domenica 26 giugno 2016

giovedì 26 gennaio 2012

" Piero Baiamonte: il pittore viola" di Calogero Taverna microstorico racalmutese

Calogero Taverna
di Calogero Taverna 

Ombre fluttuanti che ai miei occhi appariste …. esordiva Goethe nel suo Faust. Quale giovinezza pretese Piero Baiamonte, varcato il semisecolare traguardo anagrafico, al concilio dei demoni per un ripristino della sua Vis nell’arte? non credo a Lucifero, forse a Baal, escludo Mammona … ma sicuro Eros. Allora eccoci a Michail  Bulgakov, al Maestro e Margherita, dunque. E mi leggo, per mio solo intendimento: «Ivan studiò la situazione. Tre vie gli si aprivano davanti. La prima: … gettarsi contro quelle lampade e quegli oggettini bizzarri, spaccare tutto ed esprimere così la sua protesta …[ma] la prima via gli sembrò dubbia: magari in loro si sarebbe radicata l’idea che lui era un pazzo furioso. … una seconda: cominciare subito a parlare del consulente e di Ponzio Pilato  però l’esperienza passata dimostrava che a quel racconto non prestavano fede, oppure lo interpretavano in modo svisato. Perciò Ivan rinunciò anche a questa via, e scelse la terza: chiudersi in un orgoglioso silenzio.» [O.C., Einaudi, 1967, pag. 83]. Ed a me davvero sembra che ad un tratto Pietro Baiamonte dette un taglio al passato.
Piero Baiamonte
Leggete le sue note biografiche e vi convincerete: «dopo un lungo percorso» ecco che «approda a un raffinato concetto di ¨nuovo figurativo¨» e cioè per «raggiungere un risultato inedito».
Come dire che l’artista ha ora in serbo un “nuovo segreto”, quello sciasciano, quello che “ogni artista vero” profonde poi nella sua opera che “tanto più è segreta, esclusiva da scoprire come nell’intimità e continuità di un colloquio, quanto più appare aperta ed immediata.”  
Se ne ha ora una testimonianza con la recente mostra nel racalmutesissimo Castello Chiaramontano. Diamone qui una panoramica per coglierne il senso. 
La triade femminea, il riposo muliebre, l’evanescenza dopo il sogno e, nelle nostre foto, l’indistinto di quella che a me va di chiamare “efebeia gunaichea”.  Siamo nel raptus deliquescente per acquisire ancora il gioioso rinvigorire dell’altra. Ed è come una rincorsa ed una fuga, un seguire chi velocemente si allontana, salendo sui gradini di una chiesa, la vetusta ma non antichissima chiesa di San Giuseppe, come icasticamente la cinepresa di Baiamonte ci addita nel video proposto in F.B.
Il demoniaco patto con Eros dunque, per il ritorno agli ardori giovanili? Perché no?
Di questi tempi, dilettandomi di psicanalisi, ed invischiato nelle teoriche mediche e psico-mediche di Georg Groddech e riguardandomi a ritroso, ma parlo di un trentennio addietro, vedo un irrefrenabile aggancio alla vita,  una creatività che scaturisce da un’ambiguità esistenziale quando si comincia a temere la morte (mirate quella sincronia con dipinti e materie evocative di Thanatos - con Eros la diade  freudiana - cui Baiamonte troppo indulge nelle sue foto di F.B.); del tempo in cui ci si  ingorga nelle esplosioni gioiose, pittoriche, appunto; e dietro l’umana aggressività per un fomite liberatorio della pervadente sofferenza. Certo vi sono tanti istinti repressi che esplodono e diventano catarsi cromatica, ora persino raffigurativa, ora persino supplice, ora persino propiziatrice, ora persino sognante. E dietro ancora un’evanescente enfasi esistenziale che esplode in un rimembrato URLO che è poi l’EGO che censura l’ES; ma l’ES reagisce, si difende offendendo sprigionando mali fisici, psichici ed anche politici, sociali, culturali. Insomma l’eco di quanto sta avvenendo nella comunità racalmutese, mai così prospera come adesso, mai così culturalmente viva, mai così aliena dalle ancestrali accidie. Eppure tutti a cantare il de profundis, tanti, anche penne elette, prodighi nella denigrazione, nell’oscuramento di ogni attrattiva turistica. Ed i piccoli, gli insignificanti, i balbuzienti della più radicale incultura, i sorpassati, i beceri, gli ignoranti integrali che tutto credono di sapere insegnare, e via discorrendo; quelli insomma che salgono in cattedra, che propinano sentenze, che deridono i presunti eccessi linguistici quasi questi volessero trasformare le dialettali tribune locali in palliativi dell’accademia della Crusca. Ignari che la tranquilla coscienza (loro) è solo figlia di pessima memoria, e si atteggiano a superiori censori della piccole macule altrui, anche se loro cognati.
