- Tra un bailamme forsennato ed un altro mi viene da sorridere. Premetto che conosco Francescoantonio Lopriore Cariglia da qualche mese e subito ne ho apprezzato le sue grandi capacità scrittorie: mette l'accento giusto, scrive né e non accentua la terza persona indicativa del verbo fare. Quisquilie direbbe un tal Francesco dirompente nel coinvolgermi nelle sue faccenduole domestiche. Né Francescoantonio né io abbiamo reciproco bisogno di darci manforte nel contrapporci al...le stonate corde pazze d tal Francesco.
Si quieti costui: non son più ispettore capomissione della Banca d'Italia dal 1° febbraio 1981 ed a quel tempo lo spauracchio l'ho messo oltre che alle banche dell'IOR che andavan dicendo essere di Sindona, soprattutto ad una certa mammoletta Ciampi per via delle motovedette atomiche della sua patria livornese.
Dopo come superispettore di Reviglio di spauracchi ne ho messi ai vari potentissimi del momento. E invero me ne vanto. Comunque noblesse oblige e figurarsi se ho voglia di abbassarmi a modesto intimidatore di tal Francesco. Sotto questo aspetto, dorma pure sonni tranquilli.
Sto qui ed altrove per contribuire a sollevare le sorti derelitte di 9.033 pensionati BI ridotti a mal partito per certa politica dei conti/benefici di tal Visco, in atto govenatore della Banca d'Italia.
Sono nella CGIL dal 1° febbraio 1960 (da 57 anni appunto), mai servile, sempre indisciplinato, uomo libero insomma. L'attuale assetto sindacale della BI non mi piace. Ma non ho le albagie degli imbecilli che cianciano contro la Politica e i Sindacati.
Mi piace la vigilanza democratica molto incisiva ai miei tempi quando aveva nome e giornale protesi all'UNIONE. Mi piace pungolare quei neghittosi che oggi si assidono ai vertici di codesti sindacatini implumi.
L'amico Francescoantonio ha altre idee, altre passioni, altri progetti. Lo stimo e spero che anche lui pur nella diversità ideologica che ci contraddistingue abbia nei miei confronti analoga stima. Con buona pace dell'irascibile iroso Francesco di cui non conosco neppure le vere generalità.
Calogero Taverna
mercoledì 31 maggio 2017
Lillo Taverna tra un repraso ed un altro il mio spirito rovesciato se la ride. Per mia fortuna non ho gatti né cani e per giunta mi stanno molto antipatici,. ad eccezione del gatto nero che oggi a villa Maerycal mi ha fatto visita.: solo lui solo io, mi ha fatto segno di un afono miagolio e se n'è andato lemme lemme lungo il mio vialetto che tal ingegnere asso piglia tutto mi ha estorto dicendo che era tutto suo, solo a me il subordinato diritto di passaggio e l'obbligo inscindibile di ripararlo dai solchi che i suoi trattori mi adducono. Questi tre o quattro giorni a Racalmuto posso chiamarli supervacanze visto che son trent'anni che BI mi ha messo in quiescenza e tutto l'anno diciamo sono in vacanza ma senza nonne a cui accudire né nonni a cui si rompe ad ogni scivolata il femore. Per me sono vacanza solo quelle pause lavorative che qualche fiata mi capitano- E ora da Racalmuto, da villa Merycal in solitaria contemplazione rivolgo un repraso saluto alla caleidoscopica Ornella che forse in un giorno di giugno torna a recitare tingendosi di improvviiuso rosso. heia heia alalà!
domenica 28 maggio 2017
Franco Ferrante Ma no....allineati e coperti abbracceranno la "svolta" come sempre....
Lillo Taverna Profeta non lo è nessuno, figurarsi io. Ma mettiamo che Renzi riesca a fare l'inciucio con Berlusconi, Verdini e Alfano. Un piccolo ritocco all'Italicum e crederanno che il premio di maggioranza potrà assere facile loro preda. La sinistra scissionista ...Altro...
Lillo Taverna C'è una scena nel Gattopardo in cui al principe si dice una frase del genere. Il principe si arrabbia: no, grida; invece è l'inzizio di tutto. Pensa, io credo che appunto sarebbe l'inzio di tutto, di una nuova era, della inevitabile svolta dell'attuale palingenesi.
Lillo Taverna Comunque io vivo di letteratura, con la testa fra le nuvole, cioè!
Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?
Queste violente parole costituiscono il celeberrimo incipit ex abrupto della prima delle orazioni Catilinarie,
pronunciata da Marco Tullio Cicerone di fronte al Senato romano l'8 novembre del
il quale osò presentarsi in senato dopo aver complottato contro Roma e aver tentato di far uccidere lo stesso Cicerone,
che proprio di Roma si riteneva il più ardente difensore.
L'espressione appartiene anche al linguaggio comune: viene usata con l'intenzione di accusare il suo destinatario di abusare della pazienza,
dell'indulgenza o della buona educazione di chi la proferisce o del gruppo di cui si fa portavoce.
giummo fascista
Giummo fascista:
"Brutto com'ero, quel berretto col giummo mi stava come una schioppettata. Io non ho mai voluto portare il berretto, per non mettermi un basco una volta mi ero deciso a scappare di casa; e invece dovevo per le adunate mettermi proprio quello col giummo. ... volevano persino farmi recitare in una di quelle operette che si chiamavano 'Il piccolo balilla' o La piccola italiana. Sempre perché c'era mio zio, si capisce. Ma se non volevo più marciare mi diceva...no di uscire dalle rihge e starmene a guardare. Se non era per mio zio mi avrebbero detto - no, crepa. Mi faceva piacere che ci fosse mio zio con quella cintura dorata, la sciarpa e il pugnaletto. Mi risparmiava molte cose. Persino il premilitare mi ha poi risparmiato. [...] Un mio zio era presidente dell'Opera Balilla. Andavo alle adunate di buona gana quando c'era il sorteggio dei giocattoli. Quando il sorteggio non ci fu più, ci andai perché mio zio mi ci voleva. .... Mentre si stava in fila qualcuno chiedeva - capocentù, posso andare a cesso? Il capocenturia gridava - no, crepa - Finì che il - no, crepa - lo vidi come una divisa, un cartiglio araldico delle adunate domenicali. " Leonardo Sciascia - Le Parrocchie di Regalpetra, pagg. 38-39.
"Brutto com'ero, quel berretto col giummo mi stava come una schioppettata. Io non ho mai voluto portare il berretto, per non mettermi un basco una volta mi ero deciso a scappare di casa; e invece dovevo per le adunate mettermi proprio quello col giummo. ... volevano persino farmi recitare in una di quelle operette che si chiamavano 'Il piccolo balilla' o La piccola italiana. Sempre perché c'era mio zio, si capisce. Ma se non volevo più marciare mi diceva...no di uscire dalle rihge e starmene a guardare. Se non era per mio zio mi avrebbero detto - no, crepa. Mi faceva piacere che ci fosse mio zio con quella cintura dorata, la sciarpa e il pugnaletto. Mi risparmiava molte cose. Persino il premilitare mi ha poi risparmiato. [...] Un mio zio era presidente dell'Opera Balilla. Andavo alle adunate di buona gana quando c'era il sorteggio dei giocattoli. Quando il sorteggio non ci fu più, ci andai perché mio zio mi ci voleva. .... Mentre si stava in fila qualcuno chiedeva - capocentù, posso andare a cesso? Il capocenturia gridava - no, crepa - Finì che il - no, crepa - lo vidi come una divisa, un cartiglio araldico delle adunate domenicali. " Leonardo Sciascia - Le Parrocchie di Regalpetra, pagg. 38-39.
