martedì 4 ottobre 2016

martedì 18 giugno 2013

Storia Religiosa di Racalmuto

Calogero Taverna
 
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“STORIA RELIGIOSA DI RACALMUTO”
Studi e ricerche
 
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PRIMA DELLA STORIA

Racalmuto si affaccia sulla ribalta della storia - quella almeno documentata - molto tardi: bisogna attendere il 1271 per imbattersi in un diploma angioino ove il casale della diocesi di Agrigento è segnato in termini tali da non lasciare troppi dubbi sulla esistenza del paese. Prima, affiorano solo cenni o spunti che soltanto in via congetturale possono portare a questo centro dall’incerto nome arabo di Racalmuto.
Il toponimo “Racel ...”, ad evidenza corrotto ed incompleto, che trovasi nelle cronache del Malaterra, è da riferire secondo alcuni a questo  centro dell’agrigentino: di conseguenza esso sarebbe uno dei dodici borghi arabi soggiogati, violati e ricristianizzati dai lancieri di Ruggero il Normanno, nell’aggiramento per la conquista della Ghirgent di Kamuth. E Racalmuto nient’altro sarebbe che “Racal-Kamut”, Borgo o Fortezza di Kamuth - come del resto lascia trapelare la grafia del toponimo nel diploma del XIII secolo che si custodiva a Napoli, negli archivi angioini.
Altri si ostina a collegare una delle località descritte dal geografo Edrisi, Gardutah, con Racalmuto (come se si trattasse di una corrotta trascrizione del fonema dialettale “Racarmutu”). Altri come Eugenio Messana, invece, reputa che il toponimo Al Minshar sempre dell’Edrisi non sia nient’altro che il Castelluccio.
Non manca certo l’erudizione, ma ci troviamo di fronte solo  a vaghe congetture.
Noi, invece, restiamo presi da quanto afferma un archeologo del valore di Biagio Pace che, forse un po’ troppo avvalorando il nostro Tinebra Martorana, propende per la tesi secondo la quale le Grotticelle, sotto la contrada del Giudeo, sarebbero state adattate, nei tempi bizantini prossimi al papa Gregorio Magno, ad ipogeo cristiano.
E sulle ali dell’entusiasmo archeologico, avremmo voglia di ritenere che quella crocetta che è marcata in una Tegula Sulphuris, di cui parla qualche archeologo, stia ad indicare una presenza cristiana a Racalmuto addirittura sotto l’imperatore Commodo. Quelle Tegule - così approssimativamente denominate dal Mommsen - venivano fabbricate e vendute nel quartiere ellenico di Agrigento, ma il loro uso riguardava di sicuro le miniere di zolfo di Racalmuto - quelle della zona di Quattro Finaiti e dintorni. Secondo studi attendibili, questo avvenne sotto l’imperatore Commodo. Forse un liberto cristiano fu inviato nelle officine zolfifere imperiali della nostra terra e nelle sue Tegulae - le antenate delle moderne ‘gavite’ - fece incidere il segno della sua fede: la piccola croce che non è sfuggita agli archeologi della nostra epoca. Se è così, la presenza cristiana a Racalmuto è antichissima, quasi una predestinazione, un pionierismo i cui meriti si sono protratti nei millenni. Racalmuto è stata una chiesa salda nella fede: giammai vi ha attecchito la mala pianta dell’eresia: qualche presenza massone alla fine dell’Ottocento ha rappresentato semplicemente lo snobismo di qualche ex seminarista alla ricerca di intime rivincite o di moti liberatori da psicoanalitici complessi. Diversamente che da Grotte, qui da noi mai si sono avuti fomiti scismatici e giammai si sono espanse sette eretiche. La vicenda emblematica di Fra’ Diego La Matina ci appare un fervido parto letterario del pur grande Leonardo Sciascia. Lo scrittore diede enfasi alle dubbie affermazioni di un cronista secentesco e prese alla lettera accuse palesemente rigonfiate. Un Fra’ Diego La Matina autore di libelli eretici è ipotesi infondata e comunque non potuta documentare dallo Sciascia. A noi risulta, invece, che un chierico di tal nome dimorasse nel 1660 e rigorosamente assolvesse al precetto pasquale. Lo attesta la più antica ‘Numerazione delle Anime’ che gli Archivi Parrocchiali della Matrice hanno tramandato sino a noi.