Già, l’ES racalmutese che vuole atterrire cautelarmene il superiore EGO racalmutese, quello cosciente di questo sublime movimento artistico all’Agnello, al Rizzo, all’Amato, e per noi soprattutto alla Baiamonte e ad altri, a tanti altri, anche in altri campi, dalla musica alla letteratura, dal giornalismo e persino, seppure osteggiata, alla imprenditorialità. L’URLO di MUNCH è quello di questi signori dell’autofragellazione  o è il mio? Credetemi, cari racalmutesi e cari amici di Racalmuto sparsi per il mondo, la mia ottuagenaria saggezza non può sbagliare: per il futuro di Racalmuto la dea ragione mi sorride. Pensate che Racalmuto non è più la Regalpetra sciasciana degli anni’50. Ora tutto è salubre; rispetto al resto d’Italia, il benessere non scema. Vi sono certo problemi, come in ogni parte del mondo, ma sono i problemi della crescita capitalistica (purtroppo per il mio credo politico, ma non sono masochista).  La mafia, la corruzione, la disoccupazione giovanile, chi non le vede? ma quanta enfatizzazione in un caso, quanta parva materia  nell’altro campo, quanto lavoro nero ove si stempera e si camuffa la disoccupazione. Problemi più di evasione fiscale, che altro. E la droga? Quello è un gran male. Ne facevo un’agghiacciante denunzia in una mia inchiesta televisiva di otto anni fa. Mi inquietavano certi murales (oh! l’estro pittorico racalmutese), ove si invocava protezione, protezione dallo “sballo”. Quegli stessi murales li ho ritrovati questa estate negli abbandonati, ma con porte ultra serrate, casamenti ex Mulè del Castello Chiaramontano. Come hanno fatto i giovani ad infilarsi in quei tetri alloggiamenti? Non ha vigilato nessuno? E qui davvero mi aspetto l’azione purificatrice della triade di Diomede!
Ma torniamo alla pittura, alla ammaliante pittura della nouvelle vague  di Piero: Niente più echi di Fontana, Burri, Manzone. Forse secondo qualche erudito un richiamo a Matisse (e poi diremo perché). 
Siamo nel figurativo pieno, quale si addice alla solarità di questa nostra iridescente terra, ove vi sono troppi accattivanti colori, troppa luce scintillante, ove talora anche i Nebrodi innevati ci traslano in decantate località ultramontane. Perché astrarsi. E poi noi racalmutesi, con il DNA dei Sicani, con le stimmate mirabilmente raffigurative dei Greci (dei Gheloi, per intenderci), con le malie museali dei bizantini (sempre grecofoni) amiamo le immagini, il figurativo, e ci sentiamo estranei alle arditezze simboliste, metafisiche, persino futuriste, e non siamo dadaisti. Ci piace sognare il vero, amiamo il riflesso del volto muliebre, se maschi, se donne – che pare a Racalmuto amano ora sposarsi spiritualmente, cattolicamente fra loro – non so, mi manca l’acre impetuosità dell’efebeia gunaichea per capirle. Ma questo sguardo tortuoso eppure limpido, questa corvinità della folta chioma, quel socchiudere le labbra tinte di carminio, quel naso camuso, quel non essere efebica, e quel poggiare il capo in un fondale viola, ha tanti tantissimi empiti della facies locale, racalmutese, genuinamente racalmutese. Il viola? Quest’autunno peregrinando per li Fiumeti, ai bordi della strada asfaltata, d’improvviso scorgo una “troffa” di splendidi fiori viola. Una colonia di Giaggioli cui i riverberi del sole autunnale racalmutese conferiva la magia cromatica della inimitabilità. E qui Baiamonte, non so quanto consapevolmente, quel colore tutto indigeno, tutto nostro, ancestralmente nostro, coglie e sa cogliere, per ridarcelo integro ed ammaliante in questo ammirevole ritratto femmineo.
Mi sono allora chiesto, quanto di racalmutese c’è in Pietro Baiamonte? Mio padre, grande ammiratore della famiglia Baiamone, così svettante anche fisicamente sui racalmutesi, mi parlava spesso della loro provenienza da Catenanuova. Ma credo, si sbagliasse. Certo i Baiamonte, non li trovo né nel ‘500, né nel’600, né nel ‘700 tra le carte dell’archivio parrocchiale della Matrice (che io custodisco in 20 CD, ad onta degli attuali giansenismi preteschi). Trovo invece, dopo una superficiale e frettolosa ricerca, un GASPARE BAIAMONTE sposato con Calogera Zaffuto a cui i preti battezzano il figlio PIETRO il 3 marzo del 1888. Vi mostro il foglio del registro battesimale racalmutese:

