Il
Falconcini fu irrequieto fino alla fine dei suoi giorni di permanenza a capo
della prefettura agrigentina. Aveva un conto in sospeso con Racalmuto; pensò di
saldarlo nel gennaio del 1863. Limitiamoci al suo racconto. «I tre arresti
veramente politici - ammette a pag. 90 - furono fatti nell’ultima settimana
della mia autorità di prefetto; furono tre cospicui cittadini di Racalmuto,
accusati di volere per amore de’ Borboni disturbare la tranquillità di tutta la
provincia, facendo rinnovare in quel paese i vandalici fatti del di 6
settembre. Io pensai lungamente prima
di procedere a tale severa misura, ma ripetendosi e moltiplicandosi gli avvisi
di prossimi moti borbonici in Racalmuto, e la voce pubblica chiedendo come
indispensabile una misura preventiva, per salvarmi da enorme responsabilità mi
dovei risolvere ad ordinare l’arresto di coloro che erano evidentemente
supposti fautori di tali possibili disordini: arrestandoli però provvidi al
loro convenevole custodimento, e la volontà di passarli al potere giudiciario
annunziai subito al procuratore del re, il quale trovò subito la misura del
loro arresto saviamente presa..»
Il
Falconcini si premura anche di ragguagliare il ministro dell’interno: «Sin dal
giorno 9 corrente [9 gennaio 1863] - vedasi documento riportato a pag. 128
della seconda parte del libro del Falconcini - circolavano strane voci di
combinate trame in Racalmuto che dicevansi di colore borbonico. [...] [si
aveva] la conoscenza di mantenersi quel paese ... sotto il dominio di un
partito retrivo ed ostile ad ogni disposizione governativa. Una prova
certissima poteva ritrarsi dal non essersi presentati di Racalmuto nessuno alla
leva, perché quei giovani erano indotti a scegliere piuttosto l’emigrazione per
Malta che presentarsi alle richieste del governo del re. Frattanto nel sabato
10 corrente accrescevasi molta consistenza a quelle voci di possibili disordini
in Racalmuto. [In particolare] l’essere il giorno 12 anniversario della
rivoluzione della rivoluzione in Sicilia. Riferivasi di nascoste bandiere
borboniche e si designavano siccome principali autori del tutto alcuni
cittadini i nomi dei quali erano già condannati dalla pubblica opinione, vorrei
dire dell’intera provincia. Egli è per questo che lo scrivente credé doversi
d’accordo col comando militare perché fosse tosto accresciuta d’altra compagnia
la truppa colà stanziata e diede appositi ordini all’autorità locali per
eseguire alcune perquisizioni tenute indispensabili ad assicurarsi del fatto e
procedere a qualche arresto delle persone credute maggiormente influenti e
dannose, colla sola idea di mostrare a Racalmuto che il governo non solo
sorveglia e previene ma ha la forza di agire, ciò che vale assai più pei molti
che stimavansi liberi di ogni vincolo e quasi padroni di operare a posta loro
dopo cessato lo stato d’assedio.
«Un singolare esempio della reale esistenza
delle trame di quel partito si ha in questo, che per quanto fosse ordinato
l’arresto all’impensata ed eseguito di notte, tre altri individui, dei quali
appunto andavasi in traccia, fuggirono non appena ebbero il sospetto della loro
ricerca, segno manifesto del non trovarsi essi scevri di cole. D’altra parte il
processo ... porterà lume alla cosa.
«Frattanto
può assicurarsi d’essersi disposto in modo che i tre arrestati avessero stanza
il più possibilmente propria e fossero trattati con ispecial riguardo, non
dovendo confondersi, con rei di delitti comuni chi può essere spinto anche a
degli eccessi per fanatismo politico.
«Girgenti,
15 gennaio 1863. Il prefetto: Falconcini.»
Curiosa
coda di perbenismo borghese: vadano pure in carcere i galantuomini, ma con i
dovuti riguardi. Per il resto, altro che politica del sospetto! E Sciascia
poteva davvero avere simpatia con un simile campione del sopruso di stato? Un
sopraffattore vittima dell’ingiustizia di Silvio Spaventa
- ci
dispiace dirlo - è una bubbola sciasciana. E i commenti al circolo? Ora blandi,
ora astiosi a seconda di chi si trattava. Anche allora - come ancora nei nostri
giorni - il “casino” vezzi massonici ed anticlericali ha costantemente avuto.
