Castelli Chiaramontani
19giovedìMar 2015
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I numerosi castelli della Sicilia, disposti lungo le coste o nell’entroterra, rappresentano la testimonianza concreta delle sue tormentate vicende storiche.
Tra le numerose famiglie feudali, al centro di episodi politici e sociali dell’isola, si distinsero i Chiaramonte, giunti in Italia al seguito dei Normanni.
I diversi esponenti della famiglia furono molto dinamici nelle attività edilizie e, in tutta l’isola, modificarono o costruirono edifici con uno stile architettonico originale, definito “chiaramontano”.
I Chiaramonte (forse riconducibili ai de Clermont di Francia; in alcuni scritti sono citati anche come Chiaromonte) furono un’antica famiglia siciliana molto potente nel
XIV secolo. Furono fra i rappresentanti più importanti e in vista della nobiltà Latina in Sicilia e presero parte attiva alla vita politica della Sicilia.
Originari di una località francese chiamata Clairmont, Clairemont, probabilmente Clermont in Piccardia, i più antichi componenti della famiglia, arrivati in Italia al seguito dei Normanni, di cui si ha notizia, sono un Edgardo di Capua e un Ugo signore di Colubraro e Policoro (in Basilicata), vissuti tra la fine dell’XI secolo e[ l’inizio del XII secolo. Un ramo della famiglia si stabilì in Sicilia a cavallo fra ilXIII secolo e il XIV secolo ed esattamente a Ragusa.
Il ramo siciliano di tale famiglia ebbe per esponente Federico I, Signore di Sutera, che sposò in Agrigento la nobile agrigentina Marchisia Prefoglio, figlia del Miles Pietro, Signore di Ragusa, e sorella di Federico, Conte di Caccamo, al quale – alla sua morte – succedette nei beni e nella Contea che amministrò – a mezzo di procuratori – da Agrigento, nella quale Città dimorò sempre, con il marito, fino alla morte. Da Federico I Chiaramonte e da Marchisia Prefoglio nacquero in Agrigento diversi figli, fra i quali: Manfredo che divenne Conte di Modica e Gran Siniscalco del Regno; Giovanni (il Vecchio) uomo religiosissimo, prode nelle armi; Federico II, Signore di Racalmuto, Siculiana e Favara.
Durante i regni di Pietro II d’Aragona (1337-1342) e di Ludovico suo figlio (1342-1355), i Chiaramonte, insieme ai Palizzi capeggiarono la fazione Latina che combatteva quella dei Catalani. A questa famiglia si deve la costruzione di vari castelli e palazzi. Da loro prende nome il cosiddetto stile chiaramontano, caratteristico dell’edilizia privata trecentesca siciliana, e che ha notevoli esempi nei castelli di Caccamo, Mussomeli e Alcamo, e nelle pitture del Palazzo Steri di Palermo, la più splendida impresa dell’arte decorativa siciliana del Trecento, sede poi dei Viceré e dell’Inquisizione.
I Chiaramonte ebbero diversi territori. A loro si fanno risalire fra gli altri: la vasta signoria su Ragusa, Modica, Scicli, Pozzallo,Ispica e Chiaramonte Gulfi (RG), Naro, Bivona (AG), Lentini (SR), sui castelli di Favara, Palma di Montechiaro, Racalmuto(AG), Gela, il castello di Mussomeli, il castello di Falconara presso Butera (CL), Alcamo (TP) e Caccamo (PA).
Al culmine della loro potenza risiedevano stabilmente presso il palazzo Steri a Palermo nel quale avevano stabilito la corte, vista la contiguità di tale famiglia con la Corte Reale, di cui erano “pari” e collaboratori.
Fra gli incarichi più importanti rivestiti dai componenti della famiglia Chiaramonte vi furono quello di Maresciallo dell’Impero, Gran Siniscalco del Regno, Vicario del Regno e Maestro Giustiziere del Regno.
Gli esponenti che più legarono il loro nome alla storia di Sicilia furono:
Manfredi I (m. 1321), che fu signore del casale di Caccamo ereditato dalla madre Marchisia Prefolio e Conte di Modica grazie alla moglie Isabella Mosca; Giovanni, detto il giovane, avversario di Roberto d’Angiò, dal quale fu fatto prigioniero a Lipari, nel 1339; Manfredi II, che fu vicario generale del Regno (m. 1353); Manfredi III, conte di Modica, Malta e Gozo, e Vicario del Regno di Sicilia dal 1377 al 1391; Andrea, che ereditò dal precedente tutti i possedimenti ed i titoli baronali.
Dopo la morte di Andrea i Chiaramonte si estinsero: i beni furono confiscati e concessi al catalano Guglielmo Raimondo Moncada ma soprattutto a Bernardo Cabrera, investito poi nuovo conte di un ancor più ampia e ricca di privilegi Contea di Modica.
I castelli chiaramontani furono edificati, rifondati o modificati da esponenti della famiglia Chiaramonte i seguenti castelli, parzialmente conservati: Camastra, Carini, Chiaramonte Gulfi,Comiso, Favara, Modica (nella “capitale” dell’omonima Contea di Modica), Montechiaro (oggi nel comune di Palma di Montechiaro), Motta Santo Stefano, Mussomeli(nella città fondata da Manfredi III), Naro, Racalmuto, Ragusa, Siculiana, Sperlinga, Sutera (solo ruderi).
Edificarono costruzioni massicce, chiuse, quadrate e isolate, quasi a voler sottolineare la loro sprezzante e altezzosa distanza dai borghi e dal volgo.
Edificarono costruzioni massicce, chiuse, quadrate e isolate, quasi a voler sottolineare la loro sprezzante e altezzosa distanza dai borghi e dal volgo.
Uno degli esempi più importanti dello stile chiaramontano è il castello di Mussomeli, in provincia di Caltanissetta.
Altri castelli chiaramontani si trovano in provincia di Agrigento dove, quello di Favara è, forse, il più antico. Altri ancora si trovano a Naro, Racalmuto, Modica e a Palma di Montechiaro, l’unico costruito nelle vicinanze del mare.
Altri castelli chiaramontani si trovano in provincia di Agrigento dove, quello di Favara è, forse, il più antico. Altri ancora si trovano a Naro, Racalmuto, Modica e a Palma di Montechiaro, l’unico costruito nelle vicinanze del mare.
Uno dei castelli chiaramontani più importanti si trova a Palermo: è il palazzo Chiaramonte-Steri, attuale sede del rettorato universitario. L’edificio, noto per la sua sontuosità, è stato la grande dimora del conte Manfredi e, in seguito, ha ospitato diversi vicerè fino a divenire sede del carcere e del tribunale dell’Inquisizione.
In provincia di Palermo, a Caccamo, si trova un altro importante esempio di maniero arroccato su uno sperone roccioso, molto esteso e ben conservato. Fu teatro di una brillante vita di corte, ma anche della tragica morte del proprietario, Matteo Bonello. Questi, imprigionato e privato degli occhi ad opera di Guglielmo I, fu lasciato morire nei sotterranei.
Secondo alcuni, il suo fantasma, nelle sembianze di un uomo con pantaloni aderenti e giacca di cuoio, si aggirerebbe nelle stanze e, con aspetto minaccioso, pronuncerebbe i nomi di coloro che lo tradirono e gli inflissero torture.
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