lunedì 31 luglio 2017
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domenica 30 luglio 2017
Lillo Taverna compartió su publicación.
Lillo Taverna
Via Cecilia
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La Via Cecilia (o Caecilia), è una via romana che staccandosi dalla Via Salaria al 35º miglio da Roma raggiungeva la costa adriatica.
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1 Percorso
2 Reperti
3 Voci correlate
4 Bibliografia
Percorso[modifica | modifica wikitesto]
Il suo percorso costeggiava Amiternum (nella piana di L'Aquila e raggiungeva anche Hatria (l'odierna Atri). Un ramo della via Cecilia attraversava anche Interamnia Praetuttiorum (Teramo) (dopo aver oltrepassato la limitrofa Necropoli di Ponte Messato) e quindi probabilmente raggiungeva la costa a Castrum Novum (Giulianova), a una distanza di circa 151 miglia da Roma.
Vi è incertezza su chi sia stato il costruttore della via Cecilia, che potrebbe identificarsi con il console Lucio Cecilio Metello Calvo nel 142 a.C. oppure con Lucio Cecilio Metello Diademato nel 117 a.C.
Anche il percorso della via Cecilia è alquanto incerto e in fase di discussione. Al riguardo vi sono due documenti: un'iscrizione rinvenuta a Roma, vicino Porta Collina, con la quale si ricorda l'appalto di alcune opere di risistemazione della via la cui datazione potrebbe essere del periodo di Silla; il secondo documento è una pietra miliare ritrovata a Sant'Omero, in provincia di Teramo, nel territorio del Piceno. In questa pietra si citano il console L. Caecilius Q.f. Metellus, che si presume possa essere il costruttore della via, e la distanza da Roma è di 119 miglia.
Reperti[modifica | modifica wikitesto]
La Via Cecilia lungo la Strada maestra del Parco in prossimità del bivio per il Lago di Campotosto e nei pressi del Passo delle Capannelle, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga
Le due iscrizioni, si riferiscono al tratto iniziale e al tratto finale della via Cecilia e quindi non danno indicazioni sul suo percorso intermedio nella regione della Sabina.
L'opinione diffusa tra gli studiosi, che trova un riscontro negli atlanti storici, la Cecilia si distaccava dalla Salaria in territorio sabino (nella zona di Trebula Mutuesca, a monte di Rieti come appare nella mappa del Barrington Atlas), avrebbe poi costeggiato Amiternum a sud dell'Anfiteatro dove sono visibili gli scavi di un tratto della stessa, passava rasente il teatro dove poco dopo c'è un grande sepolcro e superava lo spartiacque appenninico, con un percorso incerto (attuale via Teramana di Marruci o in linea retta ad Arischia dove c'è il resto di un sepolcro), in quello che oggi si chiama il Passo delle Capannelle, a 1300 m sul livello del mare, per poi scendere la valle del Vomanus (Vomano) che divide la catena del Gran Sasso dalla catena dei Monti della Laga.
Dopo le Capannelle, in località Porcinari, esisteva un tratto visibile con le "crepedines" ancora "in situ" e in località Paladini ritrovati i resti del pilone di un ponte.
Altre pietre miliari sono state trovate nella zona di Poggio Umbricchio (il cippo indicante il miglio romano CIIII conservato nella locale chiesa) e a Valle San Giovanni (il cippo indicante il miglio CXIIII).
Gerhard Radke, studioso e autore della pubblicazione sulle Viae publicae Romanae nella Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, ha però contestato l'opinione comune, poggiando la sua tesi sul fatto che una via di grande comunicazione romana con poca probabilità avrebbe seguito un percorso impervio come quello appena indicato.
Radke è invece dell'opinione che la via Cecilia ricalcasse esattamente, nella prima parte, la vecchia via Salaria; da Ascoli si sarebbe diretta verso Castrum Novum (l'odierna Giulianova) e Hadria (l'odierna Atri). Il prolungamento della Cecilia dunque avrebbe sostanzialmente interessato solamente l'area che in età augustea farà parte della regio V Picenum.
Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]
Via Salaria
Strada maestra del Parco, un tratto oggi turistico della Via Cecilia
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
Giammario Sgattoni, Strade e commerci di ieri e di oggi. Scoperto a Valle San Giovanni un "miliario" della "Via del Batino", in Notizie dell'Economia, Teramo, Camera di Commercio, anno 1993, nn.3-4, pp. 60–66;
Giammario Sgattoni, Strade e commerci di ieri e di oggi. Roma attraversò le montagne per i traffici con Hatria e Interamnia, in Notizie dell'Economia, Teramo, Camera di Commercio, anno 1993, nn.5-6, pp. 97–106;
Valentina Savini e Vincenzo Torrieri, La Via Sacra d'Interamnia alla luce dei recenti scavi, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Abruzzo, Teramo, 2002;
[mostra]Strade romane in epoca imperiale
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1 Percorso
2 Reperti
3 Voci correlate
4 Bibliografia
Percorso[modifica | modifica wikitesto]
Il suo percorso costeggiava Amiternum (nella piana di L'Aquila e raggiungeva anche Hatria (l'odierna Atri). Un ramo della via Cecilia attraversava anche Interamnia Praetuttiorum (Teramo) (dopo aver oltrepassato la limitrofa Necropoli di Ponte Messato) e quindi probabilmente raggiungeva la costa a Castrum Novum (Giulianova), a una distanza di circa 151 miglia da Roma.
Vi è incertezza su chi sia stato il costruttore della via Cecilia, che potrebbe identificarsi con il console Lucio Cecilio Metello Calvo nel 142 a.C. oppure con Lucio Cecilio Metello Diademato nel 117 a.C.
Anche il percorso della via Cecilia è alquanto incerto e in fase di discussione. Al riguardo vi sono due documenti: un'iscrizione rinvenuta a Roma, vicino Porta Collina, con la quale si ricorda l'appalto di alcune opere di risistemazione della via la cui datazione potrebbe essere del periodo di Silla; il secondo documento è una pietra miliare ritrovata a Sant'Omero, in provincia di Teramo, nel territorio del Piceno. In questa pietra si citano il console L. Caecilius Q.f. Metellus, che si presume possa essere il costruttore della via, e la distanza da Roma è di 119 miglia.
Reperti[modifica | modifica wikitesto]
La Via Cecilia lungo la Strada maestra del Parco in prossimità del bivio per il Lago di Campotosto e nei pressi del Passo delle Capannelle, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga
Le due iscrizioni, si riferiscono al tratto iniziale e al tratto finale della via Cecilia e quindi non danno indicazioni sul suo percorso intermedio nella regione della Sabina.
L'opinione diffusa tra gli studiosi, che trova un riscontro negli atlanti storici, la Cecilia si distaccava dalla Salaria in territorio sabino (nella zona di Trebula Mutuesca, a monte di Rieti come appare nella mappa del Barrington Atlas), avrebbe poi costeggiato Amiternum a sud dell'Anfiteatro dove sono visibili gli scavi di un tratto della stessa, passava rasente il teatro dove poco dopo c'è un grande sepolcro e superava lo spartiacque appenninico, con un percorso incerto (attuale via Teramana di Marruci o in linea retta ad Arischia dove c'è il resto di un sepolcro), in quello che oggi si chiama il Passo delle Capannelle, a 1300 m sul livello del mare, per poi scendere la valle del Vomanus (Vomano) che divide la catena del Gran Sasso dalla catena dei Monti della Laga.
Dopo le Capannelle, in località Porcinari, esisteva un tratto visibile con le "crepedines" ancora "in situ" e in località Paladini ritrovati i resti del pilone di un ponte.
Altre pietre miliari sono state trovate nella zona di Poggio Umbricchio (il cippo indicante il miglio romano CIIII conservato nella locale chiesa) e a Valle San Giovanni (il cippo indicante il miglio CXIIII).