Blandi si doveva essere verso influenti soci, anche borbonici; spietati,
dissacranti, velenosissimi contro preti vecchi e nuovi, più o meno coinvolti
nelle bufere politiche del momento.
In siffatti
frangenti - e non nell’improbbile 1860 - dovette essere consumata quella
agghiacciante fucilazione narrata da Sciascia: «Passarono i garibaldini da
Regalpetra, misero un uomo contro il muro di una chiesa e lo fucilarono, un
povero ladro di campagna fucilato contro il muro della chiesa di San Francesco;
se ne ricordava il nonno di un mio amico, aveva otto anni quando i garibaldini
passarono, i cavalli li avevano lasciati nella piazza del castello, il tempo di
fucilare quell’uomo e via, l’ufficiale era biondo come un tedesco.»
Falconcini
non svela ora i nome di quei tre - tutto sommato - perseguitati politici.
Sfogliando carte d’archivio successive, emergono echi di schedati eccellenti
racalmutesi. Significativa la schedatura della pubblica sicurezza di Girgenti
di don Vincenzo Grillo e don Giuseppe Matrona:
Grillo
d. Vincenzo,
figlio del fu Girolamo, nato il .... 1823
nel Comune di Racalmuto, proprietario.-
Statura 1.60; corporatura giusta; capelli
castani; fronte media; ciglia castani; occhi cilestri; naso regolare; bocca
giusta; mento ovale; barba castana; faccia ovale; carnagione naturale.-
Luogo di abitazione: Racalmuto.-
Partito politico: Borbonico - clericale.-
Candanne: - ==
Cenni biografici: Capo partito
borbonico-clericale. Nel 1863 in Girgenti ebbe sequestrata una corrispondenza
in sensi borbonici proveniente da Malta.
Nelle evenienze è capace ed ha influenza
bastante per sommuovere masse, ma non lo si crede atto a capitanarle
Matrona
Giuseppe
del fu Pietro nato ... 1827 [rectius 1828]
in Racalmuto, proprietario; m. 1,65, snello, nero ovale, abitante a Racalmuto.
Partito Borbonico - Non condannato.
Figura liberale e lo affetta onde farsi
maggior credito, ma in fondo è stato sempre di principi borbonici, Uomo
ambizioso e vendicativo: influente coi tristi e capacissimo nelle evenienze di
sommuovere le masse e commettere disordini. Vuolsi che nel 1862, egli abbia
spinte le turbe dei renitenti alla leva latitanti i quali, armata mano,
turbavano l’ordine pubblico, bruciando l’Archivio Comunale e quello della Pretura.
[In altra scheda: Abbenché in apparenza
conserva regolare condotta e mena vita ritirata, pur tuttavia dirige /Racalmuto
17 settembre 1869/ tutti gli intrighi che si ordiscono in Paese.]
Mons. De
Gregorio rintraccia nell’Arcivio di Stato di Agrigento [ASA - Gabinetto
Prefettura; non cita la busta che dovrebbe essere prossima al n.° 26] il
sacerdote Calogero Lo Giudice di Giacomo, schedato tra i “preti borbonici”.
Nel “liber” il sacerdote risulta al «n.° 426:
D. Calogero Giudice, mansionario fidecommisso della chiesa Monte, organista;
obiit 19 Junii 1886.» Nato attorno al 1824, non sembra di nobili natali. Nel
censimento del 1822, il padre del sacerdore è ancora ‘schetto’ e fa parte del
nucleo paterno come dalla seguente scheda:
1894
|
LO GIUDICE
|
NICOLO'
|
|
|
1895
|
LO GIUDICE
|
GIUSEPPA
|
MOGLIE
|
|
1896
|
LO GIUDICE
|
GIACOMO
|
F.O
|
anni: 24
|
1897
|
LO GIUDICE
|
GIUSEPPE
|
F.O
|
17
|
1898
|
LO GIUDICE
|
CALOGERO
|
F.O
|
9
|
1899
|
LO GIUDICE
|
CARMELO
|
F.O
|
7
|
1900
|
LO GIUDICE
|
GIOVANNA
|
F.A
|
5
|
* * *
Quanto ai
Farauto, pare che nel gennaio del 1863 qualcuno di loro sia finito in
gattabuia. Richiamiamo quello che abbiamo sopra riportato:
[...] il Comandante della truppa, che venne
spedito in Racalmuto, per quella circostanza, fece eseguire l'arresto dei
fratelli Matrona, come ritenuti complici
nei fatti del Settembre 1862.- Ma chiarita presto la loro innocenza, vennero
quasi subito lasciati liberi. In proseguo poi vennero arrestati taluni della
famiglia Farrauto, e qualche
aderente di quella, per lo stesso titolo pel quale furono arrestati i Matrona [...].
