Credo che siamo a meno cinque. Quindi il 4 marzo, quindi il 5 marzo e finalmente questa fiacca stanca incoerente meschinella incolta competizione elettorale si chiude. Se punto in più punto in meno si verificheranno i risultati che i sondaggi finché pubblici hanno preannunciato, i giochi direi sono già belli e fatti: nessuno con più del 40% e di conseguenza scatterebbe la parte migliore - per me - del Rosatellum, la mirabile legge novellamente democratica. Come dire, nessun culto della personalità, nessuno che possa gridare: qui comando io: nessuna barriera invalicabile tra agglomerati di opposte ideologie o di contrapposto moralismo. Quell'acuto demone politico a nome Massimo D'Alema, lo ha già preannunciato: avremo il governo del Presidente. Che significa? che l'area 'moderata' o 'centrista' che dir si voglia, insomma in medio stat virtus, si consorzierà apparendo divisa e inconciliabile e governerà - a mio avviso bene - per i prossimi cinque anni. Vedo insomma l'area berlusconiana, quella renziana e l' appendice grassiana ben strette attorno all'Uomo del Presidente ( Gentiloni?) così come polemiche distanti e divise nel teatrino della politica, TV, stampa, mass media. Berlusconi saprà bene addomesticare la successione di Draghi - cosa per noi di vitale importanza - e D'Alema saprà ben sistemare la BI di Visco per riaprire i giochi di ingegneria finanziaria alla Guido Carli (prestiti compensativi e risconti sotto fascia) in modo da riassettare gli equilibri bancari con grossi apporti di liquidità e bandendo questa teoria di patrimoni adeguati che non consentono operazioni baciate e sofferenze inventate da squilibrati ispettori di Via Nazionale 91. Basta insomma con salvataggi bancari a carico dell'erario ma superamento delle ineludibili crisi in modo endogeno, con provvide misure di ristoro o cose simili che la fertile fantasia italica riesce ad inventarsi con mirabolante facilità. Calogero Taverna
mercoledì 28 febbraio 2018
Non parlo di lauree di cui non me ne frega niente. Sciascia non era laureato e voglio vedere se non era in grado di fare il ministro della Pubblica Istruzione. Il mio D'Alema non è laureato e spero che con LeU torni autorevolmente nel Consiglio dei Ministri, in cui la coltissima Italia non può ammettere un tal Di Maio, non perché non è laureato, ma perché è incolto. Questa sparata anticostituzionale di voler fare lui prima del 4 marzo la lista dei ministri la dice lunga sulla sua 'ìmbecillità' nel senso di chi non possiede neppure un minimo di conoscenze di diritto pubblico. Ignora sapendo di ignorare ma la spara grossa credendo di ammaliare i babbei come lui. La lista dei ministri la può fare solo il presidente designato dal Capo dello Stato. Ciò è imposto dalla costituzione che molto recentemente noi cittadini italiani abbiamo voluto integra e permanente al 60% dei votanti. Spararle grosse a che serve? A convincere me che non sono di 5Stelle a lottare 5Stelle nel modo più arrabbiato possibile . Non praevalebunt. E lo dico in latino per dare una rispostaccia anche a quella senescente della Bonino. Quanto a Berlusconi, detto che mai sono stato Berlusconi, anzi se ha avuto guai giudiziari di indole tributaria in parte lo deve alle interrogazioni di garavini con il quale ebbi A COLLABORARE. MA QUESTO NULLA TOGLIE E NULLA AGGIUNGE ALLA GRANDEZZA POLITICA IMPRENDITORIALE E SE VOLETE CALCISTICA DI SIFFATTO GIGANTESCO UOMO DI STATO che pur avverso. E per i suoi peccati di sesso se la deve vedere con il Buon Dio se esiste e giammai con l'elettorato italiano che trascende quel meschinello 20% a cui può aspirare questa massa di italiani che si fanno affascinare da un comico di nome Grillo. Calogero Taverna
domenica 25 febbraio 2018
Credo che giammai potrò darti il nome del nonno di don Gasparino Matrona. Forse si chiamava Gaspare, un nome plebeo. Ma ho tutta l'impressione che non fosse racalmutese e quindi non potrei rintracciarlo in alcun modo. E' il figlio Pietro che s'insedia a Racalmuto. E da Pietro quella caterva di figli che sciorino nei miei sgangherati appunti sull'Ottocento racalmutese.
Certamente un paese dove non esisteva la
leva e che ha dovuto sobbarcarsi alla medesima, deve essere assai malcontento;
quindi i cinque o sei mila refrattari di cui è forza deplorar l’esistenza. In
Sicilia non v’era carta da bollo, ora non vi è solo questo, sìbene il registro
ed il bollo, che han rovinato tutte le classi le quali viveano del foro. [...]
Debbo dirvi ora una parola intorno alle carceri di Palermo ... Signori, in
quelle carceri ho scorto cose degne del medio evo, cioè 1400 detenuti, di cui
pochissimi condannati, i più tenuti a disposizione della questura, e non interrogati
da tre, da sei, da diciotto mesi! Alcuni tenuti in celle nelle quali
passeggiano come fiere in gabbia, e senza lavoro! Altri, tenuti in vastissimi
cameroni in numero di 100 o 150, senza un misero pagliariccio; dormono avvolti
in mantelli, e lascio immaginare a loro, signori, che cosa debba avvenire la
notte in quei cameroni.»
La risposta del ministro Peruzzi è scontata:
burocratica, evasiva, legittimista. Ma quelche spunto è degno di menzione: «...
debbo osservare come disgraziatamente siasi verificato che taluni proprietari
adoperano pei lavori di campagna preferibilmente dei renitenti alla leva ed
altri che trovansi in questo stato extralegale, perché fanno pagar loro questa
irregolarità di condizioni col prestar loro una mercede minore di quella che accordano
agli altri lavoranti.»
Noi non abbiamo dubbi: a Racalmuto i
galantuomini, grandi proprietari di terra, fecero fortuna a sfruttare quei
poveri renitenti. Chissà i commenti al circolo di compagnia.
Il Peruzzi è tagliente nello stigmatizzare
la manomorta ecclesiastica agrigentina. « La provincia di Girgenti è quella
dove la maggior parte dei beni sono nelle mani delle corporazioni religiose e
del clero. Io stesso, visitando la provincia di Girgenti, ho dovuto
maravigliarmi, come dopo aver veduto una quantità di solfare vicine l’una
all’altra, dovessi poi attraversare lungo tratto di paese senza vederne una.
Ebbene, quel lungo tratto di paese era proprietà della mensa arcivescovile, o
vescovile non so, di Girgenti. Quella mensa non voleva dare ad altri la facoltà
di ricercare depositi di zolfo, né coltivarli né tampoco li ricercava e coltivava essa stessa. L’industria stessa
degli zolfi, o signori, non contribuisce per avventura alla maggior moralità di
quelle popolazioni, e di questo possono convoncersi tutti quelli che hanno
esaminato le condizioni nelle quali quell’industria viene esercitata.
«Inoltre la provincia di Girgenti ha avuta
la disgrazia d’avere un’evasione di detenuti, dei quali una piccolissima
porzione si è potuta riprendere, mentre degli altri che è egli avvenuto? Si
sono forse costituite delle bande armate in quella provincia? Niente affatto.
Tutte le ricerche fatte dalla forza militare sono riuscite inutili, ed ho
quindi motivo di credere che anche
questi siano stati, per così dire, riassorbiti dal apese, che si siano sparsi
per le barie borgate, per le varie masserie, per le varie solfare, e che di là
facilmente si muovano a commettere i delitti. [...] Io ho cambiato il prefetto
di quella provincia perché ho creduto che questa misura fosse indispensabile.
Ho invitato il prefetto a propormi il cambiamento di delegati e di altri
funzionari sotto i suoi ordini, scioglimenti di Consigli comunali e di guardie
nazionali, ed egli mi ha risposto che effettivamente conviene adottare siffatte
disposizioni. »
*
* *
Bisogna dare atto ad Eugenio Napoleone Messa
di avere bene inquadrato l’avvicendarsi dei sindaci di Racalmuto dopo l’Unità
d’Italia. La successione dei sindaci nel ventennio successivo alla venuta di
Garibaldi l’abbiamo vista prima. Oltre ai dati di cronaca del Messana, noi
disponiamo di queste risultanze d’archivio.
Maggio del 1860
Al convento dei Minori sotto titolo di S.
Francesco di Assisi di Racalmuto (convento di S. Francesco), dimorano questi
frati: 1° fra Michele Antonio Garafalo, guardiano; 2° fra Salvatore Mirisola;
3° padre Luigi Scibetta.
1864
Nel convento di S. Francesco ora l’organico
dei monaci era composto dal solito fra Scibetta, da fra Pietro Calamera, dal p.
Fracesco Mulé, da fra Giuseppe Scimè detto Cicolino, tìlaico terziario e da fra
Antonio Chiodo:
1866
Il 24 agosto 1866 abbiamo l’ultima
registrazione del convento di S. Francesco. Poi tutto passa in mano laica per
le note leggi eversive. Fra Francesco Mulè sottoscrive ricevuta “a buon conto
del mio vestiario della somma di onze 16, dico 16). Si chiude la gloriosa
storia del convento di S. Francesco di Racalmuto: l’eremo dei Minori di S.
Francesco chiude i battenti per volontà degli estranei piemontesi. Le terre -
appetibilissime - passano in mano ai furbi e fedifraghi notabili locali.
1869
27 giugno 1869 “Mene mazziniane (lettera da
Firenze): «il partito mazziniano a tentato, tenta , ed in ogni modo studia per
avere degli affigliati nelle vie ferrate e negli uffici telegrafici». [18]
11 agosto 1869 «Avendo con la massima
riservatezza e circospezione indagato sulla condotta di questo Ufficiale
telegrafico sig. Tulumello Salvatore di Luigi non ho osservato sinora dal suo
contegno alcun indizio da cui desumere che fosse un affigliato o cooperatore
del partito Mazziniano», Il delegato Morra (?) al Prefetto [dall’Ufficio di
Pubblica Sicurezza di Racalmuto]. [19]
1870
Racalmuto 14 giugno 1870 «...Venendo agli
uffici pubblici, incominciando dalla Pretura diretta da qualche mese dal vice
pretore, procede regolarmente, però sarebbe desiderabile che venisse al più
presto possibile il nuovo Pretore titolare sig. Ripollina, che si attende, per
dare maggiormente spinta ed attività al regolare andamento dell’amministrazione
della giustizia. Sui Reali Carabinieri non v’è cosa di proposito da osservare
in contrario; sarebbe però utile che il comandante della stazione sig.
Bertelli, bravo giovane, spiegasse maggiore energia per disciplina sui propri
dipendenti, i quali profittandosi della bontà del loro capo sono un po’
rilassati nel servizio, non prestando con quella attività che si richiede;
attività indispensabile per potere alla meglio sorvegliare il territorio, e
l’abitato che sono vasti, mentre la forza è ristrettissima, per cui si dovrebbe
aumentare la Stazione almeno di altri due Carabinieri non essendocene che
quattro, con altrettanti soldati: forza la quale rimane quasi esclusivamente in
continuazione per la scorta delle due corriere postali che transitano in questo
stradale ogni giorno.
«Il servizio delle due guardie campestri
esistenti Deleo e Vinci, è del tutto trascurato da poiché il Municipio invece
di farli disimpegnare il proprio incarico li lascia praticamente addetti ai
propri particolari e di scorta al sig. Sindaco, sig. Matrona, Giunta, parenti e
amici. Si dice pure che i suaccennati agenti spalleggiati dall’Autorità
Comunale commettono scrocchi, ma nulla si può accertare di positivo.
«Gli Uffici del registro, telegrafico e
poste non danno motivo a lagnanza nel pubblico, però ci vorrebbe un poco più di
attività in quest’ultimo servizio, e che il capo dell’Ufficio sig. Borsellino
non fosse trascurato nel prescritto orario di tenere aperta la Posta, e non
abbandonasse quasi totalmente il servizio al suo commesso sig. Grillo Calogero
buon giovane, ma piuttosto inesperto e distratto. L Delegato [firma
illeggibile].»
Il sindaco che nel 1870 si serviva di quella
guardia campestre, che poi vedremo sinistra protagonista in casa Matrona, era
il notaio Michele Angelo Alaimo che precede don Gasparino che sindaco lo
diventa nel 1872: frattanto quel Matrona era consigliere provinciale (dal 1868
al 1871): tanto bastava per dirottare la non proprio pacifica guardia Vinci a
seguire ed avere in custodia l’intera famiglia dei già arroganti Matrona.
Borsellino aveva in mano la Posta ma l’affidava ad un giovane definito
«inespero e distratto»: Calogero Grillo. Uno spaccato dellA Racalmuto del 1870
non proprio esaltante.
Ma vi era maretta in Municipio.
«...l’assessore sig. Matrona Paolino ha dichiarato alla Presidenza lo stsesso
non volere far più parte della Giunta Municipale, manifestando essere stato fin
oggi in carica, perché il dovere lo chiamava di sentire prima cerziorata la
gestione, onde potere al caso rispondere contro ogni insidia e scandaloso
mendacio. Il consigliere Gaspare Matrona presa indi la parola, come nel paese
vaghe e insidiose calunnie spinte da spirito di parte siano circolate ad
appuntarel’integrità del Sindaco e del Corpo Municipale. Per quanto calunniosi
ed insensati siano gli appunti, lo provano al Consiglio i presentati conti; la
reputazione delle individualità che hanno fin oggi composto la giunta
municipale e quando parlo di individualità, egli dice, io non scendo a
determinare quella del sig. Matrona Paolino, mentre lo stesso all’oggi dà
sicura del nome, unisce solo a scuola dei maldicenti, l’aversi trovato una sola
famiglia componente la giunta municipale, essere stato il solo estranei fra tre
fratelli cognati sindaco ed assessore. Signori, egli dice, non è mia arte, né
bisogno l’assegnare la nostra famiglia Matrona a promotore di ogni bene del
paese. L’invidia, la reazione, il regressismo, sono stati questi spettri
dell’avvilito stato di questo Comune, che bene spesso ci han gettato il guanto
della sfida; e noi l’abbiamo sempre accettato. Al regresso abbiamo risposto,
collo spingere per quanto in noi è stata la forza, il progresso; alla reazione
coll’arme alla mano del 6 settembre 1862 abbiamo risposto colle armi; alle
invidie e calunnie che circolansi nel paese contro l’onestà, risponderemo nella
possibilità di provare, colla traduzione innanzi ai tribunali dei colpevoli.