LE PROBABILI ORIGINI BENEDETTINE DI RACALMUTO

Non v’è dubbio sull’origine araba dell’attuale Racalmuto: il suo nome lo attesta inconfutabilmente, anche se non significa sicuramente Paese Morto o Distrutto o simili assonanze funeree. I modernissimi arabisti (Giovan Battista Pellegrini, in Dizionario di Toponomastica - I nomi geografici italiani - UTET 1990) sconfessano la vecchia lugubre etimologia ma si avventurano in una infondata interpretazione: Racalmuto - dicono - “deriva dall’arabo Rahl al Mudd = uguale Casalis Modi (Cusa 24, 25 e 221) ‘sosta, casale’ del Mudd< latino modium ‘Moggio’ “. “Paisi di lu Munnieddu”, dunque, alla siciliana. Ma di modii e mondelli Racalmuto non ha la configurazione. L’immagine potrebbe valere per il vicino Monte Formaggio di Sutera. Del resto, può escludersi qualsiasi vecchio fonema che suoni simile a Racalmuddo o Racalmullo ed analoghi. Nell’antico diploma, quello angioino che abbiamo citato all’inizio, la grafia - per noi molto eloquente - è quella di RACHALCHAMUT. 
Uscendo dalle secche della toponomastica, sappiamo di sicuro che per un paio di secoli a Racalmuto ebbero il sopravvento i musulmani. Questi introdussero sistemi di coltivazione degli ortaggi alla stregua di quanto avviene ancor oggi. Certi autori riportati dall’Amari descrivono la coltura delle cipolle con porche e zanelle come tuttora si usa negli orti sotto l’attuale Fontana. (Michele Amari: Biblioteca Arabo-Sicula, Torino 1880 - pag.  305-306: dal Kitab ‘al Falah (Libro dell’Agricoltura di Ibn ‘al Awwam). I secoli dal Nono all’Undicesimo sono sicuramente secoli arabi per Racalmuto. Ma ebbe davvero a sparire il cristianesimo radicato nelle ‘massae’ attorno all’asse Casal Vecchio-Montagna dell’epoca bizantina? Pensiamo di no. Vi fu convivenza tra le due religioni e i due popoli, anche se mancano testimonianze per comprovarlo. Ma non ve ne sono neppure di segno contrario. Forse le tante lucerne funerarie ed i resti archeologici rinvenuti nelle zone del Giudeo potrebbero risalire a quei secoli arabi, e sembrano testimonianze cristiane.
Propendiamo a credere che gli indigeni bizantini di Racalmuto rimasero sul luogo al tempo della conquista saracena; essi continuarono a coltivare grano e vite nelle zone alte del territorio. I vincitori, intere famiglie di coloni, si assestarono nelle valli, vicino alle fonti d’acqua della Fontana, del Raffo ed anche di Garamoli e della Menta, in zone appunto propizie alle loro colture d’ortaggi, in cui erano maestri e che i Rum (i Cristiani) ignoravano. Dai Rum, l’emiro di Girgenti esigeva la tassa capitaria della Gezia, il soldo per mantenere il culto dei Padri e la fedeltà alla propria religione.
Un documento greco del 1178, se per avventura si dovesse veramente riferire a Racalmuto come autorevolmente sostiene il Garufi, proverebbe appieno queste nostre ipotesi.
In effetti, in quel documento greco  del  1178 abbiamo il  primo attestato storico sul toponimo di Racalmuto, e già siamo ai tempi di Guglielmo II, il Buono. Ebbe a pubblicarlo nel 1868 il grande paleografo siciliano Salvatore CUSA (cfr. I di­plomi greci ed arabi di Sicilia, Palermo 1868, pag. 657-658 e pag. 729): vi si parla di una vendita a Berardo, priore di S. Maria di Gadera, di un fondo sito in   RAHALHAMMUT, per il prezzo di 50 ta­rì. A venderlo, nel settembre di quell’anno, fu tale Pietro di Ni­cola GUDELO, insieme alla moglie Sofia ed ai figli Tommaso e Nicola.
Il toponimo  Rachal Chammoùt ( ammu) figura scritto in greco e la vendita del terreno viene fatta al lontano monastero di S. MARIA di GADERA, sito nei pressi di Polizzi Generosa. Per alcuni studiosi locali, affetti di laico attaccamento alle loro pretese origini musulmane, vi sarebbero le stigmate della sofferenza post-araba di Racalmuto. Terra ormai di schiavi, il suo circondario sarebbe stato spartito tra chiese e conventi e già dal 1093 avrebbe, per di più,  subito l’onta  dell’assoggettamento alle decime del Vescovo di Agrigento, di cui per volontà dell’invasore normanno era stato ridotto a territorio diocesano subalterno.