Gerhard Radke, studioso e autore della pubblicazione sulle Viae publicae Romanae nella Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, ha però contestato l'opinione comune, poggiando la sua tesi sul fatto che una via di grande comunicazione romana con poca probabilità avrebbe seguito un percorso impervio come quello appena indicato.
Radke è invece dell'opinione che la via Cecilia ricalcasse esattamente, nella prima parte, la vecchia via Salaria; da Ascoli si sarebbe diretta verso Castrum Novum (l'odierna Giulianova) e Hadria (l'odierna Atri). Il prolungamento della Cecilia dunque avrebbe sostanzialmente interessato solamente l'area che in età augustea farà parte della regio V Picenum.
Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]
Via Salaria
Strada maestra del Parco, un tratto oggi turistico della Via Cecilia
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
Giammario Sgattoni, Strade e commerci di ieri e di oggi. Scoperto a Valle San Giovanni un "miliario" della "Via del Batino", in Notizie dell'Economia, Teramo, Camera di Commercio, anno 1993, nn.3-4, pp. 60–66;
Giammario Sgattoni, Strade e commerci di ieri e di oggi. Roma attraversò le montagne per i traffici con Hatria e Interamnia, in Notizie dell'Economia, Teramo, Camera di Commercio, anno 1993, nn.5-6, pp. 97–106;
Valentina Savini e Vincenzo Torrieri, La Via Sacra d'Interamnia alla luce dei recenti scavi, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Abruzzo, Teramo, 2002;
[mostra]Strade romane in epoca imperiale
venerdì 28 luglio 2017
venerdì 23 dicembre 2016
Circolo del MUTUO SOCCORSO di Racalmuto
Perché richiamo questo link socialcuturale sulla FRATELLANZA di Favara? per dire quekcosa di non stantio sull'attuole Circolo del Mutuo Soccorso di Racalmuto.
Il simpatico Pippo con qualche venatura di atavica arroganza crede di suggellare la veridica vicenda storica di questo sodalizio - ove vi fu iscritto mio padre credo per oltre settant'anni - con una ventina di righe battute con una vecchia Olivetti 24; bisluccicano le macchioline di lettere ribattute a correzione su altre lettere. Come chiosa finale ecco apoditticamente la senile affermazione che quelle patetiche venti righe sarebero "la vera storia del 'MUTUO SOCCORSO' di Racalmuto."
Più sapido fulminntee subdolo era stato Sciascia che nelle sue PARROCCHIE vorrebbe il circolo di mio padre nient'altro che una bisca:"i ricchi si trovano nel 'circolo del mutuo soccorso', una società operaia che è venuta trasformandosi, ora ci sono commercianti e industriali del sale ....i galantuomin giocano poco ... Nell'altro circolo invece, nel gioco della zecchinetta che ora i galantuomini disdegnano, corrono milioni."
Note queste che m hanno sempre indispettito. In quest'altro circolo vi sto scritto da mezo secolo e giammai vi ho giocato. Ma il sodalizio ex operaio non bada al sottile e una foto gigante dello scrittore paesano vi domina accanto a San Giusppe con la sua eterna lampada elettrica accesa e l'immagine coreografica di Garibaldi che si crede davvero essere stato in quel tubolento scorcio del 6 Agosto 1873 presidente 'operaio' a Racalmuto.
Noi ne abbiamo scritto su questo nostriìo affezionato circolo che da un secolo non ha nulla di assistenziale e che ebbe a cambiare veste e strati sociali in questo dpoguerra dopo l'infelice costrizione fascista allorchè dovette passare per le forche claudine del dopolavoro in camicia nera.
Non vogliamo, però, qui gigionare oltre a notra gloria letteraria. Ci è capitato in questi giorni di incombenze rievocative del Mutuo Soccorso di reimbatterci con la folta prosa di Eugenio Napoleone Messana. Con nostro scorno ci siamo accorti - tardivamente - che Genio è davvro pregevole nel rievocarne la cronaca.