Allo stato
delle nostre ricerche non sappiamo aggiungere altro: ma i ricchi archivi
agrigentini - e forse quelli appena riesumati di Racalmuto - chissà quali
sorprese si riserveranno. Siamo certi che quello che va dicendo - pag. 248-256
- Eugenio Napoleone Messana su questa congiuntura storica avrà una drastica
rettifica: per onestà bisogna però ammettere che qui lo storico locale scrive
pagine di notevole pregio documentario.
* * *
Il Falconcini
ci ragguaglia fra l’altro sulla consistenza delle opere pie racalmutesi:
1.
Monte frumentario di Pantalone: opere di pietà -
rendita lire 264 e 82 cent.;
2.
Eredità Spinola - spese generali di culto e maritaggio
- rendita L. 562,32;
3. Fidecomm. Busuito - L. 391,57;
4.
Cong. S. Anna - L. 1329,21;
5.
Comp. Agonizzanti - L. 650,76;
6.
Congreg. Purgatorio - L. 223,46;
7.
Congreg. S. Maria di Gesù - L. 669,78;
8.
Congreg. Monte - L. 599,52;
9. Legato del canonico
Franco - L. 727,64;
10. Legato degli Orfani del Crocifisso - L.
127,50;
11. Eredità Signorino - L. 1.396,87;
12. Legato del Rev. Carini - messe -
L. 127,50.
* * *
L’agricoltura
andava in quegli anni a fasi alterne: l’anno 1856, l’anno 1858, l’anno 1862
erano stati catastrofici stando alle statistiche desumibili dalla contabilità
del Convento dei Minori Osservanti sotto titolo di Maria di Gesù di Racalmuto
Vino prodotto dalle vigne del Convento di Santa Maria
|
Misure in "botti" e "langelle"
|
anno
|
produz.
|
1824
|
5,00
|
1825
|
3,05
|
1826
|
4,07
|
1827
|
3,00
|
1828
|
3,01
|
1829
|
3,02
|
1830
|
3,03
|
1831
|
5,54
|
1832
|
3,28
|
1833
|
3,40
|
1834
|
4,00
|
1835
|
3,00
|
1836
|
4,00
|
1837
|
4,18
|
1838
|
3,08
|
1839
|
3,07
|
1840
|
5,00
|
1841
|
3,24
|
1842
|
4,14
|
1843
|
2,30
|
1844
|
2,08
|
1845
|
3,56
|
1846
|
5,30
|
1847
|
4,32
|
1848
|
6,00
|
1849
|
5,00
|
1850
|
3,56
|
1851
|
5,10
|
1852
|
4,32
|
1853
|
1,32
|
1854
|
3,24
|
1855
|
0,00
|
1856
|
2,32
|
1857
|
3,00
|
1858
|
3,00
|
1859
|
1,08
|
1860
|
3,00
|
1861
|
3
|
1862
|
1,08
|
1863
|
3
|
1864
|
2,40
|
1865
|
4,24
|
1866
|
2,00
|
Possiamo
essere sicuri che da settembre a novembre l’argomento delle rese vinarie erano
d’obbligo tra i galantuomini del circolo unione: discussioni animate, irate,
con contumelie sino alle rotture personale, qualcosa di simili con quello che
ora avviene con i contributi dell’AIMA.
Ma era la
scena politica che si andava arroventando e gli echi giungevano alle sale del
circolo con sempre maggiore animosità. Del resto le cose erano davvero
diventate roventi.