Solo mi è dolorosotanta mia opera essere difficile, perché i vili in questo
sono astuti e circospetti per scoprirsi; la loro voce [non attacca]; loro non
si mostrano di fronte all’onestà ed il loro rantolo d’infamia come cupo e
sepolcrale rombo priva anche i più ... attenti a poterne diffinitivamente
discercare il movente e segnarne il calunniatore.
«Il consigliere Cavallaro sig. Felice presa
la parola ha significato al sig. Matrona che nella difficile arena municipale
non si è mai risparmiato d’insidiosamente attentare l’onestà dei rappresentati:
e che chi si ha avuto la rappresentanza municipale in qualunque epoca, è stato sempre segno di
calunnia.
«Conto dell’entrata e dell’uscita del comune
di Racalmuto - per l’esercizio reso dal suo esattore e tesoriere il signor
Leopoldo Muratori - [popolazione abitanti n.° 12.500]: dai licenzi dei dazi
appaltati al sig. Agrò Alfano Baldassare L. 1.118; da Pietro Buscemi fu
Vincenzo appaltatore dei dazi sopra le tegole, mattoni, gesso, calce, tavole,
legname e ferro L. 1.238; da Petrotto Giuseppe fu Nicolò appaltatore del dazio
sopra la paglia L. 98.»
Ironia della storia: chi avrebbe mai detto
che il più circospetto e sagace figlio di Racalmuto, Leonardo Sciascia, avrebbe
fatte sue quelle sgangherate parole apologetiche di don Gasparino Matrona,
parole che ma celano uno stato di disagio per accuse infamanti contro il
congiunto don Paolino Matrona. Nel circolo dei civili, per chi si parteggiava?
Intanto le asettiche carte degli archivi
agrigentini ci sciorinano questi dati:
Prefettura di Girgenti - Racalmuto -
Consuntivo del 1870
Conto 1871 = Manutenzione Cimiteri: al sig.
Lupi cav. Carlo per piantagione cipressi, per cancello di ferro, tavolo
mortuario e croci impiantate L. 600.
Conto 1872: al sig. cav. Lupi Carlo,
appaltatore dell’illuminazione notturna; al sig. Picone Salvatore per trasporto
prostitute L. 10.
1873
19 marzo: fibrillazione in Sicilia per
l’onomastico di Garibaldi e di Mazzini. Il 26 marzo il delegato sig. De
Benedectis può assicurare il prefetto: non risulta che qui «il partito avanzato
avesse inteso promuovere qualche dimostrazione per il giorno 19 corrente.»
Calogero Savatteri sarà stato un mazziniano, ma se ne sta buono a curarsi i
suoi cospicui interessi. Ancora non poteva permettersi neppure una qualche
strampalata concione al Mutuo Soccorso, per il momento feudo incontrastato dei
Matrona, liberali sì ma antimazziniani.
2 giugno 1873: « Ieri celebravasi in questa
la Festa dello Statuto Nazionale. Il Municipio con tanto lodevole zelo,
impegnavasi che tal festa riuscisse con solennità; infatti appena fatto giorno
il suono della musica e taluni colpi di mortaretti annunciavano la fausta
ricorrenza. Tutte le botteghe lungo il corso, pavesate del tricolor vessillo.
Alle 11 il sottoscritto, insieme a tutte le locali Autorità, Consiglieri, e
ceto civile, dietro invito di questo signor Sindaco, sono convenuti nel Palazzo
di Città, ove riunitesi al Municipio, e tutta la scolareca, seguiti dalle
bandiere, e musica, sono andati al Duomo, ove il Clero ha cantato l’Inno
Ambrosiano, assistendovi anche il Parroco, e finita tal sacra Cerimonia, si è
nuovamente recato nel Palazzo di Città, ove fatti i soliti evviva, e felicitazioni,
si è sciolto il convegno. Nelle ore pomeridiane la musica ha continuato ad
allettare i Cittadini, fino alle ore 10 ch’ebbe fine la festa. Intanto il
suddetto giorno non deplorossi alcun reato, essendo l’ordine pubblico
tranquillo. L’Ufficiale di P.S. in missione Luigi Macaluso.» Che motivo avesse
l’arciprete Tirone di cantare il Te Deum in lode degli scomunicati sabaudi,
quelli della breccia di Porta Pia del 1870, è di ardua ricognizione ma di
pesante sospetto. Il ceto civile - quello del circolo unione - è ovviamente del
tutto ossequioso: magari la sera, qualche frecciatina verso i nuovi
opportunisti (assenti) non sarà stata risparmiata - allora come ora.
Il Messana (op. cit. pag. 495) pubblica un
interessante manifesto politico del Tulumello del 1873. «La consorteria - vi si
dice e si parla ovviamente di quella del Matrona - vi chiamerà all’urna colle
solite promesse, minacce e mostrandovi alle occorrenze anco la carabina!» La
congrega del barone Luigi Tulumello era composta da Ignazio Picone Alfano, da
Ignazio Alfano Vinci, da Felice Cavallaro Salvo e dal farmacista Lo Presti,
nonché da un maltrattato (dal delegato di S.P.) Giuseppe Romano Alessi che
definivasi presidente della società operaia. A parte quest’ultimo, si trattava
di galantuomini dissidenti che amavano definirsi “cittadini onesti,
intelligenti e liberali a tutta prova”. Cercava di far breccia tra i Messana
(per i fatti del 60), tra i Picone (per
le minacce e le offese personali patite), tra i Mantia (per gli spudorati
attentati alla loro proprietà ed alla loro vita); ai Borsellino (per le infamie
subite), ai Grillo (per gli orribili fatti del 60 e del 62), ai Picataggi (per
gli arresti arbitrari subiti); ai Lo Presti (per un asserito furto ai loro
danni); agli Alfano, ai Farrauto; ai Mantione (per imputazioni, oltraggi .. ed
il carcere a San Vito). I Tulumello comunque in quella tornata elettorale non
vinsero. Si consolida anzi la saga del mecenate don Gasparino Matrona. Per
poco, però. Il crollo del 1875 incombe.
1874
Gioacchino Savatteri viene eletto membro del
consiglio provinciale per il mandamento di Racalmuto con voti 143 per l’anno
1874
1875
«Prefettura di Girgenti - Duello fra don
Gaspare Matrona e Barone Tulumello. 3 settembre 1875 - Si vuol per certo un
duello fra Matrona don Gaspare e B.ne Tulumello da Racalmuto, ove forse
avverrà, essendo ieri partito da Girgenti per quella volta il sig. Picone d.
Nicolò, per fare forse da Padrino al Matrona. Si dice ancora, che ne avverrà un
altro tra Matrona Napoleone e certo Cavallaro. Ma il Matrona trovasi
attualmente in Girgenti in unione al fratello Paolino, il quale ieri ricevè un
telegramma che alla lettura fu visto turbarsi; dietro di che partì il sig.
Picone. »
«Telegramma decifrato del 4/9/1875 - Oggi
questo Segretario Comunale ritornato. Dicesi duello sospeso da riprendere in 4
giorni. Qui sinora calma. Se avvenisse duello se ne faranno altri. F.to
Macaluso Delegato.»
«Segretario Comunale Lauricella è uno dei
secondi. Duello per attacchi personali con opposizione municipale. Dicesi di
altri duelli. F.to Macaluso.»
«Finora conoscesi solamente barone Tulumello
con due secondi fatti venire da Naro sia partito per costà (Girgenti) alle sei.
Ignorasi terreno. F.to Macaluso.»
Il 4/9/1875 il prefetto convoca a Girgenti
il segretario comunale Lauricella.
Nella sessione del 1875 il cav. Giuseppe
matrona viene eletto membro del consiglio provinciale per il mandamento di
Racalmuto per l’anno 1875.
Nel n.° 6 dell’8 maggio 1875 del “Don
Bucefalo” vi è una “nostra corrispondenza” da Racalmuto. «2 maggio [...]
vogliamo tenere parola dello stato anormale del comune di Racalmuto. Sotto
crudele ed improba passione, giace questo deplorevole comune affidato al
reggime (sic) di un sindaco ambizioso ... Sin dalla di lui promozione al
potere, Racalmuto non ha altro segnalato che una amministrazione elevata al più
vero assolutismo, ad una colluvie di irregolarità, meri capricci, ed infrazioni
alle leggi rispetto a taluni atti della comune azienda [...]» Si parla di un
“favoloso mutuo”; di una strada che appena appaltata “si dirupa”; alle enormi
spese per il teatro e per le scuole femminili. «Briga per la costruzione di una
strada rotabile tra i comuni Racalmuto-Favara, opera grandemente vessatoria e
capricciosa che per fornire a questi magnati caporioni facile accesso alle
rispettive casine, si condannano e proprietà ed interessi pubblici e privati.»
Eugenio Napoleone Messana fornisce una
versione tutta sua alla vicenda del duello Matrona-Tulumello. [20] Vi innesta
una faccenda d’alcova che avrebbe visto coinvolto Luigi Lauricella. Costui,
segretario comunale, sarebbe stato gratificato dal Matrona con l’incarico ed un
lauto stipendio in cambio dei favori della moglie, secondo quel che avrebbe
sussurrato in un articolo di stampa il barone Tulumello. Soggiunge il Messana:
«Sta di fatto che la moglie del Segretario si è suicidata e don Gasparino si è
eclissato per molto tempo.» «Il segretario Lauricella lasciò Racalmuto
meditando nel cuore vendetta. Non passò molto tempo e vide ad Agrigento il
Matrona. Lo seguì a distanza pazientemente. Don Gasperino entrò nel negozio
Scibetta in Via Atenea. All’uscita fu raggiunto da un colpo di pistola. Il
segretario mirò al cuore ma sfiorando il gomito sinistro colpì il femore e si
dileguò nella folla. L’assenza da comune indusse la giunta, indignata per le
ingiuste accuse contro il suo sindaco, a protestare presso l’autorità tutoria,
indi a dimettersi. Nel 1876 fu nominato sindaco l’avv. Gioacchino Savatteri,
amico e dello stesso partito del Matrona.» Si sa: Eugenio Napoleone Messana è
un immaginifico. Inventata o meno tutta codesta bardatura, a noi non resta che
attendere incontri fortunati con carte d’archivio per una ricognizione critica
della (salace) vicenda.
28 giugno 1875 [21] «Racalmuto - Miniere
Pernici e Frappaolo - Quesiti - Dalle diverse indagini che segretamente e con
qualche studio da me operate risulta 1) che circa duemila operai attualmente
lavorano nel gruppo di miniere Pernice e Frappaolo di proprietà del Pr.pe di
Aragona. 2) La produzione approssimativa dell’anno 1874 di queste miniere
potrebbe ascendere a duecentomila quintali, ogni quintale composto di cento
rotoli ed in quest’anno sono suscettibili di aumento. 3) Una sorta di minerale
grezzo e poi messa in fusione produce in media
.. 20 (venti) balate ed ogni due balate, che si chiama carico, portano
il peso di quintali uno, e rotoli cinquanta circa. 4) Da poco tempo e nei vari
discorsi sulle miniere della Pernice si è usato il titolo di Nuova California
per le immense speculazioni di escavamento che ogni giorno si operano per
trovare il minerale. Però questa voce non si è ancora generalizzata, per il
fatto che la montagna Pernice è gravida di suoi rappresentanti del minerale
sulfureo ed un buon agente delle tasse potrebbe arrecare dei vantaggi alla Finanza
dello Stato. Tutto questo ho potuto raccogliere con la massima avvedutezza per
non destare degli allarmi ai proprietari delle miniere che per lo più sono
tutti civili e di alta levatura, amici e conoscenti dell’attuale agente delle
tasse; e ciò in esecuzione degli ordini della S.V.I. contenuti nella riservata
nota qui riguardata. Il delegato di S.P. - Macaluso.» Macaluso fu dunque sbirro
accorto: non amò infastidire i “civili” - uomini di “alta levatura, amici e
conoscenti dell’attuale agente delle tasse”. I civili parcheggiavano nei loro
due circoli: gli interessi solfiferi venivano tenuti nascosti, non tanto per
paura dell’agente delle tasse - diversamente da quel che avverrà nel dopo
guerra con i contributi unificati su cui sarcasticamente si sofferma Sciascia -
ma per timore di quello sbirro, che pur dovevano ospitare nelle loro sale
sociali.
1877
4 giugno: «Duca di Cesarò - Suo passaggio a
Racalmuto colla Consorte. L’on. Duca e consorte si intrattennero alquanto nel
Palazzo municipale ... visitarono il teatro, la famiglia dei signori Matrona e
quella del dr. Scibetta Troisi Giovanni.»
Conto del 1877 presentato dal Tesoriere
Matrona Carlo.
1878
Conto del 1878 presentato dal tesoriere
Nalbone Luigi.
*
* *
Il sindaco “garibaldino” don Gaetano
Savatteri viene in malo modo invitato a dimettersi: l’ondata epurativa del ’62
lo coglie e lo travolge in pieno. Ma più che altro, il Savatteri resta
annientato dalla morte della moglie. Una lapide a Santa Maria recitava:
Qui Dorme
nella pace del Signore
Donna Maria Grillo in Savatteri fù Francesco
Paolo nata a Racalmuto e quivi morì di anni 52 l’alba del 20 Marzo 1862, col
maledetto aneurisma.
Pietosa, caritatevole, devota assai
prudente.
Obbediente figlia, consorte fedele, amorosa
madre.
Della famiglia l’angelo, la pace l’allegria
Chè sua scomparsa eternamente cancellò:
allo sposo ai figli.
Deh! Adorabile madre accogliete questo
duraturo monumento che vostro figlio Calogero vi eregge di lagrime bagnato.
In segno di sentita devozione
Beneditelo.
Si dice che il Savatteri, preso da sconforto
esistenziale, finì in uno stato di misticismo misantropo: si ritirò nel
convento di Santa Maria per stare vico alla consorte ivi sepolta, e lì visse
come fratello laico, alla stregua di un monaco.
Tra i diversi figli andavano emergendo don
Calogero Savatteri, il notaio, e don Gioacchino il futuro sindaco.