Ve l'ammassiamo in masterizzazione qui sotto esspimendo il nostro sorpreso plauso.
Il Circolo all'origine fu invero più un luogo di rissa tra i due ceppi egemoni di Racalmuto, nessuno pregevole, e mi riferisco ai Matrona contrapposti ai Tulumello. Ma come puntigliosaente andava annotando il Delegato di P.S. Macaluso faceva da sponda alla "maffia" di Grotte che molto aveva d simile con la FRATELLANZA di Favara. Sfruttamento invero usuraio dei dissennati che scialacquavano i pochi risparmi familiari alla ricerca del nuovo oro giallo, qugli scisti solfiferi sotterra che più o meno sparsi si rinvevano in tutta la plaga a tramontana del paese.
Di tanto mi riservo trattare in altre occasioni.
Calogero Taverna
Fratellanza di Favara
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La Fratellanza di Favara era una cosca mafiosa operante a Favara, in provincia di Agrigento, e nelle zone limitrofe, che si pensa abbia operato fino al 1883.
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•1 Storia
•2 L'attenzione della stampa
•3 Note
•4 Voci correlate
Storia[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1883, grazie all'opera del funzionario di polizia Ermanno Sangiorgi, vennero arrestate più di 200 persone nella zona di Favara per alcuni efferati omicidi compiuti da una misteriosa "setta" chiamata la "Fratellanza". Uno dei capi della "Fratellanza" venne arrestato nell'atto di affiliare due "fratelli" incappucciati e gli fu trovata una copia dei regolamenti dell'associazione. Ne seguì il ritrovamento di decine di scheletri di vittime della "Fratellanza" nascosti in luoghi isolati come grotte, pozzi prosciugati, zolfare dismesse e altre confessioni di alcuni affiliati consentirono il recupero di ulteriori varianti al regolamento della setta, nonché al suo organigramma[1]: uno o più capi-testa comandavano più capidecina, ognuno dei quali aveva sotto di sé non più di dieci affiliati; il rituale di iniziazione avveniva pungendo l'indice dei nuovi membri per poi tingere con il sangue un'immagine sacra, che veniva bruciata mentre l'iniziato recitava una formula di giuramento[2]: tale cerimonia di affiliazione era tipica delle cosche di Palermo, a cui numerosi membri della "Fratellanza" erano stati affiliati nel 1879, durante la prigionia con mafiosi palermitani nel carcere di Ustica[3].
L'attenzione della stampa[modifica | modifica wikitesto]
"Il Secolo", giornale di Milano, il 30 aprile 1883 parlava "della più alta espressione di criminalità organizzata", riferendosi appunto alla Fratellanza. Nel 1885 gli affiliati finirono tutti sotto processo ad Agrigento, ma molti negarono le loro confessioni, sostenendo che avevano confessato sotto tortura, ma alla fine furono tutti condannati ed incarcerati
Il simpatico Pippo con qualche venatura di atavica arroganza crede di suggellare la veridica vicenda storica di questo sodalizio - ove vi fu iscritto mio padre credo per oltre settant'anni - con una ventina di righe battute con una vecchia Olivetti 24; bisluccicano le macchioline di lettere ribattute a correzione su altre lettere. Come chiosa finale ecco apoditticamente la senile affermazione che quelle patetiche venti righe sarebero "la vera storia del 'MUTUO SOCCORSO' di Racalmuto."
Più sapido fulminntee subdolo era stato Sciascia che nelle sue PARROCCHIE vorrebbe il circolo di mio padre nient'altro che una bisca:"i ricchi si trovano nel 'circolo del mutuo soccorso', una società operaia che è venuta trasformandosi, ora ci sono commercianti e industriali del sale ....i galantuomin giocano poco ... Nell'altro circolo invece, nel gioco della zecchinetta che ora i galantuomini disdegnano, corrono milioni."