M5s shock: Grillo e Casaleggio aprono ai poteri forti. È la fine del Movimento
I vertici pentastellati "rottamano" Di Maio, Di Battista & company e cercano personaggi vicini alla Casta senza "vincolo di militanza"
Di Marco Zonetti
Davide Casaleggio lo aveva già lasciato intendere con il Convegno di Ivrea, al quale - con la scusa di celebrare l'anniversario della morte del padre Gianroberto - aveva invitato vari rappresentanti della società civile non esattamente lontani da quei "poteri forti" che, fino a ieri, erano visti come la peste dal M5s. Come scrive Giuseppe Salvaggiulo su La Stampa, "il M5S cerca docenti, magistrati, imprenditori, manager, scienziati. Una «riserva repubblicana» spendibile in ministeri, Authority, istituzioni di garanzia, enti e aziende pubbliche. Il vincolo di militanza varrà per i candidati al Parlamento, non per la squadra di governo".
Un vero e proprio scouting portato avanti quasi all'insaputa dei "poveri" attivisti un po' sgarrupatelli, un po' macilenti, un po' ingenui che continuano imperterriti ad allestire banchetti, a montare gazebo, a diffondere volantini spesso sgrammaticati.
Intanto, alle loro spalle, Grillo e Casaleggio coadiuvati da qualche parlamentare - ovviamente del "cerchio magico" - cercano tramite convegni, incontri, presentazioni di libri e così via, avvocati, notai, imprenditori, esponenti cattolici, intellettuali... quelli insomma che venivano poco gentilmente allontanati dai meet-up in quanto legati per titoli o per professioni alla "Casta".
La catastrofe Raggi a Roma, che rischia di trascinare nel baratro anche il M5s nazionale, ha accelerato questa procedura (iniziata già molti anni fa in sordina) ed ecco che, come leggiamo sulla Stampa, "Grillo e Casaleggio hanno esautorato la Raggi (i francesi di Suez hanno trattato direttamente con i vertici) collocando alla presidenza Acea l’avvocato di fiducia Luca Lanzalone, genovese. Per l’amministratore delegato, esponenti romani del M5S (gli stessi che si fanno vedere al circolo canottieri Aniene) hanno chiesto consiglio ad Aurelio Regina, già vicepresidente di Confindustria, uomo di raccordo tra i poteri capitolini. Il prescelto è Stefano Antonio Donnarumma, manager noto (arriva dalla multiutility milanese A2A) e gradito a Caltagirone".
Gaetano Caltagirone: un nome che fino a ieri rappresentava l'Anticristo per il Movimento Cinque Stelle, mentre ora...
Ma, ovviamente, in vista di un futuro governo tutto a cinque stelle, non saranno rottamati solo i semplici attivisti ma anche i "meravigliosi ragazzi", quei parlamentari d'assalto più spendibili come volti televisivi che non come ministri o sottosegretari. Altro che Paola Taverna al Ministero della Sanità o Luigi Di Maio premier o Roberta Lombardi agli Interni. Come riporta Salvaggiulo: "I sogni proibiti si chiamano Tito Boeri, liberal bocconiano presidente dell’Inps nominato da Renzi con cui manifesta distanza; Tomaso Montanari, storico dell’arte e pupillo di Salvatore Settis, alfiere della gestione pubblica dei beni culturali e neo presidente dell’associazione Libertà e Giustizia; Davigo, Onida o Zagrebelsky". E per quest'ultimo si comprenderebbe la battaglia accanita per il No al referendum in chiave antirenziana. Anche il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, con le sue aperture al M5s tramite il suo giornale, può essere visto come aspirante a una poltrona di prestigio in Rai attraverso un governo pentastellato.
Ora si tratta di vedere come la prenderanno per l'appunto gli attivisti, che avrebbero buttato alle ortiche anni e anni di banchetti al freddo e al gelo per qualche click in più a eventuali comunarie, parlamentarie, e che dir si voglia, ma soprattutto i vari Di Maio, Di Battista, Ruocco, Toninelli... quelli che si sono spesi in primissima persona e che ci hanno messo la faccia, sognando - dissennatamente - una poltrona di ministro o di sottosegretario e che, con ogni probabilità, si vedranno soffiare l'osso dai personaggi che hanno combattuto fino a ieri. E con l'avallo di Beppe Grillo e Davide Casaleggio.
Questa è la fine del Movimento Cinque Stelle com'era stato pensato, o perlomeno "venduto" all'Italia. Ed è l'inizio, o la continuazione, di un partito come tutti gli altri e forse ancor più permeato dai famigerati poteri forti. Gli stessi che, forse, fin dall'inizio ne hanno favorito l'ascesa.
Un vero e proprio scouting portato avanti quasi all'insaputa dei "poveri" attivisti un po' sgarrupatelli, un po' macilenti, un po' ingenui che continuano imperterriti ad allestire banchetti, a montare gazebo, a diffondere volantini spesso sgrammaticati.
Intanto, alle loro spalle, Grillo e Casaleggio coadiuvati da qualche parlamentare - ovviamente del "cerchio magico" - cercano tramite convegni, incontri, presentazioni di libri e così via, avvocati, notai, imprenditori, esponenti cattolici, intellettuali... quelli insomma che venivano poco gentilmente allontanati dai meet-up in quanto legati per titoli o per professioni alla "Casta".
La catastrofe Raggi a Roma, che rischia di trascinare nel baratro anche il M5s nazionale, ha accelerato questa procedura (iniziata già molti anni fa in sordina) ed ecco che, come leggiamo sulla Stampa, "Grillo e Casaleggio hanno esautorato la Raggi (i francesi di Suez hanno trattato direttamente con i vertici) collocando alla presidenza Acea l’avvocato di fiducia Luca Lanzalone, genovese. Per l’amministratore delegato, esponenti romani del M5S (gli stessi che si fanno vedere al circolo canottieri Aniene) hanno chiesto consiglio ad Aurelio Regina, già vicepresidente di Confindustria, uomo di raccordo tra i poteri capitolini. Il prescelto è Stefano Antonio Donnarumma, manager noto (arriva dalla multiutility milanese A2A) e gradito a Caltagirone".
Gaetano Caltagirone: un nome che fino a ieri rappresentava l'Anticristo per il Movimento Cinque Stelle, mentre ora...
Ma, ovviamente, in vista di un futuro governo tutto a cinque stelle, non saranno rottamati solo i semplici attivisti ma anche i "meravigliosi ragazzi", quei parlamentari d'assalto più spendibili come volti televisivi che non come ministri o sottosegretari. Altro che Paola Taverna al Ministero della Sanità o Luigi Di Maio premier o Roberta Lombardi agli Interni. Come riporta Salvaggiulo: "I sogni proibiti si chiamano Tito Boeri, liberal bocconiano presidente dell’Inps nominato da Renzi con cui manifesta distanza; Tomaso Montanari, storico dell’arte e pupillo di Salvatore Settis, alfiere della gestione pubblica dei beni culturali e neo presidente dell’associazione Libertà e Giustizia; Davigo, Onida o Zagrebelsky". E per quest'ultimo si comprenderebbe la battaglia accanita per il No al referendum in chiave antirenziana. Anche il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, con le sue aperture al M5s tramite il suo giornale, può essere visto come aspirante a una poltrona di prestigio in Rai attraverso un governo pentastellato.