Don Calogero Savatteri ebbe sempre manie
mazziniane: quando, nel 1873 - verso maggio - il neo Mutuo Soccorso si
rivoltava contro i fondatori, i Matrona, per subire l’ascendenza dei Tulumello,
il Savatteri - ormai in rotta con il fratello e con la consorteria del fratello
che faceva capo agli stessi Matrona - si butta a capofitto nella vita di quel
circolo e periodicamente vi legge sue dissertazioni che oggi destano
semplicemente un moto d’ironico compatimento. Ai malcapitati zolfatai toccava
sorbirsi tutto quell’eloquio pretenzioso ed incomprensibile. Quando il discorso
scendeva a terra, era davvero un’orgia d’ovvietà: «Non siate timidi e pigri -
dovevano sentirsi dire gli “egregi operai” [22] - a lavarvi spesso tutto il
coprpo. L’acqua è gran preservativo e tante volte impedisce che malattie di
pelle o diversamente invadino il corpo, specialmente il corpo dell’operaio che
deve sostenere il lavoro, bisogna tenerlo netto e pulito più di ogni altro.»
Già, perché «oggi è invece bello il vedere camminare l’Uomo e la donna ritti,
colla testa alta e con sobrietà.» «A tenere il corpo robusto, sano ed anche
agili e gagliarde le membra, influisce molto la nettezza e pulitezza del corpo,
lavandolo di tanto in tanto.» Ma a pag. 57 aveva raggiunte vette speculative
affermando: «l’istinto della propria conservazione fa sentire all’uomo il
bisogno, l’obbligo ed il dovere di cambiare spesso le mutande.» Ed il Savatteri
era davvero originale ribadendo l’opinione di Melchiorre Gioia sull’igiene,
giacché «tenendo nette e pulite le mutande, oltre ad arrecare sollevamento
all’anima dell’uomo, si concorre a dare vigore, forza e salute al corpo e
s’impedisce la spontanea generazione d’insetti nocivi alla salute, togliendo il
puzzo ed il fetore spiacevoli che tramandano gli abiti e le mutande quando sono
sporchi.»
C’è un punto del suo che ci aveva fatto
pensare ad una fede socialista del giovane virgulto della grande famiglia dei
Savatteri: ed è quando si sofferma sull’eguaglianza. Ma a pag. 66, alla fine,
fuga ogni malinteso: «L’eguaglianza politica e civile non dovete credere,
egregi Operai, che consista nella ripartizione eguale dei terreni, delle case e
del denaro, per come predicano certi utopisti dottrinarii sovvertitori
dell’ordine sociale, e nemici del progresso, che si vogliono dare il tuono
d’innovatori; no affatto: sono sicuro che simili fandonie e falsità non
allignano nelle vostre menti.» Gratta gratta, l’uguaglianza era un problema di
... vestiario. «Oggi nessuna legge vi obbliga - si legge a pag. 58 - a
conservare ancora che il civile deve vestire diverso dal mastro, il mastro
differente dallo zolfataio, e questo diverso dal contadino. Continuando in tal
guisa, malgrado i nostri sforzi ed i
vostri lavori di emancipazione, e di rialzamento, mantenete sempre vivo il
germe della divisione delle classe e la disuguaglianza tra gli uomini. ...
Persuadetevi, egregi operai, che la foggia del vestire influisce assai ad
essere l’uomo avvicinato e rispettato. ... vi esorto di abbandonare il taglio
degli abiti a costume che l’odierna
civiltà a [sic] sfatato e che ancora si conserva nei nostri comuni...
Incominciate per Dio! Forse v’incresce o avete paura al pensare che i signoroni
rideranno alle vostre spalle? Lasciateli ridere e verrà tempo che vi
seguiranno. » Mutande e scazzetta erano questi i corni del dilemma savatteriano
nelle affabulazioni al Mutuo Soccorso.
Quest’anno (1998) i padroni di quel
sodalizio hanno ritenuto di affiggere una lapide funerea nella sala d’aspetto.
Disponiamo di questi riferimenti giornalistici:
Trafiletto del Giornale di Sicilia del gennaio 1998. Firmato Sapi cioè
Salvatore Petrotto - l’attuale sindaco di Racalmuto.
Racalmuto, “Mutuo Soccorso” festeggia i suoi
primi 25 (sic) anni.
RACALMUTO. (sapi) Il sei gennaio nei locali
del circolo “Mutuo soccorso” di Racalmuto è stata inaugurata una lapide in
ricordo dei 125 anni dalla nascita della società. Dopo il saluto del vice
sindaco Pippo Di Falco e del presidente
Stefano Matteliano, è intervenuto Gigi Restivo, che ha letto alcuni passi dello
statuto ed ha illustrato la storia del circolo fondato da Giuseppe Romano,
Vincenzo Tinebra, Natale Viola, Federico Campanella, Calogero Savatteri e Lorenzo
Viviani nel 1873.
Niente di più falso. Avevamo cercato di
mettere sull’avviso con questo fax:
Racalmuto 5 gennaio 1998
Alla Presidenza del Mutuo soccorso di
Racalmuto
Nella nostra qualità, rispettivamente, di ex
presidente del sodalizio e socio esperto in microstoria del circolo, diffidiamo
codesta Presidenza dall’affiggere la fantasiosa lapide commemorativa nelle sale
del Mutuo Soccorso di Racalmuto, in quanto lesiva della verità storica già
sunteggiata nella conferenza del dott. Calogero Taverna del 5 luglio 1993 (pag.
1 e segg.) agli atti della società, nonché dispregiativa dei nomi, fatti ed
eventi di cui alla copiosa documentazione dell’Archivio di Stato di Agrigento
che l’allora presidente sig. Carmelo Gueli ebbe cura di acquisire e debitamente
conservare.
Ci si riferisce in particolare
all’inventario n.° 18, fascicolo n.° 42 della prefettura di Girgenti del 16
giugno 1873 ed alla nota n.° 419 Gabinetto del 13 giugno 1876, ove emergono tra
l’altro le figure di
1°)
Scibetta Salvatore;
2°) Rossello Giovanni;
3°) Marchese Giuseppe Primo;
4°) Lumia Gaetano;
5°) Grillo Giuseppe;
6°) Farrauto Angelo;
7°) Giardina Pietro;
8°)
Bellavia Elia;
9°) Licata Nicolò;
10°) Scimé Salvatore;
11°) Ferrauto Vincenzo;
12°) Giancani Luigi;
13°) Palumbo Angelo;
14°) Palumbo Antonino.
Con invito alla debita informazione ai soci.
..................................
( Carmelo Gueli, ex presidente)
...................................
(Calogero Taverna, socio del Mutuo Soccorso)
Ovviamente abbiamo ricevuto una beffarda
disattenzione. In cambio, anche di un sussidio straordinario, la presidenza del
Mutuo Soccorso poteva vantare un’encomiastica celebrazione su Malgrado Tutto.
Ma la storia vera della fondazione del Mutuo Soccorso resta incagliata
nell’astioso rapporto di S.P. (Pubblica Sicurezza), che abbiamo prima riportato
e così rubricato: [23]
DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN
RACALMUTO - N. 157 - Riscontro alla Nota
N. 419 Gabinetto, del 13 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al reclamo della
Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto. - Ill.mo Signore Signor
Prefetto della Provincia di Girgenti. Racalmuto addì 14 giugno 1876.
La faccenda partiva da lontano, da un
esposto del Mutuo Soccorso che metteva in ambasce la prefettura:
R. PREFETTURA DI GIRGENTI
n. 419 sub 1\6\75
Esposto dei soci del Mutuo Soccorso di
Racalmuto, del 31 maggio 1875
Al Signor Prefetto della Provincia di
Girgenti
Signore
I sottoscritti componenti il Consiglio
direttivo della Società del Mutuo Soccorso degli Operai di Racalmuto,
rassegnano alla S.V. Ill.ma quanto siegue.
La detta Società tende ad affratellare la
classe lavoratrice pel miglioramento
morale e materiale della classe stessa; fondata sin dal Gennaro 1873 con
l'ausilio dei Signori fratelli Gaspare e Napoleone Matrona, il primo
attualmente Sindaco di questa Comune, ed il secondo fu quegli che il giorno
dell'impianto della società pubblicò gli articolati dello statuto per
approvarsi, e diresse il tutto.
La Società, dopo un poco elasso di tempo,
eleggeva a socii onorari i predetti Signori Matrona, i quali ne significarono
con lettera la loro accettazione. Le relazioni tra il Signor Sindaco e la
Società divennero or mai più strette, tanto vero, che in tutte le feste
Nazionali e religiose, ove assisteva il Municipio, la Società era sempre
invitata per assistere parimenti a quelle solennità.
Lo mentre la Società era ligia ai voleri del
Sindaco e volentieri obbediva a tutti gli inviti dello stesso; la Società era
progressista e tendente all'ordine; onesti e liberali erano tutti coloro che la
componevano; se ne encomiava la condotta; si plaudivano tutte le sue
operazioni, tutto era armonia e serenità.. Quando, giorni sono, l'inaspettato
scoppio di un fulmine in ciel sereno, venne a spezzare le relazioni tra il
Sindaco e la Società, a disturbare l'armonia che li univa e ad abbuiare lo
splendore che rischiarava il tanto bene che si operava dalla stessa. La si fu
l'arrivo di un numero del Giornale intitolato Don Bucefalo, che conteneva un articolo
a carico del ridetto Sindaco, che la Società dietro di aver udito la lettura in
pubblica assemblea ( per come suole usarsi di tutti i giornali diretti alla
Società) l'assemblea medesima non sen incaricò e passò a trattare delle
faccende proprie.
Il Sindaco non si acquetò a codesto
diportamento indifferente della Società, volea tirare bracia alla sua pasta con
le mani attrici, e fece sentire a certi socii a lui dipendenti, che
proponessero ed invogliassero la Società a rispondere in contrario a quanto
diceva il giornale. I Socii che si ebbero questo incarico fecero noto
all'assemblea, che era piacere del Sindaco, che la Società si incaricasse
dell'articolo in di lui carico e che si accingesse a smentirlo; al che la
Società peritosa sul da fare, adottò la norma che la stessa siegue tutte le
volte che un socio viene accusato nella condotta; e cioè d'invitare il Socio
accusato per legitimarsi in faccia della Società infra un termine, sotto pena
di venire cancellato, e così fece. Deliberò che il Sig.r Gaspare Matrona come
socio venisse a legitimarsi infra sessanta giorni del carico che l'articolo gli
addebita.= Cotesto deliberato fece montare nelle furie il detto Signor Matrona,
e concepì in cuor suo il disegno di vendicarsi a qualunque costo e di fare sciogliere
la Società. Ed in effetti non indugiò tanto a far vedere i preludii; la sera
del 28 spirante Maggio, quando il consiglio era riunito, il Signor Napoleone
Matrona si portò nell'ufficio della Società, ed appena giunto si fece lecito
bistrattare con ingiuriose parole pronunziate con indicibile acrimonia contra
gli assembrati, tanto che quei buoni operai riuniti rimasero di sasso; chiese
conto dell'operato alla Società in riguardo all'articolo di cui è parola, e
letto una proposta fatta da un socio in proposito, che invitava l'assemblea a
prendere in considerazione quell'articolo a carico del Socio Gaspare Matrona,
disse altre obbrobriose parole per la società, ed invitando il consiglio a
cancellarlo di socio unitamente al di lui fratello Sig.r Gaspare, si appartò.=
Poco dopo di questa scena, si videro presentare il Delegato di sicurezza
pubblica accompagnato da due reali carabinieri, chiedendo la consegna del pezzo
di carta ove era scritta la predetta proposta. Gli assembrati gliela esibirono
immantinenti, ed il delegato se la portò con se.
Le diatribe e garralità che si sparsero,
l'indomani, contro la Società, sono indicibili Onorevole Sig.r Prefetto. Essa
viene dipinta come una associazione d'internazionalisti, come una banda di
briganti; composta da gente di galera e simili, tanto che han messo in allarme
le famiglie dei socii; ognuno crede arrivata l'ora di venire arrestato; di
essere mandato in esilio o a domicilio coatto; insomma si crede essere in quei
tempi del medio evo, che fece esclamare dal divino Alighieri.
O fortunati! E ciascuna era certa
della sua sepoltura.
Ecco Signor Prefetto, perché i supplicanti
si rivolgono alla di Lei giustizia, onde non dare credito a tutto quanto Le
potranno esporre avverso detta Società; mentre il fatto genuino è quanto si
espone, e potrà informarsi da onesti cittadini del Paese.
Racalmuto lì 31 maggio 1875.
Falletta Calogero - Romano Calogero
Salvatore Scimè - Lumia Gaetano
Agrò Rosario - Rossello Giovanni
Giuseppe Romano.
E’ facile vedervi la prosa tra l’aulico e
l’incespicare del giovane barone Tulumello. Il prefetto aveva il suo bel da
fare (o da dire) per riportare entro limiti di normalità il contesto
accusatorio. Da Roma si esigevano spiegazioni ed era il ministro dell’interno a
reclamare informazioni e chiarimenti. C’era di mezzo nientemeno Garibaldi.
PREFETTURA DI GIRGENTI
REGNO D'ITALIA
MINISTERO dell'INTERNO
SEGRETARIATO GENERALE
DIV. 2^ SEZ. Gabinetto
N. 3296
oggetto: Circolare della Società di mutuo
soccorso di Racalmuto.
Signor Prefetto di Girgenti
/ n. 418 gab. 10/7/75 al Sig. Delegato S.P.
di Racalmuto/
Roma, addi 7 Luglio 1875
Dalla Società di mutuo soccorso di Racalmuto
è stata diramata la circolare di cui trasmetto copia alla S.a V.a per le
necessarie disposizioni di vigilanza, e per quei provvedimenti che riterrete
opportuno di adottare.
p IL MINISTRO.
(firma illeggibile)
/nella stessa lettera del Ministro, viene
aggiunto di pugno del prefetto per il delegato di S.P. di Racalmuto questo
codicillo:
"Vorrà poi manifestarmi il motivo per
cui ha omesso di informarmi della diramazione di tale circolare, e della
trasmissione di una copia della medesima"./
In allegato la copia che così recita:
Società Mutuo soccorso degli Operai di
Racalmuto - provincia di Girgenti.
CIRCOLARE
Soci Onorari
Maurizio Quadrio
SAFFI Aurelio
Campanella Federico
Presidente Onorario
GARIBALDI
----------------
RECALMUTO
PREFETTURA DI GIRGENTI - N. 419 LUGLIO -
Girgenti 13\5\76 - riservata minuta Oggetto: Reclamo della Società degli Operai
di Racalmuto.
Girgenti 13 maggio 1876
Signor Delegato di P.S.
Racalmuto.