Racalmuto normanna ivi citata, invero, è terra piuttosto frazionata: il fondo in vendita confina con parecchi proprietari di terreni che non dovevano essere molto estesi: chorafion è il termine greco usato proprio per significare un  fondo non vasto. I nominativi sono: a) Basilio Burrello, b) Martino di don Guglielmo; c) il fu Michele di Rosaneto, sacerdote; d) Niceforo Lipta; e) Rinaldo figlio del chierico Baldi; f) Nicola figlio del prete Michele; g) il fu  Giovanni genero di Filax;  h) Basilio  Gu­dela.
La preminenza dei ceppi sembra greca, ma i Rinaldo ed i Baldi  con i Martino fanno pensare a casati latini e normanni. Una mistura dunque di gente che sembra essersi ripartito il territorio saraceno del nostro paese. Vi si possono leggere i segni dei grandi sommovimenti feudali dei tempi di Margherita e di suo cugino Stefano Le Perche. Racalmuto che non figura mai nei diplomi della Chiesa Agrigentina, appare ora pertinenza di quel priore Berardo che ha tutta l’aria di un monaco benedettino. Forse ebbe ad impossessarsi per soli 50 tarì - cifra sicuramente esigua - di va­sti possedimenti cui erano addetti  i saraceni del luogo in condizioni di quasi schiavitù;   tutto fa pensare che dopo vi mandò i suoi monaci per  ergervi un convento e sfruttare le locali culture granarie. Nel   1308, a pagare le decime al Papa per Racalmuto abbiamo due nomi che nulla hanno a che fare con la nostra località, ma che proprio possono collegarsi con i monaci benedettini: Martuzio de Sifolono, titolare della chiesa di S. Maria, chiamato  a corrispondere un’oncia per le decime di due anni (1308 e 1310), ed il prete  Angelo di Montecaveoso, tassato per nove tarì  in re­lazione all’ufficio sacerdotale che esplicava nel Casale di Racalmuto. Sono testimonianze postume che però sembrano condurci all’erezione del convento di S. Maria, divenuto francescano solo nel secolo XVI.
All’importante e fondamentale diploma  del 1178  ci ha portato, dicevamo,  il GARUFI, il grande storico cui fa ricorso SCIASCIA nella ‘MORTE DELL’INQUISITORE’. Nel suo studio sui ‘PATTI AGRARI E COMUNI FEU­DALI DI NUOVA FONDAZIONE IN SICILIA’ (cfr. CARLO ALBERTO GARUFI, parte II dell’articolo, in ARCHIVIO STORICO SICILIANO, anno 1947, pag. 34) troviamo, infatti, questa illuminante nota: «soggiungo che l’unica e più antica notizia di Racalmuto, che ci permetta d’indagarne l’origine al di fuori delle cervellotiche etimologie di R a h a l m u t, casale della morte, si ha nella pergamena greca originale conservata tuttavia nel Tabulario di S. Margherita di Polizzi, la quale contiene l’atto di compra-vendita, dell’a. m. 6687, e. v. 1178, feb. ind. XII, di un fondo sito in Rachal Chammout. Sin dalle sue origini il casale fu denominato da Chammout, nome codesto di persona che per due volte ricorre fra i  g a i t i  testimoni saraceni nel diploma originale, greco-arabo, di Re Ruggiero dell’a.m. 6641, e.v. 1133 feb. ind. XIa ».    
Purtroppo l’autorevole storico non ha avuto al riguardo nessun seguito. Non raccolse la tesi su Racalmuto Leonardo Sciascia e non seguono il Garufi storici come il Bresc o arabisti come il Pellegrini (come si è visto prima). Noi abbiamo tentato di confrontare questo documento con altro di analoga portata, alla luce di quanto scrive il Di Giovanni (ARCHIVIO STORICO SICILIANO - 1880: Memorie Originali - Vincenzo di Giovanni: Il Monastero di S. Maria la Gàdera  poi Santa Maria de Latina esistente nel secolo XII presso Polizzi. - Pag. 15 e segg.), e francamente siamo rimasti molto dubbiosi sull’effettivo riferimento alla terra di Racalmuto.
Non si riferisca pure a Racalmuto, il documento tuttavia illumina sui processi di colonizzazione dei frati benedettini in quel torno di tempo. E benedettino fu certamente il primo convento che sorse a Racalmuto.