Ora si tratta di vedere come la prenderanno per l'appunto gli attivisti, che avrebbero buttato alle ortiche anni e anni di banchetti al freddo e al gelo per qualche click in più a eventuali comunarie, parlamentarie, e che dir si voglia, ma soprattutto i vari Di Maio, Di Battista, Ruocco, Toninelli... quelli che si sono spesi in primissima persona e che ci hanno messo la faccia, sognando - dissennatamente - una poltrona di ministro o di sottosegretario e che, con ogni probabilità, si vedranno soffiare l'osso dai personaggi che hanno combattuto fino a ieri. E con l'avallo di Beppe Grillo e Davide Casaleggio.
Questa è la fine del Movimento Cinque Stelle com'era stato pensato, o perlomeno "venduto" all'Italia. Ed è l'inizio, o la continuazione, di un partito come tutti gli altri e forse ancor più permeato dai famigerati poteri forti. Gli stessi che, forse, fin dall'inizio ne hanno favorito l'ascesa.
giovedì 2 luglio 2015
Ettore Messana Riesi
AMMATULA TI SPICCI E FA’ CANNOLA/CA LU SANTU Eì DI MARMARU E NUN SUDA.
Detto sentito sin da bambino in quel di Racalmuto: Sciascia me lo illustra così:
«Inutilmente ti pettini e ti arricci (cannola = boccoli) / perché il santo è di marmo e non suda. E’ tutta in due versi - una canzone di sdegno, cantata cioè a disdegno di una donna prima amata. Si poteva sino a vent’anni fa, sentirla nella campagna solitaria, di sera: gridata più che cantata. Ma più spesso la si diceva a modo di proverbio, di sentenza: a figurare una situazione in cui, a chi vuol tornare all’amore, all’amicizia, alla fiducia di prima, si oppone gelida indifferenza. Si noti anche come nel nominare la materia di cui è fatta la statua del santo venga ad affermarsi scettico pregiudizio nei riguardi dei miracoli: il marmo che non suda, che non può sudare; da non credere, dunque, ai tanti conclamati prodigi di simulacri che sudano, che lacrimano, che sanguinano. Nell’ordine di un tale materialismo è il mimo del contadino che sradica un pero che non dà frutto e lo vende a uno scultore che ne cava la statua di un santo; sicché quando il contadino va in chiesa e la vede sull’altare, intorno i fedeli in preghiera, sa dell’inutilità di pregarlo: “Piru ca mai a lu munnu ha’ fattu pira/ pira ‘un ha’ fattu e miraculi vo’ fari? (pero che mai al mondo hai fatto pere/ pere non hai fatto e miracoli vuoi fare?»
Noi la sapevamo con una variante: ammatula ca t’annacchi e fa cannola, lu santu è di marmaru e nun suda. Quell’annacarsi (dondolarsi, sculettare) ci torna più gradito. Diciamo che francamente tutto quel rivestimento laico, scettico, non mi pare che i contadini o chi come me contadino ci fosse consueto.
Scremato il tutto, il detto valeva per dire è intuile che ti dai da fare, il santo è di marmo e non suda, non si commuove.
E così voglio rivolgermi ai miei cari redattori (o redattore-avvocato) di Malgrado Tutto. E inutile che si ANNACA e fa boccoli temerari, la faccenda Messana è come l'ho investigata e quindi il volerlo dannare senza sapere è insipienza apocalittica (bestemmiano ciò che ignorano) che poi frase giovanninea non è essendomi stamane sbagliato ma di un tale SAN GIUDA che ebbe a scriverla verso il 65°anno.
Partì a razzo il compagno Li Causi: - Messana “stragista di Stato” il 9 ottobre a Riesi; - Messana “criminale di guerra” a Lubiana tra l’aprile del 1941 e il maggio del ’42; - Messana “capo del banditismo ‘politico’ dal 1945 al luglio del 1947 ai tempi del bandito Giuliano.
I nostri studi, le nostre ricerche hanno appurato che a Riesi Messana se ci fu, fu un modesto esecutore di ordini e non certo uno stragista.
Proprio qui cerchiamo di essere in proposito il più esaurienti possibile su questa prima calunnia licausiana, targata PCI.
Caro Malgrado Tutto è inutile che ti annachi a fai cannola, Messana non poté essere lo stragista di Stato che per accaparrarsi fondi comunitari Riesi cercò di accreditare, trovando assenso nel foglio sciasciano e addirittura credendo che qualche professore poté avere accesso in Viminale e consultare il “fascicolo personale” del Nostro Ettore Messana.
Niente da fare. Il fascicolo per ora – fino a quando non lo depositeranno all’Archivio Centrale dello Stato all’EUR - è top secret per tutti. Figurarsi per i denigratori di Messana.
MI SCRIVONO e reitero qui sotto che di una calunniosa campagna di stampa e cinematografica è stato vittima il gr.uff. comm. dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, l’Ispettore Generale di PS, dottore Ettore Messana da Racalmuto.
Non credo che dopo la gran mole di documenti e ricerche che con qualche merito ho acquisito e pubblicato, possano avere diritto di asilo tante calunniose insinuazioni.
Reputo che il prof. Casarrubea me ne abbia dato atto. Non così la Cernigoi, una testarda goriziana, che persiste nelle sue denigrazioni dell’intemerato Messana. Credo che abbia voglia di subire querele penali e soprattutto citazioni civili per risarcimento danni.
Quanto al Lucarelli non abbiamo avuto modo, né io né la famiglia di contattarlo. Si vedrà. • IL QUESTORE MESSANA E I FATTI DI RIESI Il crucifige di Ettore Mesana si consuma il 15 luglio del 1947. Il gran sacerdote che ne vuole la fine è l’on. Li Causi: tre i capi d’accusa (politica). Desumiamoli dallo stesso Li Causi, da un suo arrabbiatissimo discorso all’Assemblea Costituente, pronunciato nella Seduta del 15 luglio del 1947. Per il sanguigno grande esponente del comunismo siciliano del dopoguerra, Messana andava giubilato: A) Perché c’era da domandarsi: «Scelba come può ignorare che Messana ha iniziato la sua carriera facendo massacrare dei contadini siciliani? Il 9 ottobre del 1919, infatti, cadevano a Riesi più di sessanta contadini, di cui tredici morti: trucidati a freddo, sulla piazza, dove si svolgeva un comizio. I vecchi di quest'Aula ricorderanno come in quell'occasione il Ministero Nitti ordinò un'inchiesta mandando sul posto il generale dei carabinieri Densa, mentre la Magistratura iniziò un'inchiesta giudiziaria soprattutto per accertare le cause della morte misteriosa di un tenente di fanteria, che si rifiutò di eseguire l'ordine di far fuoco del Messana, che ne disapprovò apertamente la condotta, e che il giorno dopo fu assassinato …»
B) « Messana è nell'elenco dei criminali di guerra di una nazione vicina; questo può far piacere ad una parte della Camera, la quale pensa: "Va bene, è un massacratore; però, di stranieri!"…»
C) «Si ha, [ …] , questa precisa situazione, che il banditismo politico in Sicilia è diretto proprio dall'ispettore Messana: e l'ispettore di pubblica sicurezza, il quale dovrebbe avere per compito quello di sconfiggere il banditismo -- il suo compito veramente sarebbe quello di sconfiggere il banditismo comune e non già quello politico -- l'Ispettore di pubblica sicurezza, dicevo, diventa invece addirittura il dirigente del banditismo politico.»
Ecco qui i tre capi di accusa: Riesi del 1919; Lubiana del 1941 (maggio)-giugno 1942; banditismo siciliano dal maggio 1945 al giugno del 1947.