La Presidenza della Società di mutuo
soccorso degli Operai di Racalmuto ha diretto a S.E. il Ministro dello Interno
l'unito memoriale contenente addebiti contro codesto Municipio e specialmente
contro il Sindaco il quale, si dice, osteggi ed attraversi in tutti i modi
quella Società.
Io trasmetto il reclamo a V. S. affinché
assuma le più accurate informazioni sulla verità dei fatti esposti e me ne
riferisca categoricamente e imparzialmente il risultato insieme alla
restituzione del comunicato dovendo farlo obietto di un rapporto al Ministro.
IL PREFETTO
(firma illeggibile)
R. PREFETTURA DI GIRGENTI - Div. Gabinetto -
n. 419 - Urgente - Oggetto: Sollecitazioni
per affari in ritardo - Al Signor Delegato P.S. di RACALMUTO
Girgenti 9 giugno 1876
Prego la S.V. trasmettere con tutta
sollecitudine al mio foglio del 13 n. ° 1° maggio numero pari alla presente
insieme al quale trasmettere un ricorso del Presidente di codesta Società di
mutuo soccorso rivolto al Ministero Interni. IL PREFETTO.
DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN
RACALMUTO - N. 157 - Riscontro alla Nota
N. 419 Gabinetto, del 9 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al ricorso della Società
di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto.
Ill.mo Signore Signor Prefetto della
Provincia di Girgenti.
Racalmuto addì 11 giugno 1876.
In riscontro alla riverita nota a margine
citata, colla quale mi si sollecitano le informazioni sul ricorso in oggetto
indicato, mi faccio un dovere significare alla S.V. Ill.ma, che non più tardi
di giovedì prossimo, 15 corrente mese, Le farò pervenire le suddette
informazioni col ritorno del ricorso di cui si tratta, non potendolo far prima
mancandomi ancora qualche notizia. - IL DELEGATO (A. COPPETELLI).
A S. E. il Ministro dell'interno Roma
OGGETTO: Ricorso della Societa' Operaja di
Racalmuto contro quel Municipio.
Anche a questa Prefettura la Società Operaja
di Racalmuto fece pervenire in addietro vari ricorsi contro quel Municipio
lagnandosi di essere da esso osteggiata.
Però non si è potuto prendere dei
provvedimenti perché le querimonie furono sempre generiche non imputando ai
reggitori di quel comune fatti pei quali potesse l'Autorità legittimamente intervenire.
E' una verità che il Sindaco Cav. Gaspare
Matrona, la sua famiglia influentissima e i suoi amici e partitanti vedano di
cattivo occhio quella Società, mentre nel 1873 contribuirono invece a darle
vita e sostegno; ma la ragione non istà minimamente nel proposito di osteggiare
le idee liberali né precludere la via alle libere associazioni, ma sibbene
trova la sua spiegazione naturale nel fatto che la Società stessa ha disertato
dal partito dei Matrona per militare sotto le bandiere del loro antagonista
Barone Luigi Tulumello il quale se ne vale come di strumento per creare
imbarazzo all'attuale Amministrazione alla quale vorrebbe subentrare.
Messi così in chiaro i rapporti esistenti
fra la Società ed il Comune si ha la spiegazione del movente del generico
ricorso che si restituisce.
IL PREFETTO.
*
* *
Se si è prestato anche un minimo di
attenzione alle carte che abbiamo riportato, non si può restare colpiti dalla
figura di questo gesuita racalmutese - zio del celebra papa nero - dal prestigioso
nome (è un Nalbone), che viene a trescare politicamente contro i Matrona.
Sulla figura di codesto gesuita si è
soffermato il compaesano padre Angelo Sferrazza Papa, S.J. trattandolo -
ovviamente - con i guanti gialli. [24]
Per converso, il Messana - che con i Nalbone ha anche motivi di astio
familiare - infieririsce, impietosamente, con sarcasmo. Noi abbiamo legami di
stima e di deferenza verso il padre Angelo Sferrazza Papa da un lato, e
consuetudini di amicizia e di passioni storiche per la nostra Racalmuto con il
discendente prof. Giuseppe Nalbone, dall’altro per poterci avventurare in una
rigorosa ricostruzione di un siffatto personaggio che ad dir poco la tempra del
martire non ce l’ha: notare quel sussiegoso rimettersi alla volontà del prefetto
per poi sobillare i clericali locali in una improba compezione elettorale
contro i Matrona.
Vi è poi un fatto ancora più clamoroso. I
clericali locali, sobillati dal gesuita Nalbone e dai non meno nostalgici preti
racalmutesi alla Giudice, furro molto agguerriti contro il clan Matrona. Nel
pieno della lotta ricorsero a tutti i mezzi anche a quelle laide delle lettere
anonime. Una di queste fu certamente concepita e redatta dal gesuita Nalbone.
Riportiamola; è uno spaccato della Racalmuto di allora: [25]
«Signori Presidenti e componenti la
Commissione d'inchiesta - Canicattì.
«Uno solo è il tema del giorno, il sindaco
di Racalmuto. E' una anomalia quello, un anacronismo , un controsenso che per
adempiere ad un'opera eminentemente patriottica, bisogna ad ogni costo
scalzare. Avanti adunque, dietro vi sta l'abisso.
«Avvezzo l'integerrimo ad un arbitrio il più
sconfinato ed a vederci tacere e soffrire non comprendeva che quando si è
all'orlo del precipizio ed una calamità ci minaccia; quando le prepotenze, gli
arbitrii, le vendette ed i balzelli han raggiunto il favoloso e l'ingiusto;
quando il denaro del popolo trovasi
impudicamente scialacquato e le centinaia di migliaia spariscono come lampi;
quando un comune floridissimo batte alle porte della bancarotta; quando la
libertà è un mito e le votazioni avvengono nel modo, simile alla fiera proposta
dell'assassino, il quale appuntando il coltello alla gola ti dice o la borsa o
la vita, l'uomo libero, indipendente ed onesto non deve restarsene indifferente,
né temere le basse calunnie. I nemici dell'ordine gridano e s'impongono, quando
gli onesti tacciono e tremano; quindi è che generosi cittadini sorsero per
protestare ed opporsi a che le iniquità finiscano, ed il denaro del pubblico
cessi una volta di essere il patrimonio di una .. casta.
«Alcuni lodarono l'attuale stendardo
tenutosi da undici anni dall'integerrimo Sindaco Matrona triste avanzo della
più efferata tirannide, ma quello è lo stendardo che si è imposto con la
minaccia, colle violenze e colle vendette. E' lo stendardo che ha partorito il
medio Evo in permanenza, prepotenze, vessazioni ed angherie di ogni sorta con
una franchezza tale da mostrare che giustizia non esiste, e si vive senza
governo. E' lo stendardo che pospone la pubblica istruzione allo spirito di
parte, si rimossero abilissimi professori Farrauto, Capitano, Chiodo, Zambuto,
perchè ebbero il coraggio di seguire
l'impulso della propria coscienza, e
negare il voto ai suoi affiliati; fu l'ill.mo che al professore provetto
e direttore di quelle scuole Sig. Cappadoro in un giorno di Venerdì Santo ed
innanzi ad un pubblico ebbe l'ardire d'insultarlo ed opprimerlo dicendo
che non lo schiaffeggiava per non
lordarsi le mani. Imbecille di professore! dovevi conoscere che il funzionario,
il quale si fa superiore alla legge e la calpesta è un ingiusto aggressore. E'
lo stendardo sotto il quale i delitti si sono aumentati e di giorno in giorno
aumentano; pascoli abusivi, furti campestri, grassazioni dentro e fuori
dell'abitato, omicidi anche nella pubblica piazza. Signori dello stendardo
siate sinceri e veridici, per come ogni cittadino deve esserlo, e diteci: a chi
il popolo ne addebita la colpa? quali cause ne adduce? quali rimedii propone?
E' lo stendardo che di precipizio in precipizio ha rovinato la ricchezza
pubblica e la privata ancora. E' lo
stendardo che ha oberato di pesi civici un comune di speciale floridezza, sino
a condurlo alla disperazione, dando tasse esorbitantemente aumentate che di
anno in anno si aumentano e sempre insufficienti. E' lo stendardo che ha
imposto un'imposizione grave, insostenibile, estrema.
«Ma vorrà porsi un argine a tanto torrente?
Non lo sperammo quando 22 civili notabili tutti presentatisi in massa a
reclamare, nulla ottennero sin'ora. Quando una dimostrazione seria,
preconcetta, imponente, feroce di diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e
guidati dalla guardia campestre Vinci e fratello, servitore del Sindaco ed ai
quali si fan passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i
piedi e provocando ad una guerra civile, si vela sotto l'aspetto d'ubriachezza.
«Quando, mentre i Racalmutesi lavorano
pesantemente, come una mandria d'Iloti, o pagano una enorme tassa di sangue per
la strada da giorni aperta Racalmuto-Montedoro, un'altra se ne intende aprire,
Racalmuto-Favara, capricciosa, vessatoria ed ingiusta, e tuttoché legalmente
dichiarata non necessaria, né di pubblica utilità, come dall'Ufficio
prefettizio 30 aprile 1870, si ritorna su di essa e si approva, favorendo
l'interesse dell'Ill.mo alla di cui casa di campagna trovasi esclusivamente
destinata. Quando, tuttoché si è giustificato che il Consiglio Comunale in
Racalmuto non si radunava che sempre in seconda convocazione, ed i tre fratelli
Matrona dispongono di vistoso patrimonio di quel Comune, pure non si è
riparato. Quando nella relazione del valente
professor Ragusa, il quale palesa che in Racalmuto non osservò che scuro
, non si vuol vedere una dimostrazione di popolo tutto ufficialmente invitato
che non prese parte in odio al Sindaco. Quando .... basta, l'animo si commuove,
e minaccia di trasmodare la lingua: infreniamola per ora a prudenza.
«Or allora che questi, quando ci parlano
tutti nell'anima, si ha mille ragioni di credere che quel Sindaco sarà
confermato. Ebbene Sigg.ri della Commissione in questo caso altro non resterà
all' Ill.mo che sulle orme dell'amabil suo fratel cugino Giuseppe Geraci
Matrona Sindaco di Castrofilippo, il quale si suicidò in prigione, chiamarci
uno per uno in segreteria e trucidarci.
«Persuadetevi, Signori, finché l'ammonizione
ed il domicilio coatto non saranno a lui applicati, Racalmuto avvilito e
depauperato non avrà pace giammai.»
Chi fosse quel Francesco Nalbone non è dato
sapere. Non si può escludere un errore di trascrizione. Di certo non era un
parente stretto de gesuita, stando almeno alle accurate ricerche genealogiche
del prof. Giuseppe Nalbone. Il gesuita era nato a Racalmuto nel 1818 da Angelo
Benedetto Giovanni Nalbone e da Stefania Salvo: aveva quattro sorelle ed un
fratello, Luigi (1812-1883), sposato con Raffaella Mattina, da cui il filone
dei notabili in atto rappresentati in modo egregio dal medico Giuseppe.
Noi restiamo convinti che quella tremenda
missiva sia stata concepita dal gesuita ed il fatto che si sia nascosto dietro le
brume della firma ambigua non depone a favore del primo dei due gesuiti di casa
Nalbone. Quella lettera ci torna comunque a fagiolo perché ci dà una
testimonianza preziosissima sugli sviluppi del circolo unione. Siamo nel 1875;
infuria lo scontro tra il clan del giovane barone Luigi Tulumello e quello,
saldissimo, dei Matrona. I Matrona sono davvero arroganti, sperperatori del
pubblico denaro delle casse comunali per faraoniche opere pubbliche, vessatori
e tassaioli, mafiosi e massonicamente
corazzati. Si beffano di tutti gli avversari: professori e preti,
gesuiti e notabili avversari. Sia chiaro: il Nalbone anche allora era
espressione di un casato racalmutese potente. Quello che certi denigratori
dell’attuali circolo unione vanno dicendo è falso. Con il sacerdote Benedetto
Nalbone (1709-1793) un ramo di quella famiglia risalente agli albori anagrafici
della nostra Racalmuto del 1554 aveva fatto un salto sociale cospicuo,
inarrestabile. Il prete (figlio di Giuseppe - 1671-1736 - e di Anna Maria
Vassallo e nipote di tal Benedetto) aveva raggiunto una cospicua posizione
economica, consentendo al fratello Giovanni Vito (11710-1755) di sposare una
Baeri, Vincenza. Il nipote Francesco Paolo (1758-1833) diviene notaio e sposa
la potentissima Gesuela Busuito. Alle fortune di famiglia si associano ora
quelle del ricco prete don Francesco Busuito
[26], ultimo officiale del Santo Officio di Racalmuto. Siamo al
pronipote, anche lui notaio, don Angelo Benedetto Giovanni che muore giovane ed
è solo per questo che il ramo dei Nalbone flette un po’ nella gerarchia dei
valori nobiliari racalmutesi. Ma il figlio Luigi è già in ripresa;
nient’affatto codino, se ne impipa delle scomuniche e vince l’asta per
l’acquisto di “2 seminativi” in contrada Sacramento espoliati alla chiesa e
cioè alla compagnia Renda di Grotte. [27] t. Vanta il fratello gesuita che
abbiamo detto. Sarà comunque il figlio Giuseppe - fratello del papa nero il
gesuita Francesco di Paola Nalbone - ad entrare prepotentemente nell’alta
burocrazia del comune e conseguire cospicue possidenze immobiliari. Il figlio
Luigi (1890-1950) può già considerarsi un facoltosissimo erede che si afferma a
Palermo.
La famiglia Nalbone contrasta, dunque, i
Matrona ed è affiancata con il barone Luigi Tulumello. Questi ha una partita
aperta con i Matrona che s’accende di acrimonia ogni giorno di più. Un contorno
di “civili” il Tulumello ce l’ha: il barone stringe attorno a sé i fedelissimi
di rango; devono lasciare il circolo di conversazione che pur frequentavano
dalla giovane età e tutti insieme devono fondare e frequentare un nuovo
circolo, un “nuovo casino” come dice il gesuita.