 Miei cari concittadini, vi pare giusto che un patrimonio archivistico, di cui vi ho fornito un fotogramma tratto da quei 20 cd sopra citati, resti negletto ed abbandonato nelle mie mani, per finire ai miei eredi non tutti racalmutesi, e questo perché il sovrintendente alla cultura locale, per antico astio nei miei confronti, ha convinto l’autorità apicale a dichiarare  ECCLESIA inidonea a percepire un qualche contributo volto alla realizzazione di un archivio storico racalmutese, come si sa vulnerato dai moti rivoluzionari racalmutesi del 1862? Quando il Commissario mi propinò il rigetto della mia domanda, certamente non sussiegosamente pitocca, lo invitai ad assidersi tra i numero tre. Certo non basta un localetto ove depositare i CD, occorrono laboratori, programmi informatici, esperti in paleografia (quello che vedete è già arduo di per sé, figuratevi le altre carte del ‘500 e del ‘600  per non parlare della carte vaticane sempre in mio possesso che risalgono al semionciale del ‘300?. Ma ciò non dà pane, dicono gli imbecilli. Ciò non è priorità del difficile momento che stiamo attraversando, aggiungono con sussiego argomentativo. Sì trattasse di un salice piangente  alla Barona (che mi pare indebitamente tagliato da chi ora piange per ripiantarlo) allora sì che sarebbe una priorità (forse perché lo fornirebbe lui, a caro prezzo). E sapete la rabbia mia, perché, per la mia precorsa attività, so bene quanti fondi europei e regionali si potrebbero convogliare a Racalmuto e quanto lavoro per cooperative (serie) di giovani e di universitari ne scaturirebbe. Ma la Triade di Diomede uno sguardo a queste faccenduole assistenziali ce l’ha dato?
 Vi è una mirabile pagina di Sciascia (in Amici della Noce) in cui, in uno dei rarissimi scisti erotici del grande Scrittore, questi scrive e descrive il dirimpettaio casino dei Matrona e l’immaginario bivaccare di ignude matrone tizianesche per i prati antistanti. Son sicuro che se Sciascia avesse visto questo ritratto, questa nostrana Maja Vestida (a dire il vero non troppo) con questo inebriante rosso, vi avrebbe colto l’immagine di una di quelle ericine sognate, mirabili alla luce del sole occiduo della Noce. A me fa lo stesso effetto della  LUDOVICA ALBERTONI di GIAN LORENZO BERNINI quando vado, qui a Roma, nella chiesa di San Francesco a Ripa, nel cui convento un francescano, forse racalmutese, portò un testo del nostro Marco Antonio Alajmo  autografandolo. 
Trascrivo da chi sa scrivere meglio di me e con competenza: Matisse nel  «ritratto con la linea verde [usa] colori “irrealistici” eppure funzionali, come dimostrano l’irreale linea verde che taglia in due il viso conferendogli rilievo (perché costituisce quasi un crinale divisorio, che sporgendo in avanti, modifica l’incidenza della luce sulle due parti dell’ovale) ed il risalto luminoso del viso stesso, determinato dall’accostamento dei suoi colori chiari  con quelli della veste, del fondo e, soprattutto, della massa dei capelli che lo incorniciano e degli occhi profondi … Il senso profondo di questa scelta pittorica è la volontà di tradurre la percezione emotiva della realtà, senza neppure l’elementare mediazione logica dei sensi; immediatamente, dunque, per potere così legare l’immagine allo stato  percettivo-emotivo nel momento stesso del primo impatto.»  [Piero Adorno-Adriana Mastrangelo, Segni d’arte 4, Messina-Firenze,  2007, pagg. 24-25] 
Siamo i primi a dichiararlo: la cifra pittorica di Baiamonte è ben altra; ma nessuno può negare le affinità. Essere accostati a Matisse, poi, non credo che sia un affronto.
Ma noi che pittori non siamo, che siamo anzi daltonici e i colori ce le facciamo dire da chi ci sta vicino, abbiamo, come si è visto, intenti ben diversi da  quelli della critica d’arte. Riguardiamo ad esempio il giallo dei ritratti di Baiamonte. Ci richiamano quella nostra scoperta di tanti anni fa, di un fiore giallo sbocciato in autunno sotto la grotta di fra Diego. Pensavo al crocus, ma fui corretto dal Linneo Racalmutese: mi disse il nome latino ed in un primo momento parlò di Zafferano falso. Trascrivo dal sogno taverniano che REGALPETRA LIBERA pubblicherà se potrà: 
Ecco il suo vero nome:

Sternbergia lutea (falso zafferano)

L’avevo scambiato per crocus ed invece è pianta medicinale.


N.B. Noi non siamo botanici. Ci siamo quindi rivolti al Linneo racalmutese che questa specifica ci aveva dato. Pare che ora, dicembre 2011, abbia cambiato idea. Da modesti navigatori abbiamo fatto i debiti riscontri e siamo arrivati alla convinzione che anche allora era tutto esatto. Persistiamo dunque nell’errore!

 Aggiungo: pensate cosa hanno fatto dello zafferano, per esempio, ad Aquila. Quello nostro, con quel giallo succhiato dalle falde solfifere racalmutesi, è unico e prezioso. Culture estensive darebbero pane e companatico. Ma l’accidia, quella sì, è tabe inguaribile in questo paese del sale e dello zolfo.  
Pierino Baiamonte con la starnbergia lutea non c’azzecca proprio, direbbe qualcuno. Sarà, ma a me serve per dichiarare ed esaltare la racalmutesudine di Pietro Baiamone, pittore del luogo che viene da lontano ed andrà lontano, specie se Racalmuto smette di divorare i suoi figli migliori.
Baiamonte racalmutese, dunque? Non del tutto. Il suo cognome – ignoto, come detto, nei secoli antecedenti l’Ottocento - suona normanno, direi angioino. Rientra nella schiera di quei seguaci di Carlo d’Angiò che sciamarono in Sicilia, dichiarandosi pari al re, suoi compagni, Comites, come dire Conti. Si appropriarono di terre e castelli, ma ebbero, dopo, vita grama sotto i signori dell’avava povertà di Catalogna per dirla con Dante e con Sciascia. Asserragliatisi nelle località con il DNA Siculo, sopraffattore del nostro DNA sicano, non furono molto stanziali. I Baiamonte, comunque, solo nell’Ottocento lasciarono la Piana di Catania per giungere sino a noi, qui a Racalmuto, in tempi di esplosione economica dovuta ai nuovi sistemi di sfruttamento dello zolfo, trovato in abbondanza sotto i superficiali strati subito esauritisi. I Baiamonte, comunque, a Racalmuto trovarono fedelissime mogli e da queste ebbero figli, che per via materna risalgono alle propaggini sicano-greche locali di cui siamo e dobbiamo essere orgogliosi. (Calogero Taverna)