Sono mesi che scartabelliamo faldoni, giornali, documenti vari, pubblicazioni vecchie. Ebbene: non ci possono essere dubbi. Nessuno può dimostrare che davvero in quel terribile 9 ottobre del 1919 ci fosse addirittura un giovane agente di polizia che prese la “mitraglia” in mano nel campanile della chiesa prospiciente piazza Garibaldi e falcidiò sei, si disse in un primo momento, contadini rivoltosi; poi si disse dieci, poi invece si salì a quindici (qui sopra) e, di recente, dovendo sperperare soldi comunitari, sempre a Riesi, addirittura 20. Ci dispiace per Li Causi: non si può condannare alla damnatio memoriae un glorioso ispettore generale di Stato sulla base di quello che avrebbero dovuto ricordare a distanza di quasi trent’anni ‘vecchi padri costituenti’. Vi poté pur essere stata una inchiesta del generale dei carabinieri Densa ma questa ammesso che si sia mai conclusa nessun addebito poté formulare e formulò contro il giovane trentunenne commissario Messana, che, anzi, a fascismo consolidato e con Calogero Vizzini confinato, spiccò salti da gigante nei gradi della polizia e proprio perché senza macchia alcuna, lui figlio di un modesto e dissennato redditiere racalmutese, sperperatore del proprio patrimonio, lo sfaccendato Clemente Messana, diviene – giovanissimo - questore ed ebbe affidate questure strategiche del Nord. Ad onore e vanto della sua patria natia, Racalmuto. Analogo discorso per quell’inchiesta giudiziaria: noi abbiamo reperito una relazione del Prefetto di Caltanissetta del successivo natale. Altri sono i colpevoli, i fatti avvennero in termini ben diversi dal facile populismo cui si abbandona, comprensibilmente , il Li Causi. MESSANA, il grande assente. NON COLPEVOLE. Nel 1934 dopo 15 anni – troppi o pochi a seconda delle tesi che si vogliono formulare – un quasi pastore valdese scrive una storia di Riesi. Quei truculenti fatti vengono rievocati. Sì, è vero: nella memoria della gente è scolpito che una mitraglia militare sparò e uccise tanta gente. Enfasi della memoria tanta. Si parla di un “commissario di Pubblica Sicurezza”, si dice che insieme ad altri due un ufficiale dell’esercito ed un semplice soldato, in tre, tutti insieme eccoli a premere il grilletto del mitra. Fantasia. Improbabile. Ma a tutto concedere: il nome del Messana non c’è. Davvero Li Causi nella foga ciceroniana finisce con l’inventare e quindi diffamare e direi calunniare. Erano tempi incandescenti. Portella della Ginestra fu più di una sventura nazionale e - se le carte della N.A.R.A. già consultate dal prof. Casarrubea verranno tutte alla luce - sarà da parlare di crimine americano. Finalmente. Altro che insana criminalità di un ex giovane commissario di polizia in vena di scimmiottamenti dell’esecrando generale Bava-Beccaris fatto dal Re senatore del Regno. Ma noi abbiamo cercato notizie vere, coeve, indubitabili. Abbiamo consultato i microfilm del giornale L’Ora di Palermo e il Giornale di Sicilia dell’epoca. Messana non ci sta. I fatti son diversi da come amò trasfigurarli il Li Causi per sue polemiche politiche di stampo rosso scarlatto. Da vecchio comunista, per il quale la verità storica va piegata alla grande lotta di classe. Noi siamo per la lotta di classe ma di quelli che reputano che la VERITA’ E’ SEMPRE RIVOLUZIONARIA. Ma passiamo ora al giornale principe di Sicilia. Nella stessa notte in cui avvennero i fatti delittuosi il cronista nisseno ecco come compendia l’impressionante tumulto di Riesi. Subito dopo invierà un altro messaggio un po’più esaustivo.
GIORNALE di SICILIA: 9/10 Ottobre 1919 (foglio interno) I gravi fatti di Riesi Conflitto fra dimostranti e forza pubblica. Sette morti e numerosi feriti Caltanissetta: 8, notte. «Pervengono da Riesi notizie incerte e contraddittorie riguardanti fatti colà avvenuti e che sarebbero di una gravità eccezionale. Pare che le locali agitazioni d’indole più politica che economica siano degenerate in veri e propri tumulti e che sarebbero anche avvenuti conflitti in cui i dimostranti ne avrebbero avuto la peggio. Da persona scappata dal luogo riesco a sapere che stamane quasi improvvisamene parecchi nuclei di zolfatari e contadini si siano ribellati alla forza che tentarono di disarmare, ma i carabinieri e i pochissimi soldati quando la loro pazienza fu al minimo fecero fuoco in piazza Garibaldi di pieno giorno e che vi sia o una mezza dozzina di morti e parecchi feriti. La notizia divulgatasi in un baleno ha destato enorme impressione e tosto con una vettura automobile sono partiti per Riesi il Procuratore del Re, il Giudice Istruttore capo cav. Terenzio il maggiore dei carabinieri comandante la nostra divisione cav. Tartari . Sono altresì partiti per ordine del Prefetto comm. Guadagnini e del questore cav. Presti ragguardevoli rinforzi con il commissario cav. Caruso capo di Gabinetto del Prefetto. Appena potrò avere precisi particolari mi affretterò a comunicarveli. »
Abbiamo visto come è sintetico il cronista, ma abbiamo dovuto notare l’esaustività e la precisione del periferico giornalista del Giornale di Sicilia. La dinamica dei fatti viene così rappresentata. Agitazioni più politiche che economiche – siamo già in pieno clima elettorale e il trapasso dalla prima grande guerra al quasi immediato avvento del Fascismo fu torbido specie per il ribollire dei delusi Reduci; fu trapasso che spiega furori popolari e mene partitiche. Tanti dimostranti, apparentemente zolfatari e contadini, ma anche mestatori, teste calde che ancora vestivano la divisa militare si agitano scompostamente ed entrano “in conflitto” con le forze dell’ordine. Il corrispondente ci dice che si tratta di “carabinieri” (ai quali un giovane commissario è arduo pensare che possa dare ordini; e a quell’epoca il Messana era solo questo) e “pochissimi soldati” non certamente comandabili da un civile (e un commissario questo è; un civile che può concertare ma non dare ordini a dei militari).
Per me si deve escludere anche qui un qualche atto inconsulto del Mesana. La furia di un popolo in rivolta desta paura. Vi sono facinorosi che si “ribellano alla Forca” e cercano persino di “disarmarla”. Crepita, sì crepita, è ipotizzabile, la mitraglia dell’esercito: una strage. Ma il Messana, non citato che presumo persino assente, a tutto concedere non aveva né l‘autorità né l’autorevolezza in quei concitati momenti di mettere da parte il giovane ufficiale, che sappiamo aliunde essere di Villarosa e chiamarsi Michele Di Caro, e addirittura - nolente l’ufficiale dell’esercito - sparare lui e fare lui una carneficina di un popolo di lavoratori.
Eppure questa forsennata ipotesi è stata avanzata e addotta persino come verità indiscutibile. Trattasi di infamia, di postuma denigrazione (ci riferiamo all’intervento presso la Costituente dell’impetuoso Li Causi). Ecco una frottola che non ha riscontro documentale e storico di sorta e che una decina di anni fa, magari per esigenze cinematografiche, divenire indiscussa ricostruzione per raffigurare un Messana Stragista di Stato.
Non si infama così un integerrimo Gran-Commis di Stato. Il Messana non fu, non poteva essere, si guardò bene dall’essere il COLPEVOLE artefice di quella infame strage. I denigratori dovrebbero fare resipiscenza, almeno a mezzo stampa. E correggere i loro calunniosi e infondati assunti.
Calogero Taverna
Ettore Messana Riesi
AMMATULA TI SPICCI E FA’ CANNOLA/CA LU SANTU Eì DI MARMARU E NUN SUDA.