I Matrona evidentemente dominavano il
tradizionale circolo dei galantuomini: considerarono la secessione un grave
sgarbo personale e se lo legarono a dito. Sappiamo dal gesuita Nalbone che i
padroni di Racalmuto - che se mafiosi se furono, contigui alla mafia lo furono
di certo - mandano «diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla
guardia campestre Vinci e fratello, servitori del Sindaco» e costoro «si fan
passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e
provocando ad una guerra civile». I galantuomini dissidenti restano sgomenti,
in 22 vanno dal sindaco Matrona, invocano giustizia. Raccomandano l’anima al
diavolo, si direbbe. Il sindaco don Gasparino finge indignazione, fa fare
accertamenti, ma alla fine conclude che si trattava di volgari ma innocui
ubriaconi: una bazzecola senza importanza, tutti innocenti, una chiassata di
ubriachi da non prendere neppure in considerazione. L’arroganza del potere nei
Matrona in generale e in don Gasparino in particolar modo. Avranno gioito i
soci del vecchio circolo unione, rimasti fedeli a don Gasparino.
*
* *
Ma
in fin dei conti la strusciata dei piedi dinanzi a nuovo casino dei
galantuomini dissidenti è stata poca cosa: ben più gravi furono le conseguenze
di quella missiva del gesuita. Proprio nel 1875 vi fu una inchiesta
parlamentare sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia che è rimasta
celebre negli annali del nuovo Stato italiano. Da Racalmuto giungono echi
allarmanti: l’ordine pubblico è dubbio; le elezioni sono sospette; il sindaco è
circondato da bagarioti in odore di mafia, etc. Il gesuita Nalbone infiamma gli
animino dei codini e questi sono diventati tanti; si annidano persino in casa
Matrona con un prete don Calogero - un favorito del vescovo, un beneficiario
delle terre del Crocifisso ... per una simoniaca concessione - che se ne
infischia del liberalismo dei fratelli minori e milita tra i borbonici. Un guazzabuglio
che appare a Roma inestricabile. Una sezione della Giunta viene allora inviata
sul luogo, ad indagare. Abbiamo il resoconto che dovrebbe essere stenografico,
ma che sa di postuma e compiacente rielaborazione. Don Gasparino ed i suoi
hanno modo di fare una gran bella figura: gli avversari ridotti a voce
meschinella e patetica, in pratica floscia ed insignificante.
Di quella prolissa inchiesta sono stati
pubblicati gli atti; a dire il vero una sintesi poca esauriente. Sciascia la
lesse: lì c’erano elogi sperticati di don Gasparino Matrona e dei suoi
fratelli; traspare una sospetta intesa massonica; restano oscurati gli intrecci
negativi che coinvolgono la potente satrapia racalmutese. Sciascia non lesse la
lettera che abbiamo riportato e finisce con l’essere fazioso quando, nel 1982,
si prese la briga di prefazionare il libro del Tinebra. Lì [cfr. pag. 11] ebbe
a dire: «A loro, ai Matrona, si devono scuole, uffici comunali, strade
selciate, fognature, macello, fontanelle rionali, teatro. [...] E non solo i
Matrona si occuparono di sanare e abbellire urbanisticamente il paese, di
dargli splendido teatro e di farlo attivamente funzionare, ma anche della
sicurezza sociale. Dall’inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della
Sicilia, del 1875-76, citiamo i passi che, nella deposizione del prefetto di
Girgenti Rossi, riguardano Racalmuto ...
e della deposizione del colonnello comandante la zona militare di
Girgenti ..» Il prefetto, invero, si guarda bene dall’esaltare i Matrona;
questi invece vengono osannati da quel colonnello, che non ha davvero il senso
della misura. «Ci sono esempi - dichiara - che dove hanno voluto estirpare il
malandrinaggio ci sono riusciti, e ne abbiamo uno bello, lodevole, nel
circondario di Girgenti. A Racalmuto ci sono cinque fratelli di cognome
Matrona, possidenti di una certa istruzione. Racalmuto era un paese tristissimo
dove tutti i giorni succedevano reati di sangue, furti e grassazioni. Questi
cinque fratelli si sono messi d'ac’ordo e hanno detto - non vogliamo più questi
delitti -; montavano a cavallo armati sino ai denti ed in pochissimo tempo
hanno reso quel paese il modello non solo della Sicilia ma del continente.
Sulla strada per andare a Canicattì o a Caltanissetta troveranno un bel palazzo
dove ci sono scuole, locale per i carabinieri, telegrafo, teatro; insomma hanno
fatto di quel paese qualcosa di buono, e sono cinque fratelli che lo hanno
voluto ...» Certo Leonardo Sciascia - che delle cose di mafia se ne intendeva,
avendo tra l’altro scritto Il Giorno della civetta - avrebbe dovuto diffidare delle parole di
quel colonnello che non trova nulla di male nel fatto di privati, armati fino
ai denti, che se ne vanno a cavallo a sterminare malviventi e malandrini, come
vigilantes all’americana. Le carte ufficiali - quelli dell’archivio di Stato di
Agrigento e quelle comunali - testimoniano invero su tali arditezze dei
Matrona; non c’è da rimanerne ammirati. Tutt’altro!
Il 20 dicembre 1975 era partita da Racalmuto
questa lettera anonima:
«Racalmuto che in questi ultimi tempi dà lo
spettacolo di un anormale stato, stava ansante aspettando una visita dalle
Signorie loro ill.me per dare una forma di esistenza che fosse conforme a
giustizia, alla riparazione e alla concordia secondo le promesse potenti
inaugurate dal nostro Augusto Sovrano
«E’ però lo allarme si rincrudelisce nel
venire a conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando
Racalmuto. [...] Sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe
cancerrose (sic) per Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe
sanare. Si chiede quindi che fossero chiamati cittadini di qualunque
gradazione; meno fratelli Matrona, Cammillo sic Picataggi, Alfonso Farrauto,
Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele (sic)
Mantia, Arciprete, Michiele (sic) Alaimo , Gioacchino Savatteri, ed impiegati
tutti comunali, i quali hanno saputo collidersi e colludersi chi più chi meno;
e formano i gaudenti dell’azienda Comunale.»
Sappiamo così da chi era formato il clan dei
Matrona. Sorprende che anche l’arciprete Tirone si fosse accodato ai potenti
cinque fratelli; Gioacchino Savatteri lascia il fratello Calogero con le sue
manie mazziniane e si accoda ai liberal-massoni Matrona. Per ripicca il
fratello Calogero accetta la tessera del Mutuo Soccorso, omai in mano ai
Tulumello, e finge lì di essere un socialista ed un mazziniano, come abbiamo
visto sopra. Un anno dopo la morte, il Mutuo Soccorso ne commemora
l’anniversario, in pompa magna. Ora è divenuto sindaco Gioacchino Savatteri, ma
questi rifiuta lo stendardo comunale nelle celebrazioni del fratello: è
scandalo. Il Tulumello stila una lettera di fuoco. Sarebbe stato scandalo
aggiunto a scandalo: chissà chi riesce a bloccare quella rovente accusa. Oggi
gli eredi di Calogero Savatteri detengono quella lettera non firmata.
All’archivio di stato di Agrigento permane il carteggio sull’eroicomico
gesto dei Matrona su cui in definitiva quel colonnello citato da Sciascia
poggia i grandi meriti di lotta alla mafia di quella celebrata famiglia. Siamo
nel novembre del 1873. L’intera corte familiari di quegli ottimati se ne sta
ancora in “campagna”, in quella villa cioè esaltata da Sciascia per almeno due
volte: nella citata prefazione al libro del Tinebra e nella recente
pubblicazione - a spese della comunità comunale provinciale e regionale - “gli
amici della Noce”. Nella prefazione (pag. 13) abbiamo questa ammaliata
descrizione «Mentre scrivo, nella mia casa di campagna di contrada Noce, ho di
fronte - da una collina all’altra - la settecentesca casa di villeggiatura dei
Matrona, grande ed armoniosa .. E ancora negli anni della mia infanzia era
luogo di meraviglia, di delizia. C’erano palme e magnolie, siepi di rose e
d’oleandro, alberi qui rari come i corbezzoli, i giuggioli; e giganteschi pini
di fitta ombra e odorosi. C’era pure una grotta che nelle pareti e nella volta
era stata rivestita di cristallini, splendenti schisti di zolfo e di salgemma,
di stalattiti. C’erano le due fontane: una rettangolare, ad abbeverarvi i cavalli; l’altra rotonda, grande, in mezzo
una colonna con sopra un vaso traboccante di capelvenere - e il fresco suono
dell’acqua.» E la suggestione si accende di erotismo - insolito in Sciascia -
ne “Gli amici della Noce” [pag. 7]: «E delle villeggiature di quella grande
famiglia è rimosto favoloso ricordo: delle feste; delle colazioni sull’erba in
cui tra i lini e gli argenti, nel profumo delle magnolie, e luminose e
profumate come magnolie, donne di mai più vista bellezza splendevano; delle
carrozze dorate e stemmate; dei cavalli, dei cavalieri, dei lacché, degli
stallieri, dei cuochi.» E l’Autore squarcia il suo usuale velo pudico [pag.
11]: «Dal punto in cui ho l’abitudine di sedere ogni sera, - confida - alla
stessa ora, vedo un paesaggio in tutto simile a quello che fa da sfondo
all’Amor sacro e all’Amor profano del Tiziano: e la sera trascorre in esso come
una delle tizianesche donne serene e opulente. Poi di colpo, come un ventaglio,
quella visione si chiude: ed è la notte col suo pergolato di stelle e con la luna
così vicina che sembra la si possa colpire e far vibrare come un gong.»
Ma una cronaca meno ammaliante, anzi
prosaicamente meschina, la possediamo e riguarda proprio quella grande
famiglia. Citiamola, senza orpelli: «!3 dicembre 1873. Sin dal giorno 23
novembre ultimo scorso, la contrada della Noce veniva turbata dalla presenza di
più malfattori. Il fatto che quattro persone armate, eransi rivolte giorni
prima per la casina dei ricchi borgesi fratelli Brucculeri, che scamparono
dalla rete dandosi alla fuga, e ricoverandosi nella casina del nominato Rosina
Francesco, erasi pubblicato nel nostro comune, ed ogni cittadino si asteneva di
portarsi in quelle campagne.
« ... il giorno 4 Dicembre, sei persone
armate si presentarono nel fondo di proprietà dei sopradetti Sig.ri Matrona, e
stabilendosi alla distanza di 100 metri dalla casina inviarono il giovane Luigi
Mansella, uno dei famoli della casina Matrona a domandare il pane. Il sig.
Matrona Gaspare, ben comprende la sfida, conoscendo essere quella la formola
dei briganti che si presentano pel bottino. Comprese il pericolo nel quale si
trovava l’intiera famiglia, mentre d’unità allo stesso e sua moglie, trovavasi
anco il fratello Michele con una figlia a 13 anni, ed una bimba di anni 3, e
l’altro fratello scapolo Napoleone [...] Chiamati a sé i due fratelli, il
nominato Vinci Calogero suo affezionato sovraintendente, il castaldo Gagliardi
Nicolò, Denaro Giuseppe, e lo stesso Mansella Luigi, ed uniti partono dalla
casina, lasciando a guardia delle tremanti donne i tre contadini Mansella
Giovanni, Letterio Gagliardi e Casa Tommaso. [Viene descritta qui prolissamente
la caccia ai briganti, n.d.r.] [E sia come sia, accorre in aiuto] il comandante
dei militi a cavallo sig. Leone Giuseppe. [In tal modo riescono ad arrestare 4
banditi: due però riescono a scappare, ma non vanno lontano visto visto che il
fratello Napoleone con Tommasa Casa] valse a disarmarli ed arrestarli.
«E la giunta, compresa della valorosa azione, sul riguardo:
«1° che il sig. Matrona Gaspare di anni 34,
ammogliato senza prole, colla qualità di Sindaco, e in ottimo e sicuro stato di
fortuna;
«2° che il sig. Michele Matrona di anni 36,
ammogliato e padre di sette figli nello stato di fortuna come sopra;
«3° che il sig. Napoleone Matrona, scapolo
di 31 anni ...
«tutti figli di Pietro di Racalmuto,
arrischiarono evidentemente la propria vita, per arrestare n.° 6 malfattori,
che infestarono la contrada Noce [...] determina di venire accordata, a
ciascuno degli stessi, una medaglia d’oro del valore di L. 100; sopra un lato
sarà effigiato lo stemma di Racalmuto con intorno il motto AL VALORE CIVILE, e
nell’altro lato scolpito il nome del benemerito, col motto ARRESTO BANDA ARMATA
4 dicembre 1873. CONTRADA NOCE.
« ... Questa Amministrazione accorda le
seguenti ricompense pecuniarie:
«1° L. 70 a Danaro Giuseppe da Bagaria,
contadino:
«2° L. 70 a Casa Tommaso da Bagaria,
contadino;
«3° L. 70 a Mansella Luigi da Racalmuto,
contadino;
«4° L. 40 a Letterio Gagliardi da Bagaria,
contadino;
«5° L. 40 a Mansella Giovanni da Racalmuto.»
Quella storiella che puzza di ipocrisia e di
peculato per retribuzioni improprie dei propri scherani a spese del Comune -
altro che un don Gasparino che ci rimetteva di tasca sua! - ha convinto solo il
colonnello di Sciascia, che ancora un paio d’anni dopo la ammanniva ai
commissari dell’inchiesta parlamentare. Già il prefetto si era proprio
indispettito per tutte quelle manfrine dei Matrona che cercavano di fare
apparire atti eroici mere espressioni della loro prepotenza, del loro contorno
di bagarioti, di quel sovrastante a nome Vinci che abbiamo visto ben
tratteggiato nella lettera anonima che
racconta della strusciata di piedi avverso il nuovo casino del barone
Tulumello. Va notato che il prefetto stizzosamente boccia quella impudente
delibera della giunta comunale di Racalmuto con queste eloquenti parole: «le
insegne e medaglie dei quali possono fregiarsi i cittadini sono quelle concesse
dal governo.» (nota del 25 marzo 1875). Più che un sindaco repressore della mafia,
don Gasparino emerge dai vecchi
documenti come un uomo al top della cupola cui non si può impunemente far torto
alcuno. Un incidente come quello del 1873 - in effetti dei poveracci affamati e
latitanti pietivano un po’ di pane e non c’era nessun messaggio occulto - si
ripeté qualche tempo dopo. Riferisce il procuratore del re [28] alla
Commissione d’inchiesta del 1875: «Quando poi ci inoltriamo verso Palma, naro,
Favara, Castrofilippo, Racalmuto questi reati pigliano proporzioni più serie.