Approdiamo a momenti storici racalmutesi con
trasporto, trepidamente, con intenti alieni da ogni vezzo sindacatorio. Mi
appassiona l'uomo racalmutese - che reputo una specie a sé; la cronaca recente
e passata di questo luogo in cui sono nato, con le sue bizzarrie, la sua
antierocità, il suo atteggiarsi sempre ironico e dissacrante. Le impurità
presenti in ogni figura di racalmutese, anche in quella dei sommi, forniscono
un quadro di affascinante umanità. 'Guai a quel popolo che ha bisogno di eroi',
si ama dire: Racalmuto di eroi sembra non averne mai avuto bisogno, o non li ha
voluti e, in ogni caso, sempre li ha derisi. Magari con rime anonime in
vernacolo, come di moda negli anni presenti. O con lettere anonime. Ne ho
trovate, infatti, persino negli Archivi Segreti del Vaticano. Con fallace firma
di 'LUIGI TULUMELLO
fu Ignazio,’
il 18 gennaio del 1875 un racalmutese,
che mi sa essere insufflato dall'arciprete dell'epoca, importunava la Sacra
Congregazione dei Vescovi e Regolari, per contrapporsi alle pretese
espoliatrici della Famiglia
MATRONA, quella
appunto osannata da
SCIASCIA. Negli
ARCHIVI di STATO di Agrigento e Roma si rinvengono lettere infuocate del
gesuita P. NALBONE contro gli stessi MATRONA, con dati di fatto che hanno
sospinto una frangia della Commissione d'inchiesta parlamentare a venire a
Racalmuto per sottoporre i vari Matrona, il cav. Lupo, Giuseppe Grillo
Cavallaro, nonché l'avversario dottor Diego SCIBETTI-TROISE ad imbarazzanti
interrogatori, aleggiando il sospetto di collisione con mafiosi di Bagheria.
Buon per i Matrona che all'epoca il manto protettivo della massoneria valesse
molto. Chissà perché, Sciascia ha voluto stendervi un velo, storicamente
ingannevole, definendo persino 'anonimo' il libello del Nalbone, quando questi
lo aveva
apertamente sottoscritto e
rivendicato. Sarebbero false, invece, le firme di Antonio Licata, Pietro
Farrauto, Antonino Falletta e Fantauzzo Calogero, che certamente non erano in grado
di concepire e scrivere le velenosissime accuse contro il tesoriere comunale
Giuseppe Nalbone, Diego Bartolotta, il fratello del consigliere Provinciale
dott. Romano, la guardia Martorelli, un certo Carmelo Alba zio dell'assessore
Busuito, l'inviso doganiere Francesco Orcel, un certo Tinebra Nicolò
...'mantenuto agli studi ' dal Comune ( e credo trattarsi appunto dello storico
prediletto da Sciascia), Lumia Eugenio 'figlio naturale dell'assessore
Salvatore Alfano cui si danno delle continue sovvenzioni senza far nulla',
Paolo Baeri .
etc. Ma il libello, che
viene recapitato il 25 maggio del 1896
a
Sua E. CADRONGHI Commissario Civile in Palermo, ha di mira i TULUMELLO , e ciò
la dice lunga sulla provenienza . Sono oggetto di accuse pesanti i 'consiglieri
TULUMELLO LUIGI ed ARCANGELO'.