Detto sentito sin da bambino in quel di Racalmuto: Sciascia me lo illustra così:
«Inutilmente ti pettini e ti arricci (cannola = boccoli) / perché il santo è di marmo e non suda. E’ tutta in due versi - una canzone di sdegno, cantata cioè a disdegno di una donna prima amata. Si poteva sino a vent’anni fa, sentirla nella campagna solitaria, di sera: gridata più che cantata. Ma più spesso la si diceva a modo di proverbio, di sentenza: a figurare una situazione in cui, a chi vuol tornare all’amore, all’amicizia, alla fiducia di prima, si oppone gelida indifferenza. Si noti anche come nel nominare la materia di cui è fatta la statua del santo venga ad affermarsi scettico pregiudizio nei riguardi dei miracoli: il marmo che non suda, che non può sudare; da non credere, dunque, ai tanti conclamati prodigi di simulacri che sudano, che lacrimano, che sanguinano. Nell’ordine di un tale materialismo è il mimo del contadino che sradica un pero che non dà frutto e lo vende a uno scultore che ne cava la statua di un santo; sicché quando il contadino va in chiesa e la vede sull’altare, intorno i fedeli in preghiera, sa dell’inutilità di pregarlo: “Piru ca mai a lu munnu ha’ fattu pira/ pira ‘un ha’ fattu e miraculi vo’ fari? (pero che mai al mondo hai fatto pere/ pere non hai fatto e miracoli vuoi fare?»
Noi la sapevamo con una variante: ammatula ca t’annacchi e fa cannola, lu santu è di marmaru e nun suda. Quell’annacarsi (dondolarsi, sculettare) ci torna più gradito. Diciamo che francamente tutto quel rivestimento laico, scettico, non mi pare che i contadini o chi come me contadino ci fosse consueto.
Scremato il tutto, il detto valeva per dire è intuile che ti dai da fare, il santo è di marmo e non suda, non si commuove.
E così voglio rivolgermi ai miei cari redattori (o redattore-avvocato) di Malgrado Tutto. E inutile che si ANNACA e fa boccoli temerari, la faccenda Messana è come l'ho investigata e quindi il volerlo dannare senza sapere è insipienza apocalittica (bestemmiano ciò che ignorano) che poi frase giovanninea non è essendomi stamane sbagliato ma di un tale SAN GIUDA che ebbe a scriverla verso il 65°anno.
Partì a razzo il compagno Li Causi: - Messana “stragista di Stato” il 9 ottobre a Riesi; - Messana “criminale di guerra” a Lubiana tra l’aprile del 1941 e il maggio del ’42; - Messana “capo del banditismo ‘politico’ dal 1945 al luglio del 1947 ai tempi del bandito Giuliano.
I nostri studi, le nostre ricerche hanno appurato che a Riesi Messana se ci fu, fu un modesto esecutore di ordini e non certo uno stragista.
Proprio qui cerchiamo di essere in proposito il più esaurienti possibile su questa prima calunnia licausiana, targata PCI.
Caro Malgrado Tutto è inutile che ti annachi a fai cannola, Messana non poté essere lo stragista di Stato che per accaparrarsi fondi comunitari Riesi cercò di accreditare, trovando assenso nel foglio sciasciano e addirittura credendo che qualche professore poté avere accesso in Viminale e consultare il “fascicolo personale” del Nostro Ettore Messana.
Niente da fare. Il fascicolo per ora – fino a quando non lo depositeranno all’Archivio Centrale dello Stato all’EUR - è top secret per tutti. Figurarsi per i denigratori di Messana.
MI SCRIVONO e reitero qui sotto che di una calunniosa campagna di stampa e cinematografica è stato vittima il gr.uff. comm. dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, l’Ispettore Generale di PS, dottore Ettore Messana da Racalmuto.
Non credo che dopo la gran mole di documenti e ricerche che con qualche merito ho acquisito e pubblicato, possano avere diritto di asilo tante calunniose insinuazioni.
Reputo che il prof. Casarrubea me ne abbia dato atto. Non così la Cernigoi, una testarda goriziana, che persiste nelle sue denigrazioni dell’intemerato Messana. Credo che abbia voglia di subire querele penali e soprattutto citazioni civili per risarcimento danni.
Quanto al Lucarelli non abbiamo avuto modo, né io né la famiglia di contattarlo. Si vedrà. • IL QUESTORE MESSANA E I FATTI DI RIESI Il crucifige di Ettore Mesana si consuma il 15 luglio del 1947. Il gran sacerdote che ne vuole la fine è l’on. Li Causi: tre i capi d’accusa (politica). Desumiamoli dallo stesso Li Causi, da un suo arrabbiatissimo discorso all’Assemblea Costituente, pronunciato nella Seduta del 15 luglio del 1947. Per il sanguigno grande esponente del comunismo siciliano del dopoguerra, Messana andava giubilato: A) Perché c’era da domandarsi: «Scelba come può ignorare che Messana ha iniziato la sua carriera facendo massacrare dei contadini siciliani? Il 9 ottobre del 1919, infatti, cadevano a Riesi più di sessanta contadini, di cui tredici morti: trucidati a freddo, sulla piazza, dove si svolgeva un comizio. I vecchi di quest'Aula ricorderanno come in quell'occasione il Ministero Nitti ordinò un'inchiesta mandando sul posto il generale dei carabinieri Densa, mentre la Magistratura iniziò un'inchiesta giudiziaria soprattutto per accertare le cause della morte misteriosa di un tenente di fanteria, che si rifiutò di eseguire l'ordine di far fuoco del Messana, che ne disapprovò apertamente la condotta, e che il giorno dopo fu assassinato …»
B) « Messana è nell'elenco dei criminali di guerra di una nazione vicina; questo può far piacere ad una parte della Camera, la quale pensa: "Va bene, è un massacratore; però, di stranieri!"…»
C) «Si ha, [ …] , questa precisa situazione, che il banditismo politico in Sicilia è diretto proprio dall'ispettore Messana: e l'ispettore di pubblica sicurezza, il quale dovrebbe avere per compito quello di sconfiggere il banditismo -- il suo compito veramente sarebbe quello di sconfiggere il banditismo comune e non già quello politico -- l'Ispettore di pubblica sicurezza, dicevo, diventa invece addirittura il dirigente del banditismo politico.»
Ecco qui i tre capi di accusa: Riesi del 1919; Lubiana del 1941 (maggio)-giugno 1942; banditismo siciliano dal maggio 1945 al giugno del 1947.