Vi è la banda Sajeva, capitanata dal Sajeva, che va commettendo grassazioni in
un punto e in un altro. [....] Molte volte sono gli stessi contadini che noi
vediamo lavorando che hanno commesso delle grassazioni, come accadde a pochi
passi dal Comune di Grotte, dove si presentarono alla vettura pubblica dove vi
erano sei o sette signori fra cui il sindaco di Racalmuto, hanno intimato al
cocchiere di scendere, hanno fatto uscire tutti dalla vettura, li hanno fatto
mettere bocconi per terra, e li hanno depredati di 700 o 800 lire, e poi
tranquillamente hanno imposto di andare avanti. Fuvvi chi disse che erano quei
lavoranti delle campagne, accorse la forza pubblica ... si sono già fatti sette
arresti.» Noi siamo certi che quell’affronto do Gasparino non lo subì passivamente: poi gli amici degli
amici di Grotte furono sicuramente solerti nel recuperare il maltolto e nel
punire gli insolenti.
Eugenio Napoleone Messana ha pagine piene di
spunti storici pregevoli su questo periodo: egli tratteggia la figura di
Gaspare Matrona (pag. 265-273) con qualche faziosità plaudente - forse per
compiacere Sciascia, che però gli fu ingrato - ma tutto sommato con sufficiente
attendibilità e con dovizia di documenti inediti.
Un quadro disarmante viene però dal testo
delle deposizioni che don Gasparino Matrona ed altri furono costretti a fare al
distaccamento della giunta d’inchiesta. Le lettere anonime sortino il loro buon
effetto e così il 21 dicembre del 1875 un senatore, un consigliere di stato, un
deputato e tanto di segretario ufficiale si insediano nel comune per indagare
sui massimi esponenti della politica locale e della pubblica amministrazione
sedente in Racalmuto. Trascriviamo dal
fascicolo 11, sott. 8 [29]gli «Appunti
degli interrogatori tenuti dalla sottocommissione nella città di Racalmuto nel
giorno 21 Dicembre 1875 - Sezione della Giunta Comm. Verga Sen. ff. da
presidente, Alasia, Consigliere di Stato, Cav. Luigi Gravina Deputato -
Testimoni uditi:
1) Gaspare Matrona - Sindaco
2) Enrico Micali-Freri Pretore
3) Delegato di Pubblica Sicurezza
4) Bonfanti Antonio Maresciallo Carab.
5) Dr. Diego Scibetti Troise
6) Carlo Lupi
7) Giuseppe Grillo.»
Il fascicolo n.° 66 contiene la seguente
trascrizione stenografica:
«Racalmuto 21 Dicembre 1875.
Comm. Verga
Comm. Alasia
Deputato Gravina
------
Gaspare Matrona - Sindaco di Racalmuto.
= S.P.?
“Ottime le condizioni di S.P. qui si è dato
sempre il buon esempio a reprimere i birbanti. Le autorità hanno coadiuvato.
= Ammonizioni?
“Molti e bene ammonimenti. Si è visto
tornare dal domicilio coatto Caloggero [sic] Morello di Canicattì. E’ ritornato
prima che finisse la pena. La voce pubblica dice che la prefettura l’ha fatto
tornare prima per servirsene.
= Sono sorvegliati gli ammoniti?
“Non abbiamo che i Carabinieri ed a questi è
affidato il servizio.
= Le autorità disimpegnano il loro ufficio?
“Sì, succede qualche cosa ma non è scossa la
S.P.
= Ma la S.P. anche in campagna?
“ Parlare di Racalmuto nelle campagne non ci
può essere sicurezza. C’è ancora il Sajeva di Favara, un altro di Girgenti e
qualche altro. Per Racalmuto non c’è che la classe dei solfatari che è a
tenersi in guardia. Però la cittadinanza ha sempre dato braccio forte alle
Autorità.
= Attriti ce ne sono?
“ Da qualche tempo in qua c’èstato qualcosa,
per quistione municipale. La reale causa è la presenza di un Gesuita Padre
Nalbone il quale ha suscitato degli attriti; si è messo a capo di un partito
elettorale.
= Ci è partito clericale?
“E sì, ci è.
= Le Autorità si sono immischiate?
“ No ... Io come sindaco non mi sono
immischiato, ma quando si è trattato di questione elettorale ho dovuto prendere
parte ... Qui i carabinieri hanno poco da fare, qui li chiamano Canonici.
= L’amministrazione comunale?
“E’ in buone condizioni, debiti non ne
abbiamo. Non abbiamo altra imposta che il dazio di consumo.
= Scuole?
Le scuole elementari, e le scuole
facoltative le abbiamo avute nel passato e le scuole serali.
= Asili?
“ Niente.
= La sovrimposta?
“ La sovrimposta l’abbiamo per la
costruzione delle vie.
= Opere Pie?
“ L?antico monte frumentario, oggi tradotto
in Monte di pegnorazione. Vi sono poi le congreghe che sono ricche, ho fatto di
tutto per farle tradurre in opere di beneficenza, ma non ci sono riuscito.
= Amm.ne Giustizia?
“ Non ho che osservare. E’ in regola
mentreché è importantissima questa Pretura.
= E l’affare fanciulli nelle zolfare?
“E’ questione grave, ci è l’umanità da una
parte e l’interesse economico dall’altro.
= Produce danni fisici e morali?
“ Non quanto si crede. Per le zolfare credo
che ci vorrebbe una specie di consorzio. Qui la proprietà è divisa. Tutti siamo
nella commodità generale. Per togliere l’acqua occorrerebbe potersi avvalere
della costruzione di acquedotto dei terreni sottostanti; una specie di servitù di
acquedotto o meglio consorzio.
= Ferrovie?
“ Insiste per la linea Caldaje dicendo
essere utile all’industria per lo zolfo e le saline. Dice che la strada di
Racalmuto è stata dichiarata comunale. Si sono fatte due strade intercomunali.
= Pel servizio delle imposte?
Ci sono sempre reclami, ci è deèerimento
sempre e variazioni continuee nelle miniere.
= Ricchezza Mobile, ci è vessazione?
“ Si lamenta la lungheria nella via dei
reclami, a me non consta che ci siano lagnanze per arbitrio dell’Agente. Io
credo che il lamento non è di pagare la tassa, è di avere i vantaggi che ha il
resto d’Italia, manchiamo di strade.
= Macinato?
“ Procede bene. Racalmuto è molto
ossequiente alla legge. Raccomanda la ferrovia e l’affare della strada
provinciale.
Pretore Enrico Micali-Freni
= S.P.?
“ S.P. non lascia nulla a desiderare. I
cittadini si prestano grandemente in favore della S.P. per la scoverta dei
reati. Giorni addietro per uno scrocco mercè il Sindaco si seppe tutto e si
procedette all’arresto.
= Ammonizioni?
“ Ce ne sono molte. Quelli per i quali
finisce il biennio saranno rammoniti. In quanto a sorveglianza è difficile
perché il numero è esuberante.
= Quell’individuo Caloggero Morelli
ritornato dal domicilio coatto prima del tempo?
“ Non lo so. In quanto ad ammonizioni io
credo che bisognerebbe amminire meno.
= Partiti?
“ Ci è un partito che cerca spiantare
l’attuale Amministrazione. Io credo che il partito attuale stia bene al potere.
= Chi è capo del partito contrario?
“ Il fratello dell’attuale Sindaco il quale
per non comparire mette avanti il barone Tulumello.
= Altri servizi? Imposte?
“ Procedono regolarmente; le Autorità non
sono ostacolate.
= Ma le campagne sono sicure?
“ Ci sono piccole grassazioni. Io feci fare
degli arresti dei sospetti ed ora stiamo bene. Sono giovanotti che lavorano
molto, guadagnano, giocano e bevono. I carabinieri sono ottimi.
Delegato di S.P.
[E’ in missione di delegato da due mesi. La
S.P. è migliorata. Parla delle piccole grassazioni e degli arresti fatti e
dell’arresto fatto per lettera di scrocco di un tale di Bagheria. La classe
intelligente aiuta le autorità. E’ tornato qualcuno dal domicilio coatto.]
= Se con condotta regolare dal loro ritorno?
E Calloggero Morelli?
“ L’adopero qualche volta come confidente,
perché mi fu raccomandato dal mio predeccesore. Sino ad ora un bel servizio non
l’ha ancora reso.
= Partiti?
“ Matrona attuale sindaco e l’altro
Tulumello.
= E lei cosa crede?
“ Credo che se trionfa l’altro il bene del
paese non ci guadagnerebbe certo.
= Amministrazione della giustizia?
“ Nessun reclamo.
Bonfanti Antonio - Maresciallo dei
Carabinieri
=
S.P.?
“ Non è cattiva. Vi è stata qualche cosa
perché ora giocano molto. Io credo che tra gli arrestati vi siano i rei delle
grassazioni. Io questi li ho visti sempre giocare, con delle donne, anche nelle
bettole.
= Ma non ci sono ammoniti?
“ Come si può? Gli ammoniti sono 61 e noi
siamo pochi. Qui l’opera della forza pubblica è facile, ci è un sindaco ottimo
ed ha un partito di ottima gente.
Dott. Diego Scibetti-Troise - Consigliere
Comunale
“ Raccomando le ferrovie delle Caldaje per
Canicattì. Vorrebbero che più sorvegliata la classe dei forestieri che vengono
a lavorare in Racalmuto. Aumentare la forza per sorvegliarli e mettere le librette.
= Crede nocivo ai fanciulli il lavoro delle
miniere?
“ Non soffrono molto. Si sa che il peso che
portano sempre loro nuoce. Il paese reclama che non si pensi
all’Amministrazione comunale, all’Istruzione Pubblica, non vi sono che scuole
elementari, il Comune ha invece voluto spendere a cose di lusso e fare il
palazzo.
= Ma le poteva fare, non vi sono debiti?
“ Debiti non appariscono ma ci sono. Di
100.000 lire che furono stanziate per spese se ne sono spese 87.000 per la sola
casa comunale, circa 40.000 per la casa dei carabinieri; quindi i debiti ci
sono. [Dice che sarebbe inutile la via di Favara].
= Ma le elezioni si fanno regolarmente, le
liste sono ben fatte? Che cosa può fare in questo la Commissione d’inchiesta?
Si sa che il sindaco deve avere la maggioranza; prendete voi il di sopra!
In fatti di S.P. si aiuta l’Autorità?
“ Siamo tutti uniti nell’ajutare l’Autorità,
in quel caso termina ogni idea di partito. Ma nel Consiglio ci vorrebbe altri.
= Che?
“ Io ritengo di sì. La pretura, il delegato,
i carabinieri fanno il loro dovere.
= Imposte?
“ Niente ... Abbiamo ottimo esattore.
= Macinato?
“ Niente.
Carlo Lupi
= L’Amministrazione comunale?
“ Va benissimo l’amministrazione comunale
perché il sindaco è ottimo.
= S.P.?
“ Nell’interno è ottima ma nelle campagne ci
è qualcosa.
= Le ammonizioni procedono bene?
“ Sì.
= I carabinieri?
“ Ottimi.
= Elezioni, imposte?
“ Niente
= A’ altro da dire?
“ [Parla del Matrona fratello del sindaco
che è un clericale, nemico di ogni progresso.
= Ma per la casa ci è debito?
“ No.
= E’ forte il partito Matrona?
“ Non tanto ... Il Matrona ed il gesuita che
venne qui, hanno cercato minare il paese. Il Matrona accusa il Municipio di
aver fatta la strada comunale per andare commodamente al suo podere.
= Ma si lagna il partito contrario per la
mancanza di scuola tecnica?
“ La scuola tecnica non avrebbe che un solo
allievo. L’avevamo e la togliemmo per mancanza di allievi.
= La scuola elementare quanti allivi ha?
“ Oggi sono dodici.
Giuseppe Grillo Cavallaro
S.P.?
“ Qualche cosa succede raramente.
= Imposte?
“ Niente a deplorare.
= Partiti?
“ Sì per ambizione.»
Da annotare. Colpisce il fatto che proprio
il fratello del sindaco stia dalla parte avversa, con il gesuita Nalbone. Don
Giuseppe Matrona - su cui abbiamo dato prima ragguagli - quella faccendo di
essere finito in galera per la iattanza del prefetto Falconcini non ebbe mai a
digerirla. Rimase ostile ai savoiardi ed a quali li rappresentassero, fosse
anche il giovane e rampante fratello don Gasparino, che evidentemente per
bramosia di potere fu disposto a tenere in poco conto i torti subiti dalla sua
prestigiosa famiglia ed a dimenticare quegli abbracci umilianti in presenza del
sindaco Mirabile di Agrigento. Più indaghi e più la figura di don Gasparino si
deteriora, a scorno dell’esaltazione sciasciana.
Nelle poche battute riportate nel resoconto
stenografico della Commissione d’inchiesta, don Gasparino appare arrogante,
incolto, ma particolarmente cinico quando accenna alla sorte dei “carusi” delle
miniere di zolfo. Anche in questa occasione don Gasparino emerge come uomo che
domina la mafia: una lettera di scrocco? Arriva lui e tutto va a posto.
Vi è un codazzo di corifei attorno a don
Gasparino: pretore, maresciallo dei carabinieri, il lacchè Carlo Lupi,
l’evanescente Giuseppe Grillo Cavallaro, non hanno pudori, non hanno ritegno
quando si tratta di esaltare il loro protettore, il sindaco don Gasparino.
Nelle brume della memoria, dopo, quegli opportunismi divennero esaltante mito
che perdura sino ai nostri giorni, con il suggello di tanto nome: Leonardo
Sciascia. Una sola voce discorde: quella del dott. Diego Scibetti-Troise; ma ci
pensano addirittura i commissari a redarguirlo. E via l’obiettività di
quell’organo inquirente. L’Italietta sabauda scendeva a valle per difendere,
massonicamente, l’irrequieto giovanotto racalmutese di buona famiglia, don
Gasparino Matrona.
Frattanto a Racalmuto abbiamo ben 61
ammoniti, un solo allievo alle scuole tecniche - che il provvido don Gasparino
si affretta a chiudere per risparmiare e costruire la faraonica casa comunale -
e solo 12 alunni alla scuole elementari, una popolazione scolastica
inconsistente in un comune che quasi
fiorava i venti mila abitanti. E la tragica situazione del lavoro minorile
nelle miniere, che metteva in apprensione i galantuomini racalmutesi solo per
il fatto che qualche riflesso si aveva sulla pubblica sicurezza; per il resto
c’era solo da storcere il muso per i troppi soldi guadagnati da quei traviati
minori, e per il loro vezzo di spenderli
al gioco e con le donne. La cifra morale degli ottimati racalmutesi non
è elevata. E don Gasparino non fa eccezione, anzi!
