Con questo verbale del luglio 1951 nel processo di Viterbo si sancisce la verità 'passata in giudicato sulla estraneità di Ettore Giuseppe Tancredi Messana dai torbidi e criminali eventi del banditismo siciliano ai tempi della strage di Portella delle Ginestre.
Dunque Ettore Giuseppe Tancredi Messana e non VITO, topica colossale del cancelliere, nato a Racalmuto nell'aprile del 1884, quindi sessantasettenne,Quando Casarrubea e Cereghino affermano spudoratamente e reiteratamente che 'Ferreri ...diventa ben presto confidente numero uno dell'ispettore generale di Pubblica sicurezza dell'isola, Ettore Messana', (cfr, poag 84 de 'La scomparsa di Salvatore Giuliano, - Bompiani . 2013)
insinuano per diffamare, calunniare e mentire-
Sapevan bene sin dal 1951 che «L’Ispettorato aveva dei confidenti ed inoltre era in contatto con alcuni elementi che ci
ponevano in comunicazione con il bandito Ferreri Salvatore».
D. R. «Io nessun contatto diretto ebbi col Ferreri, solo ebbi rapporti con lui tramite i suddetti elementi di collegamento».
D. R. «Escludo che Ferreri mi abbia fatto sapere i nomi di coloro che avevano partecipato all’azione di Portella; può darsi che qualche indicazione l’abbia data al colonnello Paolantonio oppure ad un altro funzionario di P.S., certo Zappone, che io avevo dislocato nella zona di Partinico e che fu ucciso a Borgetto in un agguato».
Il bandito Giuliano
La strage di Portella della Ginestra
Documenti sulla strage
Documento 13
VERBALE INTERROGATORIO
DELL’ISPETTORE VITO MESSANA
Verbale di continuazione di dibattimento del 20 luglio 1951
[cartella 4, vol. V, n. 5]
D’ordine del Presidente, introdotto il testimone Messana Ettore fu Clemente di anni 66, nato a
Racalmuto (Agrigento) e domiciliato in Roma, Ispettore di Ps.
Interrogato in merito ai fatti della causa, risponde:
«Fui mandato in Sicilia a capo dell’Ispettorato Generale di P.S. per la Sicilia nel maggio 1945 e vi
rimasi fino a tutto luglio 1947. Il decreto che istituì l’Ispettorato è dell’aprile 1945 e funzione di tale
organo fu quella di integrare l’opera repressiva e preventiva nell’eliminazione del banditismo ed in
genere della delinquenza associata in Sicilia».
D. R. «Io ebbi a mia disposizione 750 carabinieri, 350 agenti e 14 funzionari, che distribuii in tutte le
province della Sicilia da Messina a Trapani. Fui io che istituii i nuclei di carabinieri e polizia nei
centri dove a me sembrò che dovessero essere istituiti. Le mie prime operazioni feci nelle province
di Agrigento e di Catania. Verso la fine del 1945 incominciò ad affiorare l’attività della banda
Giuliano. Tale fatto fece aumentare la mia attività tanto più che la banda Giuliano e quella di Avila
si erano poste al servizio dell’Evis».
D. R. «Ebbi notizia dei fatti di Portella nelle ore pomeridiane del 1° maggio 1947. Mi recai ad una
riunione indetta dal prefetto Vittorelli, dove si stabilì una certa azione da svolgersi. L’indomani mi
recai a Piana degli Albanesi ed a San Giuseppe Jato, ove già si era proceduto all’arresto di quattro
persone ad opera di un nucleo dipendente dall’Ispettorato e dove si era proceduto a largo
rastrellamento arrestando centinaia di persone sospette, le quali però furono quasi tutte rimesse in
libertà. Non essendo emersa a loro carico alcuna responsabilità».
D. R. «Tutto ciò venne fatto ad opera della questura che si limitò poi a denunciare solo i quattro
arrestati».
D. R. «In una riunione tenuta anche alla presenza dell’Ispettore Generale di P. S. Rosselli, inviato a
Palermo dal Ministero, fu deciso da quest’ultimo che la direzione delle indagini dovesse essere
affidata al questore Giammorcaro e fu così che io passai alle dipendenze di costui».
D. R. «Si venne frattanto a conoscenza che il 1° maggio era stato sequestrato, dopo la sparatoria, un
campiere, certo Busellini, del quale non si seppe nulla per tanti giorni e che poi fu trovato ucciso in
un fossato da un nucleo alle mie dipendenze».
D. R. «Non so se il ritrovamento del cadavere del Busellini avvenne a mezzo di cani poliziotti od a
mezzo solo di ricerche».
D. R. «Mi sembra di ricordare che sul petto del cadavere del Busellini fu trovato un cartello con la
scritta «questa è la fine dei traditori», la qualcosa ci convinse che il delitto era stato consumato dalla
banda Giuliano. Tale convinzione ci facemmo anche per il delitto di Portella poiché ci convincemmo
che colui che aveva ucciso Busellini era uno di quelli che aveva sparato a Portella».