Sono mesi che scartabelliamo faldoni, giornali, documenti vari, pubblicazioni vecchie. Ebbene: non ci possono essere dubbi. Nessuno può dimostrare che davvero in quel terribile 9 ottobre del 1919 ci fosse addirittura un giovane agente di polizia che prese la “mitraglia” in mano nel campanile della chiesa prospiciente piazza Garibaldi e falcidiò sei, si disse in un primo momento, contadini rivoltosi; poi si disse dieci, poi invece si salì a quindici (qui sopra) e, di recente, dovendo sperperare soldi comunitari, sempre a Riesi, addirittura 20. Ci dispiace per Li Causi: non si può condannare alla damnatio memoriae un glorioso ispettore generale di Stato sulla base di quello che avrebbero dovuto ricordare a distanza di quasi trent’anni ‘vecchi padri costituenti’. Vi poté pur essere stata una inchiesta del generale dei carabinieri Densa ma questa ammesso che si sia mai conclusa nessun addebito poté formulare e formulò contro il giovane trentunenne commissario Messana, che, anzi, a fascismo consolidato e con Calogero Vizzini confinato, spiccò salti da gigante nei gradi della polizia e proprio perché senza macchia alcuna, lui figlio di un modesto e dissennato redditiere racalmutese, sperperatore del proprio patrimonio, lo sfaccendato Clemente Messana, diviene – giovanissimo - questore ed ebbe affidate questure strategiche del Nord. Ad onore e vanto della sua patria natia, Racalmuto. Analogo discorso per quell’inchiesta giudiziaria: noi abbiamo reperito una relazione del Prefetto di Caltanissetta del successivo natale. Altri sono i colpevoli, i fatti avvennero in termini ben diversi dal facile populismo cui si abbandona, comprensibilmente , il Li Causi. MESSANA, il grande assente. NON COLPEVOLE. Nel 1934 dopo 15 anni – troppi o pochi a seconda delle tesi che si vogliono formulare – un quasi pastore valdese scrive una storia di Riesi. Quei truculenti fatti vengono rievocati. Sì, è vero: nella memoria della gente è scolpito che una mitraglia militare sparò e uccise tanta gente. Enfasi della memoria tanta. Si parla di un “commissario di Pubblica Sicurezza”, si dice che insieme ad altri due un ufficiale dell’esercito ed un semplice soldato, in tre, tutti insieme eccoli a premere il grilletto del mitra. Fantasia. Improbabile. Ma a tutto concedere: il nome del Messana non c’è. Davvero Li Causi nella foga ciceroniana finisce con l’inventare e quindi diffamare e direi calunniare. Erano tempi incandescenti. Portella della Ginestra fu più di una sventura nazionale e - se le carte della N.A.R.A. già consultate dal prof. Casarrubea verranno tutte alla luce - sarà da parlare di crimine americano. Finalmente. Altro che insana criminalità di un ex giovane commissario di polizia in vena di scimmiottamenti dell’esecrando generale Bava-Beccaris fatto dal Re senatore del Regno. Ma noi abbiamo cercato notizie vere, coeve, indubitabili. Abbiamo consultato i microfilm del giornale L’Ora di Palermo e il Giornale di Sicilia dell’epoca. Messana non ci sta. I fatti son diversi da come amò trasfigurarli il Li Causi per sue polemiche politiche di stampo rosso scarlatto. Da vecchio comunista, per il quale la verità storica va piegata alla grande lotta di classe. Noi siamo per la lotta di classe ma di quelli che reputano che la VERITA’ E’ SEMPRE RIVOLUZIONARIA. Ma passiamo ora al giornale principe di Sicilia. Nella stessa notte in cui avvennero i fatti delittuosi il cronista nisseno ecco come compendia l’impressionante tumulto di Riesi. Subito dopo invierà un altro messaggio un po’più esaustivo.
GIORNALE di SICILIA: 9/10 Ottobre 1919 (foglio interno) I gravi fatti di Riesi Conflitto fra dimostranti e forza pubblica. Sette morti e numerosi feriti Caltanissetta: 8, notte. «Pervengono da Riesi notizie incerte e contraddittorie riguardanti fatti colà avvenuti e che sarebbero di una gravità eccezionale. Pare che le locali agitazioni d’indole più politica che economica siano degenerate in veri e propri tumulti e che sarebbero anche avvenuti conflitti in cui i dimostranti ne avrebbero avuto la peggio. Da persona scappata dal luogo riesco a sapere che stamane quasi improvvisamene parecchi nuclei di zolfatari e contadini si siano ribellati alla forza che tentarono di disarmare, ma i carabinieri e i pochissimi soldati quando la loro pazienza fu al minimo fecero fuoco in piazza Garibaldi di pieno giorno e che vi sia o una mezza dozzina di morti e parecchi feriti. La notizia divulgatasi in un baleno ha destato enorme impressione e tosto con una vettura automobile sono partiti per Riesi il Procuratore del Re, il Giudice Istruttore capo cav. Terenzio il maggiore dei carabinieri comandante la nostra divisione cav. Tartari . Sono altresì partiti per ordine del Prefetto comm. Guadagnini e del questore cav. Presti ragguardevoli rinforzi con il commissario cav. Caruso capo di Gabinetto del Prefetto. Appena potrò avere precisi particolari mi affretterò a comunicarveli. »
Abbiamo visto come è sintetico il cronista, ma abbiamo dovuto notare l’esaustività e la precisione del periferico giornalista del Giornale di Sicilia. La dinamica dei fatti viene così rappresentata. Agitazioni più politiche che economiche – siamo già in pieno clima elettorale e il trapasso dalla prima grande guerra al quasi immediato avvento del Fascismo fu torbido specie per il ribollire dei delusi Reduci; fu trapasso che spiega furori popolari e mene partitiche. Tanti dimostranti, apparentemente zolfatari e contadini, ma anche mestatori, teste calde che ancora vestivano la divisa militare si agitano scompostamente ed entrano “in conflitto” con le forze dell’ordine. Il corrispondente ci dice che si tratta di “carabinieri” (ai quali un giovane commissario è arduo pensare che possa dare ordini; e a quell’epoca il Messana era solo questo) e “pochissimi soldati” non certamente comandabili da un civile (e un commissario questo è; un civile che può concertare ma non dare ordini a dei militari).
Per me si deve escludere anche qui un qualche atto inconsulto del Mesana. La furia di un popolo in rivolta desta paura. Vi sono facinorosi che si “ribellano alla Forca” e cercano persino di “disarmarla”. Crepita, sì crepita, è ipotizzabile, la mitraglia dell’esercito: una strage. Ma il Messana, non citato che presumo persino assente, a tutto concedere non aveva né l‘autorità né l’autorevolezza in quei concitati momenti di mettere da parte il giovane ufficiale, che sappiamo aliunde essere di Villarosa e chiamarsi Michele Di Caro, e addirittura - nolente l’ufficiale dell’esercito - sparare lui e fare lui una carneficina di un popolo di lavoratori.
Eppure questa forsennata ipotesi è stata avanzata e addotta persino come verità indiscutibile. Trattasi di infamia, di postuma denigrazione (ci riferiamo all’intervento presso la Costituente dell’impetuoso Li Causi). Ecco una frottola che non ha riscontro documentale e storico di sorta e che una decina di anni fa, magari per esigenze cinematografiche, divenire indiscussa ricostruzione per raffigurare un Messana Stragista di Stato.
Non si infama così un integerrimo Gran-Commis di Stato. Il Messana non fu, non poteva essere, si guardò bene dall’essere il COLPEVOLE artefice di quella infame strage. I denigratori dovrebbero fare resipiscenza, almeno a mezzo stampa. E correggere i loro calunniosi e infondati assunti.
Calogero Taverna
Di questi tempi debbo battagliare con incolti ma saccenti miei compaesani. A Racalmuto, paese di mafia di pluriomicidi di pervertiti di biscazzieri di strade dedicate a nefandi, da che l'ANPI di Palermo ha fatto erigere un cippo a Riesi in onore di chissà quale sedicente sindacalista trucidato da chissà quale Polizia di Stato, è divenuto di moda dare addosso alla fulgida figura di Ettore Messana, un avvocato del primo dopoguerra 1915-‘18 divenuto capo apicale della Polizia di Stato, consigliere principe di De Gasperi dal 1947 (luglio) sino alla sua morte avvenuta il 26 novembre 1963. Morì austero in una casa dell'INGIC e fu sepolto fra i grandi al Verano.
Partito all'attacco il dirompente ex sindaco Petrotto (subito però ravvedutosi) non sembrò vero a mio cugino Gigi Restivo imbrattare le paginette informatiche di Malgrado Tutto con gli isterici dileggi del Casarrubea.