Di fronte a Sciascia scrittore, noi restiamo
ammaliati; la sua prosa è musica, la sua visionarietà è sublime, il suo
moralismo sconcertante, la sua ironia corrosiva, il suo periodare pieno
d’inventiva inusitata ed avvolgente. Non era tenuto alla verità storica ed
infatti non l’amò. A noi - che molto più
sommessamente - andiamo in cerca del vero storico del locale arrovellarsi
umano, resta l’intralcio di un grande scrittore che ha voglia di stravolgere il
banale avvenimento, il prosaico ruolo degli ottimati racalmutesi,
l’affaccendarsi ingenuo, ma non perverso, di preti e frati del minuscolo
proscenio nostrano. Nella prefazione al libro del Tinebra, Sciascia si lascia
andare a tutta una serie di giudizi storici su figure ed avvenimenti della
Racalmuto dell’Ottocento: ebbene quelle valutazioni ci paiono decisamente
cervellotiche. Dice Sciascia: «La richiesta e la ricerca del libro [del
Tinebra] divenne tanto intensa quanto vana. E non la spense la
pubblicazione .. della storia del paese
di E.N. Messana, voluminosa, fitta di notizie.» [pag. 8]; ma dopo, alla fine
[pag. 15], «limitato è il numero delle notizie che su Racalmuto si possono
estrarre da libri e da manoscritti, moltissime e di sottili e lunghi tentacoli
sono quelle che si possono estrarre dalla memoria. Dalla galassia della
memoria.» Ci pare uno Sciascia o in vena di contraddizioni o di sardoniche, eppure
sotterranee, stroncature degli insaccati cronachistici del Messana. In ogni
caso della “galassia della memoria” sciasciana, da punto di vista storico, c’è
molto da diffidare. I Matrona non possono davvero essere definiti: «una
famiglia che per amministrare il comune disamministrava il proprio patrimonio
o, più esattamente, andava travasando nel patrimonio pubblico.» Abbiamo visto
invece come quei matrona tendessero a farsi assegnare medaglie d’oro
ultracostose e come tendessero a dar dare soldi pubblici ai propri famigli
bagarioti, e come facessero finanziare strade comode che comodamente
collegassero il paese ai loro poderi, alla Noce, a pro’ di loro e dei soliti
“amici della Noce”, allora come adesso. Certo, se non si trattasse di Sciascia,
sarebbe da sghignazzo un’elucubrazione così ingenua come la seguente:
«Naturalmente, - vedi pag. 12 - i Matrona dei nemici: ma si scoprirono più
tardi, aggregandosi alla famiglia Tulumello. Intanto, nel 1875-76, si
limitavano a denuncie [sic] anonime: e la commissione d’inchiesta (si chiamava
propriamente giunta), ne riceve tre: contro l’amministrazione comunale, contro
il sindaco Gaspare Matrona. Ma si infrangevano contro l’evidenza di quel
comune amministrato con tanta dedizione,
coraggio e generosità che il colonnello propone a modello non solo della
Sicilia ma dell’Italia intera. E si capisce che nel giro di mezzo secolo i
Matrona furono poveri, sicché fu facile ai loro avversari batterli: col
conseguente effetto di un ritorno al malandrinaggio, della mafia, delle
usurpazioni e prevaricazioni. [Corsivo ns.]» Spropositi del genere vanno solo
negletti. A dire il vero i Tulumello non abbatterono don Gasparino Matrona.
Questi cedé la sindacatura al suo correligionario don Gioacchino Savatteri, nel
1875 per le vicende che abbiamo adombrato. Don Gioacchino Savatteri dovette
abbandonare la sindacatura per un sospetto peculato di L. 7.535. Le carte
dell’archivio di stato di Agrigento del 1890 insolentiscono quella nefanda
gestione: «Nel comune di Racalmuto - sbraitano - l’inchiesta a carico della
precedente amministrazione non è ancora compiuta e già abbe a risultare
un’appropriazione indebita di L. 7.535 a carico dell’ex sindaco Savatteri che
fu denunziato all’autorità giudiziaria.» Sciascia aveva ataviche subalternità verso
i Matrona. Confessa [pag. 13] «tutto sommato, devo ai Matrona questo mio
rifugio in campagna: perché mio nonno loro fedelissimo elettore, volle anche
lui, da capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra nella stessa
contrada, edificandovi una casetta: ora è un secolo).» Noi non abbiamo di
siffatte gratitudini: anzi ribolle la rivolta ancestrale dei miei poveri
antenati zolfatai, sfruttati da tali arroganti “civili”, galantuomini,
ottimati, signorotti o come diavolo si chiamano; sfruttati anche per «non
sapere scrivere né sottoscrivere per non averlo mai appreso.»[30] E gli
zolfatai non sapevano leggere e scrivere perché facevano comodo da “carusi”
andare nelle miniere dei Matrona (e di altri ottimati), come arrogantemente don
Gasparino dichiara ai membri della Giunta. E si è visto come don Gasparino
risparmiasse sull’istruzione dei figli del popolo, avendo più a cuore gli
spettacoli lirici, propoziatrici di tresce con attrici, cantanti e ballerine.
Eh! Sciascia, Sciascia! Lascia perdere i Matrona tutti presi a far [pag. 11]
«scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle
rionali, teatro.» Ed in men di cinque anni (la sindatura di don Gasparino dura
secondo il Messana , appendice 29a, dal 1872 al 1876): non ci crede neppure il
prof. Salvatore restivo che pu sappiamo quanto sia devoto alla memoria di
Sciascia. Giustamente annota, ad esempio, che il teatro di Racalmuto fu
inaugurato il 9.11.1880, come dire quattro anni dopo la defenestrazione dei
matrona per un duello mancato. L’avversato Messana comprova che nel 1874, in
pieno regime di don Gasparino, 32 erano i racalmutesi “aderenti alla mafia”
secondo la segnalazione del delagato di P.S. Annibale Macaluso (cfr. appendice
XVII, pag. 493). Il sottotenente comandante la sezione dei carabinieri di
Racalmuto, G. Bianchi, ha un concetto tutto personale, ottocentesco, della
legge se scrive: «l’attuale sindaco di quel paese sig. Matrona Cav. Gaspare è
l’unico cittadino capace di mantenere obbedienti alle Leggi dello Stato una
massa di uomini oltremodo ignorante e proclivi a qualunque reato». [31] Oggi -
molto più civilmente - quel sindaco finirebbe nelle grinfie dell’Antimafia,
proprio quella che Sciascia non amò tanto.
Archivio
Centrale di Stato - Roma -
"Commissione Parlamentare d'inchiesta - 1875-76"
«Vi è una lettera di Nalbone Francesco di
Racalmuto - rimessa al Prefetto di Girgenti e quindi non figutante agli atti -
contro il Sindaco di Racalmuto - cfr. Fascicolo 5 - sf. 3 lettera N - n. 1»
«Fascicolo 11 sott. 8 -
[V. acclusa fotocopia]
[Cfr. Fascicolo 66 per la trascrizione del
resoconto stenografico]
[Archivio Centrale dello Stato - Giunta per
l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia 1875, SCATOLA
7 FASCICOLO 5 - sf. 2 LETTERA
"A" n. 15]
da Racalmuto, 20 dicembre 1875 (anonimo)
«Illustrissimi Signori Onorevoli
Componenti la Commissione
d'inchiesta parlamentare
Canicattì
«Illustrissimi Signori,
«Racalmuto, che in questi ultimi tempi dà lo
spettacolo di un anormale stato, stava ansante appettando una visita delle
Signorie loro ill.mi per dare una forma
di esistenza che fosse conforme a giustizia, alla riparazione ed alla
concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal nostro Augusto Sovrano .
«E però l'allarme si rincrudelisce nel
venire a conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando
Racalmuto. S'addolora dippiù sentendo che ga chiamato una Commissione scelta
dal seno d'un partito che vuole a forza imporsi con violenze, con prepotenze e
con illegalità e ch'è in urto alle ispirazioni pubbliche. L'ultima cronaca del
paese è bastante delineata dalla stampa, che per ultimo risultato pose al
silenzio i nemici pubblici.
«Dei reclami si sono presentati alle
Autorità superiori della Provincia, senza risultati. Signori Onorevoli!
Racalmuto per più versi non è paese che merita essere abbandonato! ...E' perciò
pubblica anzia [sic] di far sentire i proprii lamenti alla Commissione
d'inchiesta Dalle Signorie loro bene rappresentata; e si è sicuri che si
convincerebbero che sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe
cancerrose per Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare.
«Si chiede quindi che fossero chiamati
cittadini di qualunque gradazione; meno
fratelli Matrona, Cammillo Picataggi, Alfonso Farrauto, Giuseppe Grillo
Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele Mantia, Arciprete,
Michiele Alaimo, Gioachino Savatteri, ed impiegati tutti comunali, i quali
hanno saputo collidersi e colludersi in più o in meno; e formano i gaudenti
dell'azienda Comunale.
«Con ogni sicurezza allora le SS.LL.II. si
potrebbero fare giusta es adequata [sic] immagine delle condizioni attuali
lacrimevoli del paese, per promuoversi gli opportuni e giusti provvedimenti.
«Si spera giustizia.
«Racalmuto 20 Dicembre 1875»
Nella "Rubricella" contenuta nella
Scatola 7[Renato GRISPO- L'Archivio della Giunta per l'inchiesta sulle
condizioni sociali ed economiche della Sicilia - Inventario - Cappelli Editore
1969 porta [5] - L'archivio usa questo testo per inventario, ma la numerazione
non corrisponde alle scatole] e che riguarda le "petizioni", alla
lettera N risulta la seguente
annotazione che ci porta se non all'autore, almeno all'ispiratore delle
precedenti lettere non firmate:
« N.ro
ordine
«Nalbone Francesco 1 "al prefetto di
Girgenti"
e nell' «Elenco dei Reclami e petizioni»
[Stessa scatola 7, stesso fascicolo 5, ma sottofascicolo 3, elenco ben diverso
dalla Rubrucella p.c.] vine meglio precisato come così di seguito:
1 Nalbone Francesco di Racalmuto «Reclamo contro il Sindaco di Racalmuto»
* * * * * *
Archivio di Stato di Agrigento
Da Inventario n. 32
Conto di Racalmuto del 1878 presentato da
Nalbone Luigi.
-----------------------
Fascicolo n. 403 (Inventario n. 32)
-
Conti Racalmuto 1869-1887
«Conto entrata ed uscita per l'esercizio
1886.
reso dal Tesoriere Comunale Nalbone
Giuseppe.»
- Anno 1885
reso dal Tesoriere Comunale Nalbone
Giuseppe.
[Archivio Centrale dello Stato - Roma -
Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.) - Busta 80 sf. C 1]
Archivio Centrale dello Stato - Roma -
Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)
1925 - Busta 80 sf. C 1]
Espresso del 30 luglio 1925.
«il 15 andante circa 120 operai della
miniera di zolfo Terrana di racalmuto e Grotte si astennero dal lavoro
pretendendo l'aumento del salario in seguito dell'avvenuto aumento del prezzo
dello zolfo. Alle ore 9,30 dello stesso giorno operai predetti recaronsi quello
scalo ferroviario assistere passaggio On. Farinacci, che fermatosi pochi minuti
promise suo intervento favore operai stessi. Però giorno 20 successivo tutti
zolfatai bacino minerario Racalmuto e Grotte, segno solidarietà e per analogo
scopo si astennero pure lavoro. Di seguito laboriose trattative .... fu
raggiunto accordo sulla base ...
dell'aumento del 10 % sui salari attuali a decorrere dal 1° Agosto p.v. ..»
Testo accordo:
«L'anno 1925 addì 28 luglio nell'Ufficio di
P.S. di racalmuto alle ore 12.
«Sono
presenti i sigg: Comm. Angelo Nalbone esercente miniera Cozzotondo, Cav.
Rosario Falzone esercente miniera Giona G. e P. Galleria, Mattina Salvatore di
Gaetano in rappresentanza degli esercenti della miniera Giona-Salinella N.°3-6;
il cav. Baldassare Terrana esercente della miniera Dammuso, il Cav. Vassallo
Ernesto esercente miniera Quattrofinaiti
Vassallo, il sig. Ricottone Giuseppe fu Giuseppe in rappresentanza per la
sua parte della miniera Gubellina
... e dall'altra parte il sig. Lo Sardo Giuseppe fu Nicolònella qualità
di presidente del locale Sindacato Fascista Zolfatai, Piazza Salvatore di
Salvatore nella qualità di Vice Presidente, il sig. La Mastra Giuseppe di
Nicolò nella qualità di Segretario, i sigg. Guastella Vincenzo fu Antonino,
Taibi Salvatore fu Giovanni, Mattina Giuseppe di Nicolò, Bartolotta
Michelangelo fu Raffaele, Arturo Gioacchino fu Gioacchino nella qualità di
consiglieri di detto Sindacato, i quali per non prolungare uno stato di cose
nocivo ai reciproci interessi e anche alla Economia Nazionale sono di pieno
accordo addivenenti mercè l'opera del locale funzionario di P.S. con l'ausilio
dell'Avv. Burruano Salvatore membro del Direttorio Provinciale fascista alle
seguenti convenzioni da avere vigore in tutte le forme di legge a datare dal 1°
Agosto 1925.
«Gli esercenti tenuto conto presente
l'ultimo listino del Consorzio zolfifero siciliano n. 118 ove è segnato un
aumento del prezzo di vendita in ragione di L. 5 a quintale, concedono alle
maestranze, che accettano, un aumento del 10% sul prezzo base pagato sin oggi.
«Tale aumento unito ai precedenti aumenti
dell'8 e del 6 per centosommano un totale del 24% sul prezzo base.
«[.......]
«I rappresentanti delle maestranze si
impegnano a fare riprendere il lavoro a cominciare da domani 29 andante.»
Archivio Centrale dello Stato - Roma -
Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)
1932 - Busta 41 sf. C 1]
30.6.1932
«29 corrente Racalmuto - Nalbone Luigi
proprietario esercente miniera Cozzotondo - per nota crisi industria zolfifera
- ha sospeso estrazione minerale lasciando disoccupati 74 operai Racalmuto -
Comandante Tenenza Ten. Lo Monaco.»
* * * * * * *
Da una lista a stampa dell'Archivio di Stato
di Agrigento
«Lista della sezione elettorale di
Racalmuto.