1 commento:

  1. Piero Baiamonte
    la Sua recensione più che un commento mi sembra un "uso" della mia attività (artistica) per esternare, con un proprio esercizio intellettuale, propri concetti e riflessioni con l'aggiunta di sue personali "situazioni" in merito alla mancata accettazione da parte del Comune di un non meglio precisato archivio in suo possesso - ma va bene così l'Arte come la pubblicazione giornalistica è libera.



    Calogero Taverna
    Mi ha molto sorpreso il suo rammarico. Guardi che ho cercato di contattarla per terra e per mare inutilmente o per carenza dei canali o per sordità di chi non voleva sdentire. Non ho bisogno di nessuno o di qualcosa per scoccare i miei aculei polemici. I miei intenti: più chiafro del mio commento in REGALéETRA LIBERA non potevo essere. Ed ancora di più se Sergio pubblica il secondo mio commento- Lei non sa che cosa sia il mio archivio: lo sa bene però il suo amkico Volpe, lasciando senza risposta una richiesta di Ecclesia mentre venivano erogate 500 euro dalle esauste casse, destinati a celebrare tra pochi avventori un sedicente scjultore. Non parlo poi dell'istanza relativa al museo ecclesiale al Chiaramontano, chiosata in esordia dai due capigruppo consiliari più rappresentativi (ma quersto forse le dà fastidio potendo affievolire il suo attuale effimero impero). Purtroppo la mia fuorviante critica l'ha lanciata in ambienti artistici d'alto prestigio a lei per ora occlusi. Gratitudine: guai a chi ne accansa il diritto, conquista solo un nemico. E quanto ad amicizie, lei non sa quanti fascisti attuali si paluderanno degli orpelli partigiani, fra qualche mese. Perchè, come scrivo in più luoghi, a maggio non si va a votare. La triade di Diomede saprà bene comportarsi, forse anche perché stuzzicata da me.
 
 
 
IL MESSANA A RIESI nel 1919 
 
 
 
Riesi alla fine del 1919 era divenuta unna ingovernabile terra di rivolta socialista. Era nata una coscienza di classe nel ceto contadino. E una figura di capopopolo, più fomentatore di disordini che responsabile politico, Giuseppe Butera, dominava incontrastato quel piccolo ma ribelle popolo agricolo. Così almeno ce lo descrive un suo conterraneo, il Ferri,  in un libro di memorie che con tanti limiti ci pare faccia un notevole resoconto microstorico di quella Rieri, Leggiamolo:
"I contadini rientravano la sera nel paese in fila, soddisfatti delle loro operazioni, rincasati , appena presi un boccone, tutti alla Sede socialista per la conferenza del Butera. L'indomani punto e da capo, le solite agitazioni. Il conferenziere faceva sentire le sue minacce, tuonando contro il Governo di allora  E i Carabinieri non facevano nulla.
 
Impavido, imperterrito, Giuseppe Butera si considerava padrone, Oltre i battimano e gli applausi che riscuoteva, dalla folla, egli era portato a spalla, alimentando la sua bocca di ciambelle e dolci."
 
Era sorta insomma la svolta della terra ai contadini. C'era di mezzo il feudo Palladio dei Principi Fuentes, dato peraltro in gabella. L'occupazione di quelle terre divenne obiettivo d parte delle masse di contadini in condizioni economiche disastrose. Gli agitatori avevano facile presa.
 