Da ispettore eccelso quale fui ed ancor mi sento sono partito al contrattacco ed ancora non ho smesso di far ricerche d'archivio e appunti di storici seri per mettere alla berlina tali sedicenti storici da strapazzo, da Montalbano a Li Causi, dalla Cernigoi al Ricciardelli e sia pure con la cautela che bisogna avere quando si combatte contro i defunti lo stesso Casarrubea, che ormai con mio accoramento, non è più fra noi. Aspetto l'uomo politico di Sutera per capire se anche lui vuole aggregarsi ai detrattori del Messana in forza di qualche insignificante stralcio di giornale antico.
Ultimamente ho fatto un atto di misericordia: ho fatto sì che il mio compagno comunista Calogero Alaimo Di Loro non si esponesse al ridicolo con un esile e superato libretto approvato da Mangione di Agrigento ma bocciato sonoramente dalla CGIL romana.
E così oggi mi imbatto in Eugenio Napoleone Messana che nel suo rigonfio tomo sulla storia di Racalmuto parla di Messana e ne parla anche bene.
Il testo di Eugenio Napoleone Messana fu snobbato da Leonardo Sciascia.
Sornionamente divaga Il Racalmutese: “negli anni la richiesta e ricerca del libro di Tinebra Martorana ... divenne tanto intensa quanto vana. E non la spense nemmeno la pubblicazione nel 1969 , della terza storia del paese ‘Racalmuto nella storia della Sicilia' di Eugenio Napoleone Messana ... voluminosa, fitta di notizie."
Soggiungiamo noi che altrettanto la pubblicazione di E.N. M. era "richiesta e ricercata .... [ma] era fatica intensa quanto vana" per certe delusioni dell'autore. Ma Sciascia se all'opera "letteraria” del Tinebra dette il placet, al suo pur amico Messana, no: “ voluminisa e fitta di notizie"; e dire che per il romanziere del “giorno della civetta "limitato è il numero delle notizie che si possono estrarre da libri e da manoscritti, moltissime e di sottili e lunghi i tentacoli sono quelle che si possono estrarre dalla memoria. Dalla galassia della memoria”.
Per Sciascia dunque le fitte notizie del Messana non avevano il luccichio della "galassia della memoria".
Ma noi che manco storia vorremmo fare ma semplici cronache antiche del paese nostro, troviamo notizie ghiotte nella immane fatica di Eugenio Napoleone Messana.
Questo, sindaco folkloristico di Racalmuto, approfittò della carica per rovistare nei faldoni e nelle carte comunali. E statene ceto che quello che lui scrive sulla seconda metà dell'Ottocento sino ai suoi giorni (sino al 1969) è impareggiabile.
Si abbandona certo a stravaganti giudizi di valore; lui piuttosto bigotto e clericale, deve atteggiarsi per calcolo politico a comunista. Eppure inventarsi meriti sindacali e politici rossi a Racalmuto è blasfemìa. Dare uguale peso a traumi sociali e dispetti paesani e giulivi può disturbare il ricercatore storico ed obiettivo. Ma le notizie ed informazioni che dà Eugenio Napoleone Messana sono impagabili e insostituibili.
E così, e proprio oggi, veniamo a scoprire nel testo del Messana che "fra gli intellettuali del paese che in questo periodo (attorno al 1918) si affermarono meritano particolare attenzione l'avv. Giuseppe Scimé, l'avv. Salvatore Petrone e l'AVV. ETTORE MESSANA (v. pag. 357)". Passando a pag. 359 leggo: "Allorché il fascismo soppresse la libertà ed instaurò la dittatura, Calogero Picone Chiodo dovette fuggire da Racalmuto. .... Dopo tanto girare riparò a Bolzano in casa di ETTORE MESSANA, suo amico d'infanzia ed ex compagno, già vice questore in quella città. I due erano tanto intimi che si chiamavano compari. Ettore Messana intanto una mattina arrivato in questura trovò un telegramma firmato dal Ministro dell'Interno, così concepito: 'dicesi ricercato antifascista Calogero Picone Chiodo aggirarsi presso codesta città, pregasi disporre accurati servizi onde assicurarlo giustizia prima che valichi frontiera.' ... Il ricercato era l'ospite compare e suo paesano. Tornatosene a casa, aspettò che finisse il pranzo, poi si chiamò in disparte il compare e glielo esibì. Il povero Liddu Chiovo non seppe che dire. Ettore Messana gli assicurò che lo avrebbe messo in salvo lui oltre il confine . Verso sera gli procurò un passaporto con false generalità e lo fece scortare sino a Insbruk da due agenti."
Sappiamo pur bene che Geniu era fantasioso e non ci giureremmo sulla totale attendibilità delle notazioni che ci fornisce. Intanto non sappiamo in che anno siamo. Davvero in quell'anno (che dovrebbe essere alla fine degli anni Venti) Ettore Messana era Vice Questore a Bolzano?. Se era così, in poco più di undici anni Ettore Messana sarebbe passato da Vice Commissario di Mussomeli a Vice Questore di Bolzano. Ma se è così, il Messana che faceva svelta carriera in combutta con la mafia di Sicilia e che nel 1919 era stato persino un fanatico fascista della "prima ora” diventa una frottola dell'ANPI di Palermo magari condita e condivisa dal Malgrado Tutto di mio cugino Gigi Restivo.
Conosco la settimana scorsa questo simpatico personaggio, Gero Difrancesco, già sindaco comunista di Sutera, attore nelle vesti di Caifa, ed ora valente archivista in Caltanissetta. Mi omaggia con un suo libro "Storie scordate". Prosa fluida ed elegante, conoscenza storica non indifferente, sagacia archivistica. Nel tracciare la biografia piuttosto laudativa di un equivoco personaggio fascista, il senatore Giuseppe Mormino, riporta un anonimo - non confidandoci la fonte - di data incerta (ma dovrebbe essere una delazione vergata tra il 1933 e il 1936 – noi pensiamo, poco prima del 31 luglio 1936) dove per incidens apprendiamo: "... quando il Mormino fu chiamato da voi come capo di gabinetto il questore di Palermo era stato nominato nella persona di Giuseppe Messana, funzionario di valore sacrificato dal Mormino per dar posto al Lauricella suo fiduciario .."
Giuseppe non è Ettore ma può trattarsi di topica della memoria. L'anonimo npn è siciliano (così almeno si dichiara). Dice di essere un non isolano "inviato in Sicilia con una alta carica , [aveva cercato] di ristabilire il costume ed evitare tutte le più impure speculazioni e le più vergognose solidarietà, [ma aveva trovato] nel personale dipendente un fronte unico ed [era] stato soverchiato". Succedeva che "alla maffia bassa e volgare si [era] sostituita una nuova maffia che imperversava nell'Isola". Ovvio che per l'anonimo Messana non era di codesta congrega: a suo giudizio "era funzionario di valore" degno già nel 1933 di fare il questore a Palermo.
Se non dovesse trattarsi di Ettore il nostro dire ha scarso rilevo, ma se quel Giuseppe dovesse leggersi Ettore quante diffamazioni, insolenze, sospetti, denigrazioni dell'ANPI di Palermo e di storici di recente formato riesino (ivi compreso il duo Cernigoi-Casarrubea dovrebbero andare al macero.
Si dà il caso però che io non faccio agiografia di nessuno, cerco solo la verità.
Calogero Taverna
NOI MESSANA
Ettore Giuseppe Tancredi MESSANA nacque dunque a Racalmuto nel 1884, figlio di don Clemente Messana, da non confondere con l'altro don Clemente Messana di cui si ha ancora memoria in paese anche per essere il nonno materno di Clemente Casuccio il DINO della storia racalmutese del Dopoguerra.