«N.ro d'ordine - Elettori Cognomi e nomi - PATERNITA' - data
nascita - titolo o qualità che gli
lista
lista
conferisce
il diritto
com
politica
elettorale commer-
mer
comuna
le
ciia
le
le
--------------
181
316 - Nalbone Giuseppe di Luigi - 28 marzo 1857 - negoziante di zolfo.
182
317 - Nalbone Angelo di Luigi - 2 giugno 1863
[1] ) Enrico Falconcini, Cinque mesi di
prefettura in Sicilia, Firenze 1863, pag. 49.
[2] ) Massimo Gangi, La Sicilia
contemporanea - pag. 117.
[3] ) Domenico De Gregorio - Ottocento
Ecclesiastico Agrigentino - vol. II, La sede vacante - Agrigento 1968, pag.32 e
33.
[4] ) Giovanni Spadolini tesse uno
sperticato elogio di questo napoletano, esponente della Destra, nel libro su
Gli Uomini che fecero l’Italia - L’Ottocento -
Longanesi 1972 . pag. 174 e ss.
[5] ) Leonardo Sciascia - Le parrocchie di
Regalpetra - Bari 1982, pag. 24
[6]) Mons. Domenico De Gregorio, Ottocento
..., op. cit. pag. 52.
[7] ) Invero un don Luigi Tulumello di un
otaio defunto, don Gaspare, era pu vivente a Racalmuto; ma non crediamo che
avesse cultura ed interesse alle questioni di diritto canonico, a meno che non
scrivesse d’ordine e per conto di chissà chi. In matrice abbiamo rivenuto
quest’atto di matrimonio:
1825
11/6/1825
TULUMELLO Dn LUIGI FU Nr D. IGNAZIO
MATTINA D. ROSALIA
TULUMELLO D. ROSA DEL BARONE D. LUIGI E
GRILLO D. MARIA
[8]) Luigi Pirandello - I vecchi e i giovani
- Oscar Mondadori 1973 - pag. 142-143
[9]) Nino Savarese - La Sicilia nei suoi
aspetti poco noti od ignoti - in Delle cose di Sicilia - vol. IV - Sellerio
editore Palermo 1986, pag. 254 e segg.
[10]) Cfr. Atti della Giunta per l’Inchiesa
Agraria sulle condizioni della classe agricola, vol. XIII, tomo I, fasc. III,
Relazione generale, Roma 1885, pp.
661-662.
[11]) Cfr. L. Hamilton Caico, Vicende e
costumi siciliani, Epos, Palermo 1983, pp. 118-121.
[12]) Archivio Centrale dello Stato -
Ministero Interno - Pubblica Sicurezza - 1930, busta 310 fasc. C1 - Relazione
del prefetto Miglio del 16 luglio 1931.
[13]) Cit. in S. Bosco, Il proletariato a Favara. Lotte
scioperi ed altre manifestazioni dal 1860 al 1960, Sicilia Punto L Edizioni,
Ragusa. S.d., p. 75.
[14]) Archivio Centrale dello Stato - Giunta
per l’inchiesta sulla Sicilia - Fascicolo 66.
[15]) Elaborazione dai dati riportati dallo
studio di Mario Cassetti - Fascismo e crollo operaio. I villaggi minerari
(1937-1942) in Economia e società nell’area dello zolfo - secoli XIX-XX - Sciascia Caltanissetta editore 1989 - pag.
456.
[16]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 443.
[17] ) Camera dei Deputati - Discussioni -
6° Periodo, pag. 6341 e segg.; ibidem, tornata del 12 giugno 1863, pag.
237 e segg.
[18] ) Archivio di Stato di Agrigento -
Inventario n.° 18 - fascicolo n.° 23 (1869-70)
[19] ) Archivio di Stato di Agrigento -
Inventario n.° 18 - fascicolo n.° 23 (1869-70)
[20] ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 279.
[21] ) Archivio Stato Agrigento - Inventario
18 - Atti prefettura - voll. 43-43bis.
[22] ) Calogero Savatteri. Pensieri ..
Favara 1879, pag. 63
[23] ) ARCHIVIO DI STATO DI AGRIGENTO - Inventario n. 18 - fascicolo n. 42
[24] ) Angelo Sferrazza Papa, S.J. -
Francesco di Paola Nalbone, S.J. - L’uomo - il sacerdote - il gesuita -
Istituto “Ignatianum” - Messina 1995 - passim, ma in particolare pagg. 17-22.
[25] ) Archivio Centrale dello Stato -
Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia
1875, Scatola 7 fascicolo 5 - sf. 2 [sottofascicolo 2] lettera A n. 13 -
"inchiesta - Lettera Anonima [n. 13] 1875 [Fascicolo 5- sf. 2- 13].
In effetti la lettera non era anonima: a firmarla era stato tal Francesco
Nalbone come emerge dal Fascicolo 5 -
sf. 3 lettera N - n. 1 ove si annota che
una lettera di Nalbone Francesco di Racalmuto era stata rimessa al
Prefetto di Girgenti e quindi non figurava agli atti: la lettera era contro il
Sindaco di Racalmuto .
[26] ) In matrice il Busuito è così segnato:
« Collegiale, Missionario, predicatore, quaresimalista, consultore del S.
Officio, Parroco di Comitini, Maestro di Spirito sotto Mons. Gioeni alla casa
degli oblati e sotto Mons. Lucchesi successivamente - M. di Lettere, di
teologia Morale, Prefetto di Studii, Direttore - Rettore del Seminario di
Girgenti - Vicario Foraneo - Beneficiale del SS. Crocifisso - Economo - Obiit
29 Januari 1802 - d’anni 74.
[27] ) Salvatore Cucinotta - Sicilia e
siciliani, dalle riforme borboniche al “rivolgimento” piemontese - Soppressioni
- Ed. Siciliane Messina, 1996 - pag. 483 n.° 441. Invero, quell’esimio studioso
mal trascrive vari dati: bisogna infatti leggere “L. Nabbone” per “L. Nalbone”,
“c. Bruscamente” per “contrada Sacramento”. Il Nalbone ebbe ad offrire L. 655
maggiorando sensibilmente il prezzo base dell’asta fissato in L. 423,
maggiorandolo del 54,85%: ovviamente vi teneva proprio: ma 655 lire di allora
erano davvero una bella sommetta. Si trattava di quattro ettari di terre
seminativi in una contrada che crediamo essere quella di Racalmuto: non ho
conoscenze di contrade con tal nome in quel di Grotte, come i dati riportati
dal Cucinotta potrebbero far credere. L’aggiudicazione di quei beni
ecclesiastici - con comminazione di scomunica ipso facto - avvenne nel 1879. In
quell’anno due gesuiti vantava proprio don Luigi Nalbone nella sua famiglia: p.
Giuseppe che doveva essere a Noto essendovi stato chiamato nel 1878 da Mons.
Giovanni Blandini come Rettore, Prefetto degli studi e Amministratore del
Seminario (cfr. P. Sferrazza, op. cit. pag. 33); ed il futuro papa nero, anche
se a quel tempo era solo sul punto di andare novizio dai gesuiti. Non certo dal
figlio che era solo un adolescente, ma dall’intrigante fratello ebbe il
benestare ad imbarcarsi in un’asta sacrilega?
[28] ) Archivio centrale di Stato - Roma -
resoconto stenografico degli interrogatori in Girgenti nella tornata del
16-12-1875 pag. 123 e ss.
[29] ) Archivio centrale di Stato - Roma -
Commissione Inchiesta Sicilia 1875-1876.
[30] ) da un atto del notaio Grillo Borgese
del 1860, rog.to un Racalmuto 18 ottobre 1860 li. 1 col. 19 f 98 n.° 1794 c.a 5, ricevuti grana venti - D.
20. - Il ricevitore : P. Alfano.
[31]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 492.
Il XV secolo
Il XV secolo Racalmuto lo trascorre sotto
l’egida dei Del Carretto. Matteo del Carretto muore nel 1400; gli succede il
figlio Giovanni che deve vedersela con gli esosi Martino. E’ costretto ad
esibire una nutrita documentazione e pagare tante once per avere confermato il
titolo di barone di Racalmuto. Vi riesce. E buon per noi perché possiamo ora
consultare presso l’archivio di stato di Palermo quella documentazione ed avere
preziose notizie sul nostro paese. Giovanni I del Carretto a noi sembra un
barone oculato, laborioso e in definitiva attaccato al paese che sotto di lui
cresce e si consolida. Ma lo storico francese Henri Bresc la pensa diversamente
ed è sicuro che il figlio di Matteo finì male e dovette cedere la baronia agli
Isfar di Siculiana. A conferma della sua tesi, cita documenti spagnoli. Li cita
in termini talmente evasivi da impedirci, per il momento, riscontri
convincenti. Siamo dunque costretti a lasciare in sospeso la questione.
La baronia ritorna, in ogni caso, ai
Del Carretto: Federico, figlio di Giovanni I, riceve l’investitura da Alfonso
d’Aragona l’11 febbraio 1451; viene salassato, deve corrispondere 20 once ogni
anno, deve rendere omaggio nelle forme solenni, deve rispettare i diritti di
“legnatico” dei cittadini racalmutesi, non è proprietario delle miniere, delle
saline e delle antiche difese del luogo, deve salvaguardare la libertà di
pascolo dei paesani e degli equipaggiamenti regi. In compenso ha il dominio
assoluto sul feudo racalmutese che si estende però alla parte nord-ovest del
paese. La parte sud-ovest (Gibillini ed il Castelluccio) costituisce un altro
feudo (si diceva allora “stato”) ed apparteneva per due terzi alla famiglia De
Marinis di Favara. Il restante terzo non si è mai saputo a chi appartenesse:
solo nell’Ottocento vi è stata un’annessione da parte della famiglia Tulumello.
Federico Del Carretto fu un grande
affarista: nel 1451 si associò con Mariano Agliata per un’operazione
speculativa sul grano simile a certi contratti a termine dei nostri tempi
(outright): i due consegnavano al Lomellina il vecchio frumento delle annate
1449 e 1450 e si assicuravano il raccolto dell’anno in corso, consegna a luglio
prossimo presso il caricatoio di Siculiana.
Federico del Carretto dovette essere
molto esoso con i suoi vassalli racalmutesi se questi nel 1454 si ribellarono
violentemente. Il Del Carretto, intanto, procedeva ad acquistare un altro
feudo, quello di Rabiuni di Mussomeli, preso da Pietro del Campo. Altri
notabili racalmutesi erano diventati anche loro facoltosi: uno di loro,
Mazzullo Alongi, teneva in affitto il feudo di San Biagio sempre a
Mussomeli.per 14 onze annue, un castrato, un quintale di formaggio ed una
“quartara” di burro.
Verso la fine del secolo Federico
muore e gli succede il figlio Giovanni II. Forse visse poco, forse il contesto
politico era molto agitato, forse era propenso ad evadere, fatto sta che non si
sobbarcò alla procedura dell’investitura feudale e non corrispose i balzelli
alla corte reale. Qualche anno dopo il Barberi, un ispettore regio
particolarmente rigoroso, bolla i Del Carretto per questa evasione fiscale.
Intanto era succeduto il figlio di Federico, il celebre Ercole Del Carretto ed
anche lui incappa nelle censure dell’inquisitore: si era ben guardato
dall’ottemperare agli obblighi feudali dell’investitura. Ed eravamo già nel XVI secolo.
Racalmuto nel XV secolo passa da 800
a 2500 abitanti circa: più che triplicata, dunque, la popolazione. Non sarà
stato tutto merito dei Del Carretto ma tale crescita non è stata almeno
impedita; depone a merito dei locali baroni. Non poté trattarsi di mera
crescita demografica: condizioni politiche, sociali ed economiche attraevano,
di sicuro, gente dai dintorni che trovavano migliori possibilità di vita nella
baronia dei Del Carretto.
Vi fu però un fatto gravissimo che
palesa una mentalità antisemita. Un ebreo fu barbaramente trucidato a scopo di
rapina. Era il 7 luglio 1474 VII Indizione, l’efferato crimine era già
avvenuto. Ma Palermo vigila e non consente crimini dal vago sapore razziale. Il
viceré Lop Ximen Durrea dà allora commissione ad Oliverio RAFFA di recarsi
a Racalmuto per punire coloro
che uccisero il giudeo Sadia di
Palermo, e di pubblicare un bando a
Girgenti per la
protezione di quei giudei. Nei giorni precedenti il giudeo Sadia di Palermo,
abitante nel casale di Racalmuto, attendendo ad alcune sue faccende fu ferito
mortalmente da un tal Leone, figlio di mastro Raneri. Altri facinorosi del
luogo, congregatisi come in un branco, si misero ad infierire contro il povero
giudeo. Lo colpirono varie volte alla testa, gli tagliarono la lingua, gli
ruppero costole mani e gambe, gli fracassarono i denti ed infine lo gettarono
in una fossa. Lo ricoprirono quindi di paglia e vi diedero fuoco. Mentre bruciava
gli tirarono pietre e terra. Gli ordini all’algozino (ufficiale di polizia)
furono precisi e perentori. Soprattutto, però, bisognava tentare di recuperare “ uno gippuni in lu quali si dichi erano cosuti
chentochinquanta pezi d’oro” (una giacca nella quale si dice che erano
cuciti dentro 150 pezzi d’oro). Non sappiamo se i soldi furono recuperati,
pensiamo di no. Possiamo essere certi che davvero i responsabili, almeno i
caporioni, furono tutti individuati ed insieme a Liuni figliastro di mastro
Raneri finirono nelle carceri di Agrigento.
Passeranno meno di vent’anni e nel
1492 la regina Isabella la spunta nel cacciare via dalla Sicilia gli ebrei.
Noi, in ogni caso, siamo convinti che solo gli ebrei ricchi emigrarono
(soprattutto a Napoli, pare): i poveracci non sapevano dove andare. Cambiarono
nome, cambiarono paese, non si circoncisero, divennero marrani e continuarono a
vivere in Sicilia. Tanti ne vennero a Racalmuto come i tanti La Licata,
Lintini, D’Asaro, Aiduni, Caltabiano, Caltavuturi, Camastra, Castronovo,
Castrogiovanni, Chiazza, Madonia, Milazzo, Modica, Monreale, Montilioni,
Nicastro, Noto, Petralia, Ragusa, Randazzo, Sicilia, Siragusa, Termini,
Terranova, Vicari e simili - che
costellano la nomenclatura dell’anagrafe del ‘500 - fanno trasparire, sia pure
con tutte le riserve e cautele del caso.
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