Note queste che m hanno sempre indispettito. In quest'altro circolo vi sto scritto da mezo secolo e giammai vi ho giocato. Ma il sodalizio ex operaio non bada al sottile e una foto gigante dello scrittore paesano vi domina accanto a San Giusppe con la sua eterna lampada elettrica accesa e l'immagine coreografica di Garibaldi che si crede davvero essere stato in quel tubolento scorcio del 6 Agosto 1873 presidente 'operaio' a Racalmuto.
Noi ne abbiamo scritto su questo nostriìo affezionato circolo che da un secolo non ha nulla di assistenziale e che ebbe a cambiare veste e strati sociali in questo dpoguerra dopo l'infelice costrizione fascista allorchè dovette passare per le forche claudine del dopolavoro in camicia nera.
Non vogliamo, però, qui gigionare oltre a notra gloria letteraria. Ci è capitato in questi giorni di incombenze rievocative del Mutuo Soccorso di reimbatterci con la folta prosa di Eugenio Napoleone Messana. Con nostro scorno ci siamo accorti - tardivamente - che Genio è davvro pregevole nel rievocarne la cronaca.
Ve l'ammassiamo in masterizzazione qui sotto esspimendo il nostro sorpreso plauso.
Il Circolo all'origine fu invero più un luogo di rissa tra i due ceppi egemoni di Racalmuto, nessuno pregevole, e mi riferisco ai Matrona contrapposti ai Tulumello. Ma come puntigliosaente andava annotando il Delegato di P.S. Macaluso faceva da sponda alla "maffia" di Grotte che molto aveva d simile con la FRATELLANZA di Favara. Sfruttamento invero usuraio dei dissennati che scialacquavano i pochi risparmi familiari alla ricerca del nuovo oro giallo, qugli scisti solfiferi sotterra che più o meno sparsi si rinvevano in tutta la plaga a tramontana del paese.
Di tanto mi riservo trattare in altre occasioni.
Calogero Taverna
Fratellanza di Favara
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La Fratellanza di Favara era una cosca mafiosa operante a Favara, in provincia di Agrigento, e nelle zone limitrofe, che si pensa abbia operato fino al 1883.
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•1 Storia
•2 L'attenzione della stampa
•3 Note
•4 Voci correlate
Storia[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1883, grazie all'opera del funzionario di polizia Ermanno Sangiorgi, vennero arrestate più di 200 persone nella zona di Favara per alcuni efferati omicidi compiuti da una misteriosa "setta" chiamata la "Fratellanza". Uno dei capi della "Fratellanza" venne arrestato nell'atto di affiliare due "fratelli" incappucciati e gli fu trovata una copia dei regolamenti dell'associazione. Ne seguì il ritrovamento di decine di scheletri di vittime della "Fratellanza" nascosti in luoghi isolati come grotte, pozzi prosciugati, zolfare dismesse e altre confessioni di alcuni affiliati consentirono il recupero di ulteriori varianti al regolamento della setta, nonché al suo organigramma[1]: uno o più capi-testa comandavano più capidecina, ognuno dei quali aveva sotto di sé non più di dieci affiliati; il rituale di iniziazione avveniva pungendo l'indice dei nuovi membri per poi tingere con il sangue un'immagine sacra, che veniva bruciata mentre l'iniziato recitava una formula di giuramento[2]: tale cerimonia di affiliazione era tipica delle cosche di Palermo, a cui numerosi membri della "Fratellanza" erano stati affiliati nel 1879, durante la prigionia con mafiosi palermitani nel carcere di Ustica[3].
L'attenzione della stampa[modifica | modifica wikitesto]
"Il Secolo", giornale di Milano, il 30 aprile 1883 parlava "della più alta espressione di criminalità organizzata", riferendosi appunto alla Fratellanza. Nel 1885 gli affiliati finirono tutti sotto processo ad Agrigento, ma molti negarono le loro confessioni, sostenendo che avevano confessato sotto tortura, ma alla fine furono tutti condannati ed incarcerati
epocale, dato che l'imprenditoria privata si è come eclissata. spetta agli enti territoriali (comuni, province regioni) inventarsi un ruolo succedaneo: penso ad iniziative parapubbliche, a quelli che un tempo chiamavamo enti pubblici economici.