In una
reiterata lettera anonima del 27 agosto 1896, il Ministro Commissario Civile
per la Sicilia veniva informato che «l'epoca del terrore ha piantato le sue
tende in Racalmuto! La pubblica amministrazione sorretta da un capo onorario
del carcere di S. Vito, è in mano di una accozzaglia di malviventi! Così data a
partito la giustizia, ha preso le forme piazzaiole, affidata ai Scimé, ai
Sciascia, ai Conti e compagnia bella, avanzo di galera!» E purtroppo debbo
continuare citando quest'altro ributtante passo: «Eccellenza. - Il sindaco
Tulumello reduce dalle patrie galere, tutto può ciò che si vuole. Fattosi
padrino di un bambino del marasciallo, se ci è fatto lama spezzata; con cui a
mantenere le apparenze di un paese tranquillo e di ordine, si occultano reati
col qui pro quo. Il vice pretore Alaimo informi. Così la mafia, vestita di
carattere pubblico regna e governa. Pertanto, un Michele Scimé, braccio destro
del Tulumello, poté essere assolto, sebbene colto in flagranza di abigeato di
animali. Così i fratelli Bartolotta - della greppia - non vengono inquisiti di
animali, mentre vennero nei loro armenti scovati animali rubati. Così Leonardo
Sciascia disciplina l'elemento cattiva che, sotto le parvenze di circolo
elettorale, (sic) dove un Tulumello è presidente, soffoca ogni libera
manifestazione, come nell'ultima elezione. Così
Alfonso Conte, dopo la
villeggiatura fattasi col Sindaco, dalle carceri di Girgenti, Catania e
Palermo, gode oggi di una pensione assegnatagli dal Tulumello, sì da fare il
maestro didattico della malavita. Et similia.» Non la fa franca la potente
famiglia dei BUSUITO
e francamente
mi sembra dello stesso stile delle denunce di MALGRADOTUTTO
la successiva filippica: «Eccellenza.-
Racalmuto presenta lo squallore di un sistema indefinibile che solo ha
riscontro nei paesi africani. Un'amministrazione dilapidata da pochi furfanti
che mangiano a due canasci. Da sette anni che il paese è piombato in mano di
gente volgare, inetti ed insipienti; non si è fatta un'opera pubblica,
necessaria, richiesta dalla civiltà del paese. E più di tutto l'acqua potabile,
mentre il paese è dissetato da acqua inquinata, siccome risulta da esame fatto
eseguire dal Capitano della truppa qui, per ora, stanziato.» E giù botte contro
il dott. Romano ispiratore di 'una spesa barocca'
per distruggere la 'buona ... acqua detta
del Raffo'. E giù botte contro gli approfittatori del lascito Martini, il «pio
testatore che lasciò mezzo milione per costituire un'ospedale. Intanto quelle
rendite si diedero ad un piazzaiolo per amministrarle - anima del Sindaco - e
tra cotto e fritto quelle somme sfumarono con una sola casa costruita, da
potere servire per caserma dei carabinieri. Vi può essere più desolante
situazione?»
Riconosco di avere sempre sospettato che Sciascia, in
possesso di tale documento - per essere il noto ricercatore che tutti sappiamo,
difficilmente poteva sfuggirgli -, abbia
voluto censurarlo. In ogni caso mi riesce incomprensibile il passo della
sua introduzione al testo del Tinebra là
dove Sciascia annota: «mio nonno, ... fedelissimo elettore [di don Gasparino
Matrona], volle anche lui, da capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra
nella stessa contrada, edificandovi una casetta: ora è un secolo. » Nicolò Petrotto - se porrà occhio a questo
mio scritto - sicuramente saprà ancora una volta rintuzzarmi, facendo piena
luce sull'intoccabile mito.
Certo, povero lui!, molto ancora dovrà stizzirsi. Sono
sufficientemente documentato sulle topiche di Sciascia in materia di storia
locale. Fa nascere fra Diego La Matina nel 1622, quando una vaga infarinatura
di datazioni indizionarie gli avrebbe fatto leggere meglio il documento della
Matrice di Racalmuto ove l'inequivocabile data del 15 marzo 1621 veniva
confermata dalla dizione «4 Ind.» e cioè la quarta indizione che in quel
quindicennio comportava il periodo dal primo settembre 1620 al 31 agosto 1621
(indizione anticipata, in uso negli atti
ecclesiastici dell'agrigentino). Se «il
padre Girolamo Matranga, relatore dell'atto di fede di cui Diego La Matina fu
vittima, ... non seppe trarre brillanti considerazioni ... sui segni
astrologici che avevano presieduto alla nascita ... del
mostro» V. pag. 182 della
Morte dell'Inquisitore) era perché il dotto cronista sapeva esattamente che
la Matina era nato nel 1621 e che appunto nel 1658 era «dell'età di 37 anni».
Fra Diego La Matina, poi, non potè essere battezzato
«nella Chiesa dell'Annunziata di Racalmuto» (v. op. cit. p. 180): questa chiesa
era divenuta subalterna a S. Giuliano per tersche episcopali in favore di don
Giuseppe del Carretto dal 27 gennaio 1608 (VI IND.) al 20 giugno 1621 (IV
IND.) Sciascia non riuscì a leggere, per
sua stessa ammissione, il nome del padrino di Diego la Matina, ma «iac» sta per
«Iacupo» il nostro Giacomo che era il nome dello Sferrazza, il racalmutese
che tenne a battesimo il futuro frate
agostiniano.