A Caltanissetta una prefettura in mano ad un funzionario dalle visioni reazionarie, quando ancora la questura era tutta da istituire come organo autonomo, operava  piuttosto disorientata per il cambiamento governativo. Vi era stato il passaggio da Vittorio Emanuele Orlando e Francesco Saverio Nitti. Per il nostro cronista, in piena epoca fascista, ma piuttosto contemporaneo, Nitti sarebbe stato a capo di un "Governo deplorevole" forse solo perché "aveva   dato la mano larga ai socialisti".
A Caltanissetta aveva forte peso l'on. Pasqualino che mi pare anche lui disorientato, pronto da buon trasformista di saltare sul carro del vero vincitore. Egli era di Riesi ma si mostra piuttosto perplesso sul da farsi. Scenderà a sedare gli animi ma dopo che si erano consumati i fatti delittuosi che si verificarono in quella domenica del 9 ottobre del 1919. Il Pasqualino, radicle moto annacquato, approderà in un primo tempo in campo fascista ma poi si ritirerà a vita privata, a fare con successo,  l'avvocato di grido. 
Avere una strategia per ristabilire l'ordine pubblico senza reprimere i moti contadini non era agevole. E non ci are che quei rappresentati nisseni dello Stato Nittiano  fossero all'altezza.
 
 
Messo in galera il Butera, ecco giungere a Riesi un agitatore di professione, tale Angilella che così ce lo descrive il Ferri: "uno spoetato socialista. piovutoci non si sa da dove.  Costui   predicando a squarciagola, diceva di farla finita con i signori proprietari invitando i cittadini ad armarsi, gli operai di tenersi pronti per la rivoluzione."
  
 
 Nel capoluogo nisseno non seppero fare altro che, vista la inettitudine dell'Arma dei Carabinieri, usare le forze dell'esercito dotandole di mitragliatrici. Ad appoggiarle scelsero un novellino, il Messana ancora Vice Commissario in Mussomeli.
Calogero Taverna
 
[continua]
 


Signora Cernigoi,

magari credendosi insolentita da me mi ha insolentito oltre misura. Me la son presa a ridere: non potevo avere un blog che guarda caso ha visitazioni milionarie in mezzo mondo sol perché diminutivamente quando ero fanciullo mi chiamavano Lillo anziché Calogero come in anagrafe.




Lei si è avventurata in ricerche storiche più grandi di lei e ha creduto di suonar la grancassa della denigrazione di Ettore Messana in base ad un paio di documenti (di diversa natura e portata) non coonestandoli, non decriptandoli, non storicizzandoli.



Li ha passati al defunto Giuseppe Casarrubea che gli servivano a puntino nella sua rabbia blasfema contro l'innocente Grande Ufficiale, comm. di San Maurizio e San Lazzaro dottore Ettore Messana, titanica figura dell'ordine pubblico nazionale dal 1919 sino alla sua morte. (11 novembre 1963).



Vuole che le riporti sue espressioni laide e calunniatrici?. Lasciamo perdere. Lei è in buona fede, ma obiettivamente ha calunniato un grande servitore dello Stato Italiano.



Lei scrive che l'Italia Fascista il 6/4/'41 “invase la Jugoslavia”. Se fosse una seria storica non sarebbe stata tanto disinvolta ed ingenua. Quella fu faccenda intricata e ambigua che fa tremare le vene e i polsi ai maestri della Storia d'Italia. Aggiunge on supponenza tutta femminile: “in perfetto accordo con l'esercito di Hitler”. Diciamo: impudente e disinformata superficialità?



Non mi pare che lei poi sia molto ferrata nell'uso corretto dei terribili gerundi: “creando la 'provincia di Lubiana e mettendo ai posti di comando dei propri funzionari”. Tra la conquista dell'intera Jugoslavia e la costituzione della Provincia italiana di Lubiana quel gerundio al presente, in contemporanea, grida vendetta al cospetto del dio della giusto uso della lingua italiana. Se Gerbìno l'aggredisce – ma non ne condivido il tono volgare e offensivo – qualche ragione forse ce l'ha.