Il padre di Ettore non può dirsi uomo assennato. Non tanto perché sposa una dolce e fedele ragazza maltese, quanto perché propenso a scialacquare la cospicuo patrimonio familiare. Possidente si dichiara nel 1884 ma ormai poco possiede. Si trasferisce a Palermo, più dedito al gioco che alla sua numerosa famiglia: due figli maschi e tre femmine.
Il fratello di Ettore muore piuttosto giovane, le tre sorelle resteranno irascibili zitelle.
Ettore deve il nome ad uno zio morto giovanissimo a cui la zia di Ettore, che per quella tragica dipartita ne resterà fulminata dopo pochi mesi, ergerà nel novello cimitero di Santa Maria una tomba alla greca, inusitata, emblematica come oggi la si può vedere anche perché avello di un'altra celebre Messana la virago centenaria donna Elettra Messana, virgo in capillis inferocita contro la madre napoletana che se ne scappò con il suo ragazzo. Poi caduta in miseria, Elettra la sovvenzionò ma da lontano tramite l'ormai potente suo cugino il questore Ettore Tancredi Messana, di cui forse era innamorata.
Noi Messana vorrebbe un suterino detrattore. Noi Messana diciano noi abbagliati dai fulgori di questa intrigante grande famiglia Racalmutese.
Il padre del futuro questore Messana, lo ritroviamo comunque a Racalmuto nel 1894 quando fa battezzare il secondo figlio maschio, nato a dieci anni dopo la nascita di Ettore. Era l'11 aprile 1894. Da don Clemente Messana e dalla sua fedele consorte di origine maltese, donna Sofia Mirabelli nasce Edoardo Tancredi Roberto Messana, battezzato del noto padre Luigi Macaluso, gli fa da padrino Ignazio Macaluso.
Dopo non abbiamo più tracce a Racalmuto: la famiglia di Clemente Messana sembra definitivamente traslocarsi a Palermo. Qui di certo Ettore fa i suoi studi e all'università palermitana si laurea in giurisprudenza, sposa una gentil donna palermitana e nel 1914 ha l'unico figlio maschio da cui la nostra grande amica donna Giovanna Messana.
A credere ad Eugenio Napoleone Messana, il nostro questore torna a Racalmuto per svolgervi nei frangenti della Grande Guerra la professione di avvocato. Ma fu esperienza breve. In tempo comunque per mostrare le sue tendenze socialiste.
Nel suo ponderoso ed impinguato studio microstorico racalmutese E.N. Messana scrive: "I reduci di guerra, intanto, forniti di titolo di studio andavano trovando sistemazione nei vari uffici e risolvevano il loro problema, gli altri, quelli che avevano realmente patito tutti gli orrori della guerra erano al bivio o la baionetta o il passo o lo sciopero spesso infruttuoso. Fra gli Intellettuali del paese che in questo periodo si affermarono meritano particolare attenzione l'avv. Giuseppe Scimè, l'avv. Salvatore Petrone e l'avv. Ettore Messana. I primi due intrapresero la carriera della magistratura e raggiunsero i posti più alti, sostituto procuratore generale e consigliere di cassazione lo Scimé, consigliere di cassazione il Petrone, il Messana scelse la pubblica sicurezza, fece tutta la carriera, partendo, come si suol dire, dalla gavetta e giungendo dopo aver subito remore dal fascismo, in quanto ex socialista, alla carica di ispettore, ispettore di polizia in Sicilia, ispettore generale della Repubblica".
Non ne conosciamo le fonti e quindi ci limitiamo a riportarne pedissequamente le informazioni,
informazioni che fanno giustizia di tutte le denigratorie infamie dell'ANPI di Palermo
Ettore Giuseppe Tancredi MESSANA nacque dunque a Racalmuto nel 1884, figlio di don Clemente Messana, da non confondere con l'altro don Clemente Messana di cui si ha ancora memoria in paese anche per essere il nonno materno di Clemente Casuccio il DINO della storia racalmutese del Dopoguerra.
Il padre di Ettore non può dirsi uomo assennato. Non tanto perché sposa una dolce e fedele ragazza maltese, quanto perché propenso a scialacquare la cospicuo patrimonio familiare. Possidente si dichiara nel 1884 ma ormai poco possiede. Si trasferisce a Palermo, più dedito al gioco che alla sua numerosa famiglia: due figli maschi e tre femmine.
Il fratello di Ettore muore piuttosto giovane, le tre sorelle resteranno irascibili zitelle.
Ettore deve il nome ad uno zio morto giovanissimo a cui la zia di Ettore, che per quella tragica dipartita ne resterà fulminata dopo pochi mesi, ergerà nel novello cimitero di Santa Maria una tomba alla greca, inusitata, emblematica come oggi la si può vedere anche perché avello di un'altra celebre Messana la virago centenaria donna Elettra Messana, virgo in capillis inferocita contro la madre napoletana che se ne scappò con il suo ragazzo. Poi caduta in miseria, Elettra la sovvenzionò ma da lontano tramite l'ormai potente suo cugino il questore Ettore Tancredi Messana, di cui forse era innamorata.
Noi Messana vorrebbe un suterino detrattore. Noi Messana diciano noi abbagliati dai fulgori di questa intrigante grande famiglia Racalmutese.
Il padre del futuro questore Messana, lo ritroviamo comunque a Racalmuto nel 1894 quando fa battezzare il secondo figlio maschio, nato a dieci anni dopo la nascita di Ettore. Era l'11 aprile 1894. Da don Clemente Messana e dalla sua fedele consorte di origine maltese, donna Sofia Mirabelli nasce Edoardo Tancredi Roberto Messana, battezzato del noto padre Luigi Macaluso, gli fa da padrino Ignazio Macaluso.
Dopo non abbiamo più tracce a Racalmuto: la famiglia di Clemente Messana sembra definitivamente traslocarsi a Palermo. Qui di certo Ettore fa i suoi studi e all'università palermitana si laurea in giurisprudenza, sposa una gentil donna palermitana e nel 1914 ha l'unico figlio maschio da cui la nostra grande amica donna Giovanna Messana.
A credere ad Eugenio Napoleone Messana, il nostro questore torna a Racalmuto per svolgervi nei frangenti della Grande Guerra la professione di avvocato. Ma fu esperienza breve. In tempo comunque per mostrare le sue tendenze socialiste.
Nel suo ponderoso ed impinguato studio microstorico racalmutese E.N. Messana scrive: "I reduci di guerra, intanto, forniti di titolo di studio andavano trovando sistemazione nei vari uffici e risolvevano il loro problema, gli altri, quelli che avevano realmente patito tutti gli orrori della guerra erano al bivio o la baionetta o il passo o lo sciopero spesso infruttuoso. Fra gli Intellettuali del paese che in questo periodo si affermarono meritano particolare attenzione l'avv. Giuseppe Scimè, l'avv. Salvatore Petrone e l'avv. Ettore Messana. I primi due intrapresero la carriera della magistratura e raggiunsero i posti più alti, sostituto procuratore generale e consigliere di cassazione lo Scimé, consigliere di cassazione il Petrone, il Messana scelse la pubblica sicurezza, fece tutta la carriera, partendo, come si suol dire, dalla gavetta e giungendo dopo aver subito remore dal fascismo, in quanto ex socialista, alla carica di ispettore, ispettore di polizia in Sicilia, ispettore generale della Repubblica".
Non ne conosciamo le fonti e quindi ci limitiamo a riportarne pedissequamente le informazioni,
informazioni che fanno giustizia di tutte le denigratorie infamie dell'ANPI di Palermo
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