D.R. «Noi dell’Ispettorato, fin dal primo momento, pensammo che la strage di Portella era da
attribuirsi alla banda Giuliano, perché il fatto era avvenuto nella zona così detta d’imperio della
banda stessa, mentre l’Angrisani ed il Guarino avevano orientamento diverso».
D. R. «Tale convincimento da parte dell’Ispettorato fu però rafforzato dal rinvenimento del cadavere
del Busellini».
Contestatogli che nel verbale di rinvenimento del cadavere del Busellini non vi è traccia del cartello
rinvenuto sul suo cadavere, risponde:
«Può darsi che io abbia un cattivo ricordo di tale fatto, ma pure mi sembra di ricordare così».
D. R. «Le indagini continuarono e solo nel giugno avvennero i primi fermi effettuati dal nucleo
centrale comandato dal colonnello Paolantonio, il quale mi riferiva lo sviluppo di esse».
D. R. «Il rapporto n. 37 fu redatto quando io non ero più Ispettore Generale in Sicilia, essendo stato
sostituito il 1.8.47 dal questore di Napoli Coglitori».
D. R. «Quasi tutti i fermi avvennero durante la mia permanenza in Sicilia ed io, giorno per giorno,
venivo informato di quanto si riusciva a sapere dai fermati».
D. R. «L’Ispettorato aveva dei confidenti ed inoltre era in contatto con alcuni elementi che ci
ponevano in comunicazione con il bandito Ferreri Salvatore».
D. R. «Io nessun contatto diretto ebbi col Ferreri, solo ebbi rapporti con lui tramite i suddetti
elementi di collegamento».
D. R. «Escludo che Ferreri mi abbia fatto sapere i nomi di coloro che avevano partecipato all’azione
di Portella; può darsi che qualche indicazione l’abbia data al colonnello Paolantonio oppure ad un
altro funzionario di P.S., certo Zappone, che io avevo dislocato nella zona di Partinico e che fu
ucciso a Borgetto in un agguato».
D. R. «Il nostro convincimento che l’azione di Portella era dovuta alla banda Giuliano fu
maggiormente rafforzato dal riconoscimento effettuato da quattro cacciatori sequestrati in quella
mattina del 1° maggio, i quali in una fotografia di persona a cavallo riconobbero proprio colui che
ritenevano fosse il capo del gruppo che li aveva sequestrati».
D. R. «Il colonnello Paolantonio, fin quando io restai in Sicilia, non mi parlò mai del fermo di alcuno
ritenuto partecipe della strage di Portella per confidenze avute dal Ferreri».
D. R. «Escludo di aver avuto mai rapporti con Pisciotta Gaspare, come escludo di avergli rilasciato
un tesserino di riconoscimento sia al suo nome che a quello di Faraci Giuseppe».
Contestatogli che il Pisciotta ha affermato invece di aver avuto rilasciato un tesserino proprio da lui
che glielo fece recapitare tramite Ferreri, risponde:
«Escludo nel modo più reciso che ciò sia avvenuto».
Richiamato l’imputato Gaspare Pisciotta e contestatagli la dichiarazione resa dall’Ispettore
Messana a proposito del tesserino, risponde:
«Il tesserino lo ebbi tramite Ferreri, portava la firma Messana, aveva i timbri dell’Ispettorato, fu
strappato ed io spero che colui che lo ha strappato, se ha coscienza, lo dirà».
D. R. «Luca potrà dire qualcosa in merito, può darsi che il tesserino esista ancora, ma a me risulta
che fu stracciato».
Il teste Messana:
D. R. «Io facevo da organo propulsore nell’attività dei miei funzionari; dissi loro di indagare anche
sulla ragione per cui Giuliano fece l’azione di Portella ma nessuno di essi mi parlò mai su tale fatto».
D. R. «Andai via dalla Sicilia il 31.7.1947 e quindi non mi occupai più della cosa».
A domanda dell’Avv. Sotgiu, risponde:
«Non ricordo di aver rilasciato al Ferreri un tesserino di libera circolazione, ma non escludo che esso
possa essere stato rilasciato da altri sotto il mio nome, essendo io il capo dell’Ispettorato. Devo dire
per altro che la mia firma ufficiale è quasi inintellegibile come Messana, anzi ritengo che sia del
tutto inintellegibile».
D.R. «Non rilasciai tesserini di libera circolazione ai confidenti, non so se ne furono rilasciati a mio
nome dai miei dipendenti che nulla mi riferivano intorno al rilascio di essi poiché ognuno ha i propri
confidenti ed intorno a noi si mantiene il più stretto riserbo anche con i superiori».
D.R. «Io fornivo il danaro che mi richiedevano per i confidenti ai miei dipendenti, i quali mi
rilasciavano ricevuta sulla quale si limitavano a dire. -- per un confidente- senza indicarne le
generalità».