Noi gli imputiamo anche l'avere ignorato che la madre
di Diego la Matina era una RANDAZZO, racalmutese puro sangue nata il 24 gennaio 1600 e sposatasi
con Vincenzo la Matina il 7 ottobre
1618., che invece per parte del nonno proveniva da Pietraperzia. Vincenza
Randazzo in La Matina , prima di Diego , ebbe GIUSEPPE che il 29 settembre 1651
andò a sposarsi a Canicattì con certa Anna SURRUSCA ed era di condizione
sociale non spregevole venendoci tramandato con il titolo di 'mastro'. La madre
di Diego fu religiosissima. Dopo la morte del figlio , quando era già vedova,
si fece ‘terziaria francescana’. Muore a 65 anni e il primo febbraio del 1666 viene sepolta in
S. Maria di Giesu, dopo avere ricevuto quale 'soror tirtiaria S. Frincisci' i
conforti religiosi da P. Bonaventura da
'Cannigatti'.
Nell'anno 1620 - precedente a quello di nascita di Fra
Diego - era invece nato Don Federico La
Matina figlio di Francesco di Giacomo e
di Caterina La Matina, un ceppo autenticamente racalmutese, contraddistinto con
il nomignolo di “Calello” e divenuto offi un nucleo di ottimati che frequentano
assiduamente le sale del circolo, anche se talora con intolleranza filosciasciana.
Don Federico La Matina fu un 'confessore
'adprobatus' molto attivo e molto stimato in Racalmuto e la sua figura -
alquanto bistrattata da Sciascia a pag. 197 op. cit. - va riabilitata.
Sciascia ebbe ad equivocare maldestramente tra l'atto
di battesimo di Marc'Antonio Alaimo e quello di Marc'Antonio Missina. Anzi,
confuse la registrazione di quest'ultimo con l’atto di battesimo del futuro
medico, con una annotazione ancora oggi rinvenibile tra i registri della Matrice di Racalmuto. Giuseppe TROISI,
all'epoca solerte fotografo al seguito di Sciascia intento a comporre una versione corredata da fotografie della MORTE
DELL'INQUISITORE che purtroppo non fu mai pubblicata da LATERZA, ne trasse persino una interessante
fotografia. E qui mi duole aggiungere che la stima che SCIASCIA riversò, in un
articolo pubblicato da MALGRADOTUTTO, su
MARC'ANTONIO ALAYMO era mal riposta.
Quando e se avrò modo di pubblicare la traduzione del suo DIADEKTIKN, verrà fuori un medico
fattucchiere, superstizioso e bigotto. Il capitolo 'DE MUMIA' dovette essere
orripilante anche nel Seicento.
Se Sciascia lo avesse appena scorso, lo avrebbe senza
dubbio fustigato.
A questo punto, il mio acre censore Nicolò Petrotto
avrà tanta ragione per insolentirmi. Bazzecole? Pedanterie? Grette minchionerie?
Senza dubbio. Ma è appunto per questo che mi sono
diverto a parlar male del nostro locale Garibaldi, proprio in casa di
MALGRADOTUTTO, a dire il vero ho tentato mail nostro faziosissimo giornaletto
locale mi ha impudentemente censurato.
Ma questo Nicolò Petrotto chi è? Se è uno dei due
Petrotto Nicolò (figlio di Calogero uno,
di Carmelo l'altro) che mi ritrovo in un liso foglio a matita alle prese con le
'giubbe' , i 'cinturoni' ed il 'moschetto'
nelle contestate colonie dei 'balilla' racalmutesi, potrebbe pure
informarmi su quelle vicende che pur contraddistinguono un locale costume
dell'Era Fascista.
Non sono di antico lignaggio racalmutese i PETROTTO e
quindi non amano forse questo suonare la 'corda pazza' della Terra del
Sale. Questa famiglia appare nei registri della Matrice solo sul
finire del 1600: in un censimento databile 1664 abbiamo solo un ceppo affine
che si fa chiamare GULPI PITROTTO . Di
un Nicolao Gulpi Pitrotto abbiamo traccia negli atti di morte del l'11/10/1648
ed il primo di maggio del 1656 viene sepolta a S. Giuliano Filippa Gulpi
Pitrotto figlia di Francesco e Giovanna Gulpi Pitrotto. Un Gulpi Pitrotto lo troviamo addirittura
quale teste nel matrimonio tra Chiazza Giovanni e Zimbili Diega, celebratosi il
9/5/1618.