Mi consenta:: istituita la Provincia di Lubiana Mussolini chi ci doveva mandare a governarla? Degli stranieri?



C'era da nominare ANCHE un questore e in quella cajenna fu destinato Ettore Messana di Racalmuto, classe 1884.



Per premio? No, signora. Messana da tempo doveva fare il questore a Palermo, ma in odio ai fascisti, venne messo in salamoia e quindi sballottato a Lubiana. Ma vi stette solo un anno un mese e giorni perché inviso ai tedeschi, non sopportato dall'esercito, e calunniato dai veri padroni di Lubiana, il prefetto Tamburini e il Federale, che in effetti si era arrogata la gestione dell'ordine pubblica come comprova l'ampia documentazione da me reperita all'ACS. Lei ovvio non si è data pena di appurare, consultare, ricercare, sondare. Diciamo che lei non è una storica e la chiudiamo qui?



Sì, verso giugno del 1942 arriva come ispettore Gueli, dalla Sicilia, repressore della mafia più e secondo me meglio di Mori. Doveva essere amico di Messana secondo le malelingue dell'ANPI di Palermo e del locupletante comune di Riesi; ma guarda caso lo fa promuovere Ispettore Generale di PS e lo sballotta in subordine a Trieste ove svolge umilianti incarichi in subordine quasi da capostazione come dimostra certa documentazione del Casarrubea deturpata da un sedicente storico di nome Cono e fanfaronata da un avvocato in disuso di Malgrado Tutto.



Le cose a Lubiana quando si incattiviscono e di brutto? Quando Messana non c'è più: nel luglio del 1942. E chi lo dice? Le cito questo passo di un libro agghiacciante uscito in Italia di recente ( Slovenia 1945, Le/guerre – Jon Corsellis- Marcus Ferrar – 2008 pag.46): “Nella zona italiana, che fu dichiarata parte integrante dell'Italia, l'immagine dei gentili e romantici soldati italiani si rivelò un mito. Nell'agosto del 1942 il generale comandante Mario Roatta espose sommariamente al suo stato maggiore, una linea politica fondata sulla deportazione indiscriminata degli abitanti dei villaggi sloveni, uomini, donne e bambini, sospettati di proteggere i partigiani: 'Non preoccupatevi se fra gi espulsi ci sono persone innocenti: Le operazioni devono essere brevi ed efficaci. Se necessario, non esitate ad essere spietati. Dev'essere una pulizia totale. Dobbiamo internare tutti gli abitanti, sostituendoli con famiglie italiane, famiglie di soldati morti o feriti'.”



E Messana dov'era Signora mia? In quell'agosto Messana stava già neghittoso e subordinato pur con un grado elevatissimo a Trieste. E Messana all'inizio a Lubiana apparteneva a quella corrente che voleva far prospera quella novella provincia italiana. Ma non ebbe fortuna: fu in forte attrito con il Prefetto Tamburini, con il Federale Grazioli e soprattutto con l'esercito incattivito per i tanti morti che i partigiani sulle montagne procuravano. Lo storico Sala comprova quanto qui detto.



Ma soprattutto sarà Senise, come spiegherò meglio dopo, che conferma e tratteggia una figura di grande dignità quanto al Racalmutese Messana. Lei non dico che doveva consultare i testo del 1946, che invero si trovava nelle biblioteche più assortite, come dice di avere fatto il Coco, che però o non capisce o distorce per amore di tesi preconcette e succube.



Ma nel 2012 Mursia pubblica quel vecchio testo ( (Cermine Senise – Quando ero capo della polizia – 1940-19439). Siccome mi insolentisce un paio di anni fa doveva per lo meno contestarmi la validità di giudizi come ad esempio questo:



“Messana ... non aveva prprio l'animo del fascista”.