Gli strumenti giuridici oggi esistenti sono le municipalizzate, le partecipate, le azionarie pubbliche, o a maggioranza pubblica. Per moralismo, per miopia, per moda volerle distruggere mi sa di crimine epocale. Invocare una legislazione più avveduta, più consona alle moderne realtà si può e dico: si deve. Ma lo sfascismo dei moralisti di piazze e piazzette mi sgomenta. Dottore Calogero Taverna
Falci Calogero di Calogero morto sul Carso appena dichiarata la guerra del '15-'18. Era appena ventenne. Non vi è tomba per lui. Per la burocrazia militare è solo un disperso in guerra, magari disertore. Nonostante tre anni di mie lagnanze il Comune di Racalmuto non gli dedica neppure una citazione , un ricordo, una atto di umana pietà.
mercoledì 26 luglio 2017
Lillo Taverna anche noi della Banca d'Italia stiamo molto attenti ai nostri soldi, alla nostra CSR al nostro CASPIE al LORO Fondo Pensioni, alle 'loro' case di banca, alla novella nostra polizza assicurativa. Cose costituzionali? Ma via, tanto sperperatrici - sine titulo - per il conto economico della ambivalente (pubbica o privata secondo le convenienze) impresa di Via Nazionale 91. Calogero Taverna
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Francescantonio Lopriore Cariglia Ciao Lillo, sii più chiaro. Penso che non avremmo nulla di cui preoccuparci, avendo le carte in regola, diversamente dal personale politico nostrano. Di questo e altro perché non vieni a discuterne su yammer in via riservata, anziché qui urbi et orbi? Un caro saluto e buona serata
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Lillo Taverna Non abbiamo per niente le carte in regola. Parola di un superispettore del SECIT e di un ex brillante giovane ispettore capo missione della Vigilanza sulle aziende di credito. Certo ora anche giubilati per sospetta condotta osano persino cacciarmi via dal mio sindacato rosso. Per non farmi parlare. parlare ai quattro bacucchi di yammer a che serve? dottore Calogero Taverna
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Andrea Giacomino Ciao dott. Taverna . Sono il dott. Giacomino Andrea pensionato.hai toccato un tasto che mi interessa molto cioè il nostro fondo pensionistico e le loro case.Cosa c'è dietro l'angolo:? Da quello che so le case di Banca sono state vendute ad una società ...Ver más
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Lillo Taverna Problemi seri da affrontare seriamente. Certo i dirigenti pensionati fedeli prendono la pensione INPS riscattata come non si sa bene dal volpone Occhiuto, una pensione (o sedicente tale) integrativa e per di più quelli cari al Signore 11mila euro al ...Ver más
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Andrea Giacomino Ma può un ente pubblico mettersi in società con una immobilsre è passarle tutto il patrimonio pubblico?Questi stanno cacciando i pensionati per mettere dentro gente che poi non paga gli affitti come ad esempio un Palazzo intero a a. Giovanni è sembra che in tre anni abbiano maturato milioni di.prtfite.
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Lillo Taverna Ma la banca d'Italia è ancora un ente pubblico? Non è più un istituto di emissione. Mi fa un conto economico per distribuire utili ai suoi 'partecipanti'. Se n'è fregata dell'art.19 tremoniatiano ed altre piacevolezze che talora mi diverto a meterre alla berlina. Questa nuova azionaria immobiliare ha rproblemi colossali. Non ne hanno la minima consapevolezza. Credono di essere ancora quel carrozzone dell'Amministraziione degli Stabiili dei miei tempi- Non mi sono ancora procurato il bilanzio DI ESERZIO della BI di quest'anno. Forse mi ci divertirò. Ma siccome sono un arabo materialista credo che mi interesserò d'altro. Calogero Taverna