D.R. «Certamente i rapporti col Ferreri iniziarono prima della strage di Portella. Ricordo di aver
saputo, attraverso la fonte Ferreri, che Giuliano voleva attentare alla vita dei dirigenti del Partito
Comunista di Palermo, fra i quali il Li Causi. Informai per la opportuna vigilanza il questore e fu il
colonnello Paolantonio che avvisò direttamente il Li Causi».
D.R. «Al padre del Ferreri feci dare un porto d’armi, ma ciò rientrava nel progetto di venire
all’arresto di Giuliano. Sentii parlare del rinvenimento del predetto porto d’armi sul cadavere del
Ferreri, ma ciò non constatai personalmente».
D.R. «Escludo che il padre del Ferreri facesse parte della banda Giuliano».
D.R. «Non mi risulta che dopo l’amnistia dell’Evis Giuliano abbia mantenuto rapporti con persone
insospettabili».
D.R. «Dopo di me all’Ispettorato ci fu Coglitore, poi Modica, poi Spanò, poi Verdiani»
D.R. «Non ricordo i nominativi dei componenti la banda Giuliano».
D.R. «Esiste un rapporto intorno alle bande armate dell’Evis ed all’attività da esse spiegate, rapporto
redatto dal nucleo centrale alle mie dipendenze».
D.R. «Sono a conoscenza dei nomi in esso compresi, può darsi che l’elenco contenuto in detto
rapporto non sia completo e non comprenda tutta la materia, essendo potuta qualcosa essere sfuggita
e qualcosa sopraggiungere».
D.R. «Non ricordo il nome di Genovesi Giovanni tra i confidenti della polizia, né so se egli sia stato
interrogato dal colonnello Denti».
A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde:
«Per il fatto di Portella venne in Sicilia un Ispettore generale del Ministero, come di solito avviene
quando succedono fatti di una certa rilevanza».
D.R. «Detto Ispettore riunì tutti gli organi di polizia in questura e poiché ogni organo comunicò i
risultati delle indagini svolte, l’Ispettore volle che le varie attività fossero coordinate e quindi, senza
esautorare e sostituire alcuno, dette la direzione al questore Giammorcaro al quale doveva essere
comunicata ogni attività degli organi di polizia. Tutto ciò per quanto riguarda i fatti di Portella».
D.R. «Mi fu detto che il Ferreri fu operato di appendicite».
A domanda dell’avv. Sotgiu, risponde:
«Non mi risulta che al Ferreri sia stata rilasciata una tessera intestata a Salvo Rossi, autista del
colonnello Paolantonio».
A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde:
«Parlando di un rapporto Coglitore mi riferivo solo al rapporto firmato dal maresciallo Lo Bianco
relativo ai fatti di Portella»
A domanda del Pisciotta Gaspare, risponde:
«Escludo di essere stato io a consegnare i mitra al Ferreri, né mi risulta che ciò sia stato fatto da
qualcuno dell’Ispettorato. A quell’epoca avevamo penuria di armi».
Il Pisciotta aggiunge:
«I cinque mitra servirono per l’azione di Portella, secondo quanto mi disse Ferreri».
Dopo di che il Presidente rinvia la prosecuzione del dibattimento all’udienza del 23.7.1951 ore 9,30.
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Con questo verbale del luglio 1951 nel processo di Viterbo si sancisce la verità 'passata in giudicato sulla estraneità di Ettore Giuseppe Tancredi Messana dai torbidi e criminali eventi del banditismo siciliano ai tempi della strage di Portella delle Ginestre.
Dunque Ettore Giuseppe Tancredi Messana e non VITO, topica colossale del cancelliere, nato a Racalmuto nell'aprile del 1884, quindi sessantasettenne,
Quando Casarrubea e Cereghino affermano spudoratamente e reiteratamente che 'Ferreri ...diventa ben presto confidente numero uno dell'ispettore generale di Pubblica sicurezza dell'isola, Ettore Messana', (cfr, p
ag 84 de 'La scomparsa di Salvatore Giuliano, - Bompiani . 2013)
insinuano per diffamare, calunniare e mentire-
Sapevan bene sin dal 1951 che «L’Ispettorato aveva dei confidenti ed inoltre era in contatto con alcuni elementi che ci
ponevano in comunicazione con il bandito Ferreri Salvatore».
D. R. «Io nessun contatto diretto ebbi col Ferreri, solo ebbi rapporti con lui tramite i suddetti elementi di collegamento».
D. R. «Escludo che Ferreri mi abbia fatto sapere i nomi di coloro che avevano partecipato all’azione di Portella; può darsi che qualche indicazione l’abbia data al colonnello Paolantonio oppure ad un altro funzionario di P.S., certo Zappone, che io avevo dislocato nella zona di Partinico e che fu ucciso a Borgetto in un agguato».