domenica 4 giugno 2017

mercoledì 3 giugno 2015
quel venerdì che mi ha cambiato la vita


Caldo giugno allora come adesso, venerdì pomeriggio arriva un ordine da Via Nazionale 91: allertare tre ben specifici giovani ispettori della Vigilanza bancaria per un colloquio col signor Governatore nella mitica grande sala del San Sebastianino. Vengono chiamati il futuro direttore generale dottor Enzo De Sario, il siciliano dottor Calogero Taverna, l’impeccabile dottor Piero Izzo. E’ la fine di giugno del 1974. Cose vecchie di 38 anni fa si direbbe, ormai archiviate. Sì, se in questo afoso come allora giugno non avessimo un epilogo (in parte assolutorio, in parte scandalosamente accusatorio) di un viluppo conflittuale tra poteri costituzionali: magistratura e governo dell’economia.

Quel giugno del ’74 si chiuse con un compiacente decreto Sindona, assolutorio di uomini e cose; il corrente giugno ha tappe capovolte: un’assoluzione ormai non più riparatrice ed una salomonica riduzione di pena da parte di togati inidonei a comprendere le superiori leggi che governano i mercati, le borse, l’ordito bancario, la bilancia dei pagamenti, le sorti dell’economia nazionale. De jure condito e de jure condendo precipitiamo tra vacui e perniciosi lacci e laccioli, che miseramente di taglio privatistico soffocano la superiore salvaguardia dell’economia nazionale dell’intera comunità statuale (se lo Stato è ancora un valore).



Nel pomeriggio del venerdì di quell’altro giugno aspettammo a lungo prima di essere ricevuti dal Governatore: lo trovammo costernato oltre misura. La mattina la borsa inglese aveva rubricato le tre banche milanesi che facevano capo a Sindona come “inaffidabili”. A nulla era valso un elogiativo fondo sul Corrierone, a firma Enzo Biagi. Banca Unione e Banca Privata Finanziaria si erano ingolfate in un forsennato intreccio speculativo in cambi ed avevano accumulato perdite stratosferiche. Come?

Banca Unione veniva affidata all’ispettore dott. Enzo De Sario (che poi diverrà direttore generale B.I.). La “Privata” al sottoscritto, esodato anzitempo per incompatibilità politica. Al sottoscritto ebbe a presentarsi dopo pochi giorni dall’inizio della visita ispettiva un nobile banchiere dell’epoca: Clerici di Cavenago. Esibì una carpetta di carte, in parte fogli di un elaborato elettronico, in parte un rendiconto manuale a scalare di c.d. operazioni in cambi.

Mi fu detto che trattavasi di outright a catena andati in male alle varie scadenze, chiusi con swap i cui spot chiudevano l’operazione a termine mentre i forwod rinviavano a data futura gli outright risultati perdenti per irrazionalità dei cambi a termine. I nuovi cambi a termine gonfiavano quelli di mercato per l’inglobamento degli interessi maturati. Naturalmente il discorso mi risultò del tutto ostico. Per riprendermi andai a comprare il don Chischotte e così consolarmi col fatto che il povero Sancio ebbe a rifiutare l’argomento del suo principale il quale lo voleva convincere che non v’era sagrista di Spagna che osasse privare il suo pievano del gusto di infliggergli un buon numero di nerbate.

Resta il fatto che le banche poi finirono, come noto, in malora ma difficilmente riuscireste a trovare in una qualsiasi delle sentenze di condanna un qualche accenno a tali operazioni veramente esiziali per il patrimonio aziendale, causa precipua del dissesto fallimentare.

Eppure di trattava di una speculazione valutaria dell’ordine di $ 3.659.511.933, nonché di DM 2.905.097.000, di Lgs. 10.000.000 e di Frb. 175.000.000 di acquisti a termine contro $ 4.036.975.594, nonché di DM. 1.153.650.000 e di Lgs. 25.000.000 per vendite a termine. E ciò solo per la Banca Privata Finanziaria: vi erano poi le analoghe immani perdite della Banca Unione. Ne parlavo alle pagg. 46-47 del mio rapporto; ne discettava a lungo uno strano libro, SOLDI TRUCCATI, che la Feltrinelli pubblicò il primo gennaio 1980 e, pur andato a ruba, spari incomprensibilmente da tutte le librerie dopo solo pochi giorni. I magistrati di Milano lo ebbero in mano ma non ne fecero niente. Perché non riuscivano a comprendere l’ordito antidoveroso di forte rilevanza penale? Certo allora risultò patriottico non capire, tanto vi era la travolgente vulgata di uno strabiliante concerto mafioso. Sciascia, che un qualche pizzicotto lo ebbe a soffrire in questo dannato caso Sindona, scrisse, sempre sul Corrierone, di professionisti dell’Antimafia.

Senza mezzi termini ci va ora di affermare che quella caterva di operazioni speculative in cambi finiva col determinare alle scadenze un tale sconquasso valutario e borsistico che non poteva non venire registrato dalla Banca d’Italia e dell’UIC. Infatti, le Autorità sapevano. Tacevano? No. Non potevano che essere gli artefici occulti di ciò che ritengo una contro speculazione del concerto delle Banche Centrali (Unione Sovietica in testa). Ma ciò sarebbe acqua passata se la storia non si ripetesse. Ribadiamo che allora le Autorità riuscirono a fare apparire il tutto come una insana diavoleria mafiosa del Sindona. Non era un santo. Se fu suicidato, pace all’anima sua.

Quel che mi interessa è l’attualità. Allora di questa dissennata speculazione valutaria la magistratura non capì o non le fu fatto capire alcunché. Non vi è un accenno nelle sentenze delle varie condanne. Eppure avevano (tra l’altro) il mio rapporto ispettivo. Eppure potevano leggere il libro Soldi truccati, ove l’aspetto valutario del crack Sindona è tutto spiattellato.

Oggi una domanda si impone: perché allora tanta sonnolenza mentale della magistratura milanese e perché invece oggi si inventano colpe immaginarie di intelligenti, saggi, avveduti grand commis dello Stato. Il Governatore della Banca d’Italia ha mansioni costituzionali di difesa della moneta, e di avvedutezza nel sovrintendere alla politica bancaria. Il Governatore è anche il banchiere dei banchieri: deve agire in armonia con le peculiarità dei mercati e delle borse, necessariamente aperti alle aggressioni speculative mondiali. Se è impari, perché astretto dai lacci e laccioli di cui parlava Carli, beh! povera economia finanziaria nazionale.

Ed un Governatore non può non servirsi di banchieri ultra abili e competenti, anche arditi nel contrastare i callidi giochi degli speculatori esteri e soprattutto “estero-vestiti”. La calata degli Unni non si rintuzza con l’ottusità del perbenismo togato. Non vi sarà più la Costituzione Materiale con cui inventare la “rilevanza” della Banca d’Italia a livello della legge suprema, ma ogni suo connesso fatto va visto alla luce del riflesso costituzionale visto che in definitiva si tratta di apicali Autorità monetarie. Una gretta osservanza di regolette di diritto privato possono significare inadempienza istituzionale ben più colpevole.



Calogero Taverna

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