Un passo della SICILIA SACRA del PIRRI  testimonia della presenza benedettina a Racalmuto. Stralciando dalle colonne dedicate alla “AGRIGENTINAE ECCLESIAE” (foglio 758 e segg.), veniamo resi edotti dal Netino che «Coenobium cum Ecclesia S. Benedicti prope viam, qua itur Agrigentum, & Rahyalmutum, de suffraganeis Ecclesiae Agrigentinae invenio excriptum in libro Capibr. Eccl. in Reg. Canc. fol. 211; puto id esse hodie Monalium Annuntiatae Musumellis. Olim enim erat coenobitarum eiusdem Ecclesiae Annuntiatae. Vide ibidem». [1] A dire il vero, l’abate Pirri si avvale dei Capibrevi del Barberi che risalivano ad un secolo prima. La descrizione del convento di monache benedettine sotto titolo dell’Annunziata interessa poco Racalmuto e resta una mera ipotesi quella del Netino che vuol far derivare il convento di Mussomeli da quello, già distrutto nel XVII secolo, che sorgeva nel nostro territorio. Quel che rileva è invece l’accenno ben preciso all’abbazia benedettina di Racalmuto. «Trovo scritto - ci par qui di dover tradurre il passo dal latino - nel Libro dei Capibrevi Ecclesiastici nei Registri della Cancelleria, foglio 211, che si ergeva un cenobio con una chiesa dedicata a S. Benedetto presso la via di congiunzione di Agrigento con Racalmuto e rientrava tra quelli suffraganei della Chiesa Agrigentina. Penso che esso sia lo stesso di quello che è oggi il convento di monache dell’Annunziata di Mussomeli. Una volta  apparteneva a cenobiti della Chiesa dell’Annunziata. Vedi colà.» Eugenio Napoleone Messana colloca, anche sulla scia di alcuni ruderi archeologici di una cisterna, quell’importante abbazia benedettina al vecchio Campo Sportivo.
Siamo franchi, il Pirri nei passi citati non è né perspicuo né convincente. Se un convento benedettino vi fu a Racalmuto, esso dovette essere ben più antico del 1466, diversamente da quanto sembra ritenere lo storico di Noto. Ai suoi tempi - e siamo attorno al 1630 - non vi erano più memorie documentabili. Nella visita pastorale del vescovo Tagliavia del 1542-1543 non è dato di rintracciare alcun riferimento all’abbazia.
Nella prima decade del 1300 rinveniamo, invece, un sacerdote officiante a Racalmuto che ha tutta l’aria di un benedettino, oriundo di Montescaglioso in provincia di Matera. Trattasi delle decime pagate per gli anni 1308 e 1310 ai Papi di Avignone. I tassati di Racalmuto sono due, come abbiamo avuto modo di dire, ed uno di essi è palesemente designato con il suo nome di religioso: Angelo di Montecaveoso
Costui appare come il primo arciprete di Racalmuto, stando almeno ai documenti disponibili.
L’ipotesi, dunque, che Racalmuto si avvii all’attuale conformazione ad opera dei benedettini non è poi del tutto cervellotica. Dovette avvenire la colonizzazione benedettina attorno al Dodicesimo-Tredicesimo secolo, alla stregua di quanto desumibile dal documento greco di S. Maria di Gadera che abbiamo prima revocato. L’opera contadina e civilizzatrice dei frati per tanti versi ebbe a sopperire alla grave crisi determinata dalla repressione dei saraceni da parte di Federico II.
 


[1]  ) Il passo cui Pirri rinvia, recita: «Monalium Benedictonarum monasterium S. Annuntiatae est antiquissimum. Id olim erat Monachorum eiusdem ordinis: lego enim in lib. Cancell. Prioratum, sive Monasterium S. Mariae Annuntiatae ordinis S. Benedicti prope Misimerium Agrig. dioec. esse de jurepatr. laicorum, et fuisse datum à PP. Paulo II post obitum Augustini, Philippo Cappa cl. Panorm. ex litt. apost. 12. Aug. 1466. pont. an. 2 in lib. sec. Macri 4 Feb. 1467. 15 ind. Fol. 42. Capib. fol. 233. Hospitium habebat monachorum sub titulo S. Benedicti, hodie dirutum, juris Monalium harum ad p. 6. m. ab oppido Rahyalmuto. Moniales 22, cum unc. 236.»

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