perdere o lulla,
com' io vidi un, così nun si pertugia
rotto dal mento in in ove si trulla."


Fin qui i valenti ricercatori di Santa Lucia delle castagne. Riporto a corredo un bel commento: 'certamente (già) una botte (veggia arc.) per il fatto che abbia perduto la doga frontale di mezzo (mezzul, arc.) o una delle doghe che fiancheggiano la mediana (lulla: lunula, cioè fatta a mezza luna), non si potrebbe dire squarciata (non si pertugia) non appare così rotta), come io vidi uno tagliato (rotto) dal mento sino all'ano (dove si trulla arc. per 'si scorreggia)'.


Excursus letterario mirabile ma cosa c'entra con Corradino e Santa Lucia di Gioverotondo non afferriamo bene.
Divertimento per divertimento, noi continuiamo a citar Dante a
giustificazione del nostro talora abbandono al volagre eloquio.

"Tra le gambe pendean le minugia (le interiora)
la corata pareva e 'l tristo sacco ( (corata: cuore, polmoni, fegato e milza); (tristo sacco per ripugnante stomaco
che merda fa di quel che trangugia".
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"Tutte le più sconce espressioni della lingua popolare sono per Dante una fonte sicura, validissima figuralmente per descrivere poeticamente con efficacia realistica, con estrema oggettività e singolare distacco la materialità dell'enorme ferita di Maometto."

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