E quindi il giudizio dello ”energico e assai intelligente ispettore generale, il famoso Cocchia” per il quale piena era la “buonafede del questore Messana”, mentre non altrettanto si poteva dire del “segretario federale e del prefetto che aveva fatto non meno baccano del federale”. Secondo Senise e Coccia, costoro “erano stati tratti in inganno da quei due o tre funzionari infedeli, che si erano macchiati della calunniosa delazione in odio al loro superiore, uomo energico e rigoroso”.



E questo lusinghiero giudizio attiene a quel Messana che penso poi per vendetta denigrato calunniato e svillaneggiato da quel Ricciardelli che le sta tanto a cuore cara Signora Cernigoi.



In proposito cosa mai lei ha appurato, cercato, trovato? E così vuol far storia'. Lei calunnia gentile signora. (Continua).






sabato 25 giugno 2016

la mia Baccarecce









Taverna ha condiviso il suo post.
Lillo Taverna
Ed invero quel treno da Trieste a cui il Messana, ridotto a capostazione per il suo sospetto antifascismo, portava a Pisticci. Per caso ti sei o dovresti essere di religione ortodossa?
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Lillo Taverna
Adesso
Nonno mio simpaticisimo, spero che non dica sul serio.Noi abbiamo avuto una patrimoniale surrettizia del 50% per entrare. Abbiamo ora voglia di pagare un'altra patrimoniale del 50% per uscirne. E poi non avere neppure valuta pregiata per pagarci la benzina domenicale come in certi tempi che ben ricordo.
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Lillo Taverna
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Lillo Taverna e Luigi Nonno Vasco hanno condiviso il post di Luigi Nonno Vasco.
Hey in questo mondo di ladri c'è ancora un gruppo di amici che non si arrendono mai Hey in questo mondo di santi il nostro cuore rapito da mille profeti e da...
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  • GRAZIE INGHILTERRA...SPERIAMO CHE SI CONTINUI...NONNO VASCO..
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    Lillo Taverna Nonno mio simpaticisimo, spero che non dica sul serio.Noi abbiamo avuto una patrimoniale surrettizia del 50% per entrare. Abbiamo ora voglia di pagare un'altra patrimoniale del 50% per uscirne. E poi non avere neppure valuta pregiata per pagarci la benzina domenicale come in certi tempi che ben ricordo.
    Lillo Taverna Nonno mio simpaticisimo, spero che non dica sul serio.Noi abbiamo avuto una patrimoniale surrettizia del 50% per entrare. Abbiamo ora voglia di pagare un'altra patrimoniale del 50% per uscirne. E poi non avere neppure valuta pregiata per pagarci la benzina domenicale come in certi tempi che ben ricordo.
ncesco D'Amico ...associazione (meglio ricordarsi) incidentalmente riconducibile all'esponente del PD Renato Ienaro, il quale ha firmato e presentato il suddetto esposto appena poche ore prima della chiusura della campagna elettorale e dell'inizio del conseguente periodo di silenzio.
Assunta Russo Sterile precisazione. Il falso c'è. Il bue dice sempre all'asino: cornuto ...
Lillo Taverna
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Lillo Taverna Quando si crede di essere legottimati ad infierire contro i propri avversari sulla base di labili sospetti o di torernziali incrizioni sul libri degi indagati perhé in vena di gloria certi inquisitori in toga dell'epoca Due Mila, si ferisce e chi di coltel ferisce di coltel perisce. Se la Raggi viene dalla scuola di Previti, ove vuole andare? Ha infangato tanta gente?
Lillo Taverna E poi se questo è il nuovo, allora io non so cosa sia il vechio. (Il guaio è che so di saperlo per olre sessanti'anni di ricerche e di esperienze). Già il solito Gattopardo: bsogna che tutto cambi perchè tutto resti com'è): Roma poi è terribile nel fare evaporare tutti codesti moralisti senza cultura politica: da Rutelli a Vetroni; da Alemanno (già quel grande astro nascente dell'incipit novus ordo ultra fascista) a Marino e tra breve alla candida fanciulla un po' bugiarda quanto alle sgraffignature di Civitavecchia.