Incomprensibilmente, a partire dal novembre del 1664
(cfr. atto di morte di Santo Pitrotto di Francesco e di Giovanna di anni 20 del
16/11/1664) quello ed altri ceppi semplificano il cognome nel solo PITROTTO e da allora quella famiglia ebbe a
svilupparsi considerevolmente e - sia chiaro - onorevolmente nella Terra di
Racalmuto.
Solo che chi scrive, alla stregua degli Sciascia (che
i preti a suo tempo registravano XAXA), può vantare presenze racalmutesi fin
dai primi registri della matrice di Racalmuto che risalgono, a seconda delle
letture, al 1554 o al 1564. Per
converso, se Nicolò Petrotto fosse per linea materna anche un PALERMO, ebbene
allora ci surclasserebbe quanto a sangue locale parlando le cronache di tal
SADIA di PALERMO «lu quali habitava in lu casali di Raxalmuto» nel 1474. E
siamo dunque a cinque secoli fa.
Questa "querelle" tra me ed il PETROTTO è
allora tipicamente racalmutese. Chi non è di questa terra non può apprezzare la
saggia follia di questi sarcastici scontri. Ma ritorniamo agli scontro della
fine dell’Ottocento.
«Si informa -
scriveva da Racalmuto il 22 giugno 1873 l'Ufficiale di P.S. in missione Luigi
MACALUSO - che in un giorno degli ultimi di maggio p.p.
i fratelli Gerlando e Calogero Damiani e Stanislao D'Amico da
Girgenti, nelle ore del mattino vennero
in questa, ove si riunirono a certo
Gueli Bongiorno Raimondo da Grotte, qui residente qual socio appaltatore dei Dazi
Consumo e poscia nelle ore pomeridiane dell'istesso giorno, insieme al detto
Gueli, si recarono a Grotte, ove si riunirono ai nominati Ferrara Giuseppe di
Ludovico da Sciacca, di anni 29, domiciliato
in Grotte, civile, ed INGRAO
Francesco di Giuseppe di anni 30 Civile da Grotte, i quali tutti insieme
andarono a desinare nell'osteria di Sciascia
Pietro, ove bevereno e parlarono fra di loro , ignorando i discorsi
tenuti, perché a soli. I cennati INGRAO, GUELI, FERRARA sono ritenuti dalla
voce pubblica appartenenti al Partito Repubblicano e gli stessi furono imputati
e sottoposti a mandati di cattura per la
rivolta politica avvenuta in Grotte, nel febbraio 1868, e poscia liberati per
manco di prove, ma al presente tengono una condotta tanto riservata da non
farsi colpire dai rigori della legge e
da qualunque possibile vigilanza.»
E a Racalmuto? «In Racalmuto questo partito
[repubblicano] non ha alcuno aderente anzi dalla classe pensante è
beffeggiato».
«Maestà, siamo alle Grotte» - citiamo da Rerversibilità di Sciascia - «Nelle grotte ci stanno i
lupi: tiriamo avanti - disse all'ufficiale di scorta». A Grotte invece ci sono
stati valenti uomini che hanno sofferto il carcere per le loro idee. E a
Racalmuto? Certo, vi prosperano la letteratura e le sardoniche rime in
vernacolo.
Nelle sale del circolo tutte quelle “mene” ottocentesche
- si può essere certi - venivano scandite al tocco delle solatie ore
pomeridiane o al rintocco di quelle melanconiche dell’occaso e della tarda
sera. Una rissa mia, paesana, acidula
con il mio amico prof. Petrotto l’ho voluta qui intrufolare per dare il ritmo,
se non il racconto, delle analoghe beghe dell’Ottocento dei galantuomini
nostrani.
1825
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11/6/1825
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TULUMELLO Dn
LUIGI FU Nr D. IGNAZIO
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MATTINA D. ROSALIA
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TULUMELLO D. ROSA DEL BARONE D. LUIGI E
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GRILLO D. MARIA
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